Autore: Francesco Dimitri
Editore: Marsilio
ISBN: 9788831795005
Prezzo: 19 €
Numero pagine: 461
Voto:
Trama:
A Roma accadono da qualche tempo cose strane, cose che i più non sono in grado di vedere o che al massimo sono pronti ad etichettare come casualità o, peggio ancora, come segni inevitabili del declino in cui versa la società. Atti di violenza, incidenti che incidenti non sono, improvvisi assembramenti di persone che – contro l’opinione dei benpensanti – sembrano fare festa… In qualche senso che ancora sfugge, è come se la Città si stesse risvegliando, forse addirittura ribellando. Su quest’onda di disordine, come un baluardo della moralità si erge Augusto Dal Mare, uomo importante, di una certa età ma sicuro fascino, censore ad oltranza di ogni forma di mancanza di ordine precostituito. Quale interesse può avere, Dal Mare, per spendersi per riportare tranquillità e sicurezza in questa Roma che sembra stare impazzendo?
Dall’altra parte della barricata personaggi che da principio appaiono tra loro indipendenti s’incontrano, o meglio si riuniscono in vista di quella che fin dal principio si delinea come la battaglia decisiva. Conoscono bene Dal Mare, sanno che nel Sogno e nell’Incanto non è la brava persona che sembra essere nella Carne. E sanno che dovranno ostacolarlo, perché se fosse lui a vincere questa guerra non ci sarebbe misericordia per i suoi avversari. Ma come potrà un’improvvisata (?) accozzaglia delle persone più diverse che la grande Roma può generare avere la meglio sull’organizzazione, sul potere, sulla meticolosità, sulla strategia e la forza di cui gode Augusto Dal Mare? La domanda è sempre la stessa – come possono i Bambini Perduti pensare di competere con Uncino? Riuscirà la fantasia ad imporsi sulla rispettabilità?
Recensione:
Il primo impatto con questo libro rischia di essere un po’ traumatico: la narrazione al presente, il turbinio continuo di personaggi, la sensazione di guardare dall’alto frammenti di vite che non si sfiorano se non per sbaglio e poi tornano nell’oblio… Eppure, è proprio questo ciò che attrae subito. Il desiderio di “vedere cosa c’è dopo”, la tensione inconscia del lettore che vuole ritrovare notizie di quella storia su cui ha appena avuto il tempo di gettare una sola occhiata.
Ben presto il turbinio di nomi e storie rallenta, e come nel rallentare di una giostra iniziamo a riconoscere le forme degli oggetti che ci circondano così i fili che legano la storia si fanno più nitidi, cominciano ad emergere da quello che fino ad un istante prima sembrava caos.
Distinguiamo allora dietro nomi che lì per lì avevamo distrattamente registrato il richiamo a qualcosa che bene o male ha fatto parte della nostra infanzia, e la consapevolezza è immediata: “Pan” non è semplicemente una rilettura adulta del romanzo di Berrie.
È un lavoro colto, ricchissimo di spunti letterari e culturali. I piani narrativi si intrecciano così come s’intrecciano Incanto, Sogno e Carne, l’esperienza del passaggio in qualche modo fluido tra gli Aspetti è resa comprensibile al lettore dalla facilità con cui vengono attraversati i confini narrativi.
La storia prende, inutile girarci intorno. Coinvolge, ti spinge continuamente ad andare oltre la pagina su cui ti trovi. E fa riflettere.
La guerra non è più, semplicemente, fra Bene e Male, è un affare complicato. Non è più questione di pensieri felici e polvere di fata e non voler crescere – in una parola, scopriamo, anche Pan è pericoloso. E la nostra società teme per sua natura il caos, il disordine, tanto è vero che anche nella Carne, dove è stato relegato dalla penna di Berrie, Uncino è potente e ammirato, perché promette ordine e sicurezza. Il ritorno alla Carne di Pan scatena le forze che, prima imprigionate, da qualche tempo stanno radunandosi a Roma – lo scontro diventa inevitabile.
Pur avendolo per titolo, non è Pan il protagonista del romanzo: come del resto sembra fare nelle battaglie, il dio rimane al margine; rappresenta il casus belli, sì, ma se si sporca poco le mani nella lotta allo stesso modo non agisce più di tanto sulla trama. “Pan” parla infatti essenzialmente dei ragazzi Cavaterra, della storia incredibile e insieme molto normale della loro famiglia, senza idealizzazioni, senza inutili compianti, senza apologie. Personalmente, trovo che sia questa la grande forza del libro. Il fatto di non prendere posizione, di lasciare spazio al lettore di scegliere da solo da che parte schierarsi.
Peccato il finale, che lascia scoperto qualche punto che forse sarebbe stato opportuno affrontare meglio e per questo sembra un po’ troppo affrettato e semplicistico, ma nel complesso, come si dice: gran bel libro.