Recensione Programmato per uccidere

Creato il 07 novembre 2015 da Lightman

Dwight H. Little dirige Steven Seagal in Programmato per uccidere, action b-movie tipico di quegli anni nel quale il monolitico protagonista deve vedersela con un crudele stregone vudù.

Agli inizi degli anni '90 la carriera di Steven Seagal era in vera e propria discesa, complice anche un periodo nel quale gli action-movie con (anti)eroi tutti d'un pezzo andavano di gran moda. Programmato per uccidere è il suo terzo film (dopo i più che discreti exploit al botteghino di Nico e Duro da uccidere) ed è considerato dai suoi fan uno dei migliori a cui il maestro di aikido ha preso parte. Rispetto ai due titoli precedenti sicuramente la sceneggiatura, scritta a quattro mani da Michael Grais e Mark Victor, ha una marcia in più e la regia di Dwight H. Little (nel suo curriculum Anaconda - Alla ricerca dell'orchidea maledetta e Halloween 4 - Il ritorno di Michael Myers), pur non eccellendo rispetto a produzioni omologhe, sa il fatto suo.

Magia nera

John Hatcher è un agente della DEA in procinto di ritirarsi dopo l'ultima missione in Messico nella quale il suo compagno è rimasto ucciso. L'uomo fa ritorno nella natia Chicago per riabbracciare la sorella e la madre, sperando di godersi un periodo di tranquillità. Destino però vuole che John si trovi ad indagare, con la collaborazione del vecchio amico Max, sui traffici di droga di una banda di giamaicani facente capo all'inquietante stregone Screwface, dotato di poteri magici. E quando il santone prende di mira la famiglia dell'agente, questi si preparerà ad una vera e propria guerra senza esclusione di colpi.

Marked for death

Un plot basilare intriso di sfumature scult che evitano almeno il rischio sbadigli. Programmato per uccidere è un action b-movie senza infamia e senza lode per la media qualitativa dei tempi, con alcune discrete sequenze d'azione (l'inseguimento automobilistico per le strade di Chicago e l'assalto alla villa del boss in Giamaica) e un villain di ispirato stampo trash. La tematica del vudù, pur procedendo per i classici stereotipi, riesce a rinvigorire una narrazione alquanto elementare, con la classica "vendetta" dell'eroe invincibile al quale hanno toccato gli affetti (linea che segue, seppur con qualche variazione, quella del precedente Duro da uccidere). Seagal è come sempre monolitico in un ruolo che d'altronde non esigeva certo sfumature, ma le performance di una caratterista d'eccezione come Keith David e di un indemoniato Basil Wallace come spietata nemesi, rendono il conflitto più appetitoso, con un mix di sparatorie e combattimenti a mani nude di discreto impatto.

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