Io
voglio immaginare il tempo con le sue pieghe, e boschi pieni di lupi,
e lande desolate a mezzanotte. Sogno persone che non hanno bisogno di
fare sesso per sapere di amarsi. Sogno persone che non vanno oltre un
bacio sulla guancia.
Titolo:
Promettimi che ci sarai
Autrice:
Carol Rifka Brunt
Editore:
Piemmme
Numero
di pagine: 418
Prezzo:
€ 17,90
Sinossi:
Quando
hai quattordici anni, il tuo cuore è un luogo oscuro, un labirinto
di sentimenti che non sai decifrare. Timida, goffa e sognatrice, June
è a disagio tra i coetanei. Preferisce rifugiarsi nel bosco dietro
la scuola, con ampie gonne e strambi stivali, fingendo di essere
stata catapultata a New York dal Medioevo, l'epoca in cui sarebbe
potuta diventare un falconiere. Sarebbe bello riuscire a richiamare a
sé, proprio come creature alate, le persone che non ci sono più.
Come lo zio Finn: grande pittore e migliore amico di June, l'unico in
grado di capirla, strappato troppo presto alla vita da una malattia
di cui in famiglia è proibito parlare. Un giorno, June riceve un
pacco misterioso. All'interno c'è la teiera preferita di Finn,
accompagnata da una lettera firmata da un certo Toby: l'uomo che
nessuno, al funerale dello zio, ha osato avvicinare. E che ora chiede
proprio a lei di incontrarlo in segreto. June dovrà fare i conti con
la paura e la gelosia prima di accettare il fatto di non essere stata
l'unica persona speciale nella vita dello zio. E prima di aprirsi a
un'amicizia che potrebbe aiutare sia lei che Toby a colmare quel
grande vuoto. Dopotutto, era quello che avrebbe voluto Finn: fare
incontrare le persone che più aveva amato, unirle come in un'unica
cornice affinché si prendessero cura l'una dell'altra. Ecco il suo
ultimo desiderio, ecco il suo più grande capolavoro.
La recensione
“Sapevo
tutto sulle piccole cose. Sulla proporzione. So tutto dell'amore che
è troppo grande per stare in un piccolo secchio. Che schizza
dappertutto nel più imbarazzante dei modi.” Ho puntato
questo libro appena è arrivato da noi. Era gennaio, e ricordo che
faceva freddo. L'inverno si era concentrato tutto in quei trentuno
giorni dell'anno nuovo. Non è passato molto prima che prendesse
posto sul mio scaffale. Celeste, voluminoso, nuovo, era lì, a
portata d'occhio. C'era un non so cosa a trattenermi. Scuse su scuse.
La sessione d'esami prima, altri libri poi: l'ordine naturale delle
cose, nella vita di un blogger. L'ho portato insieme a me, in
valigia, in un weekend lontano da casa. Speravo che sapesse farmi
compagnia, anche se il caldo era scoppiato e la sua stagione –
quella rigida, piovosa, pungente – era passata da un po'. C'è
stata tanta cura nel portarlo nelle nostre libreria. Un nuovo titolo,
una frase di lancio, una nuova cover. Una copertina dai toni pastello
diversa da quella a stelle e strisce, ma dettagliata, originale,
bellissima. Ombre cinesi, alberi che compongono un disegno, un
ricamo. I rami, le fronde, i tronchi sono il corpo di un lupo che
ulula al cielo azzurro del primo mattino. A una luna che si è
spostata dalla mezzanotte, all'ora della prima colazione. E io? Io
vorrei parlarvi di Promettimi che ci sarai con
la stessa cura, con la stessa tangibile passione. Sfortunatamente,
non posso. Non completamente, almeno. Il decollo della storia è
stato più lungo e tortuoso del previsto. Rimandato di qualcosa come
centocinquanta, duecento pagine per il cattivo tempo. O un funerale.
Ho trovato lento lo svelarsi di ciò che veniva raccontato nella
quarta di copertina, e mi sono stancato prima di arrivare al più
bello. Al meglio. L'autrice sembrava attardarsi nell'introdurci i
suoi personaggi e una vicenda familiare riassumibile in poco tempo.
La mia attenzione si disperdeva. Non a caso, cosa che non faccio mai,
l'ho alternato con altri due romanzi brevi: che era un esordio
promettente lo riconoscevo e non volevo, francamente, trascinarmelo a
peso morto. Non se lo meritava. Ho concluso prima quelli
della Gamberale, poi, sul comodino, mi è rimasto questo e basta. Ero
prevenuto, ero alquanto stufo. Centellinavo le pagine con falsa
scrupolosità, perdevo i personaggi e li ritrovavo sempre allo stesso
punto. Una mattina è semplicemente accaduto. La luce dell'abat jour
mi ha svelato l'anima di Carol Rifka Brunt, nella pace di un giorno
festivo. Ho letto questo passo e l'ho amato, con occhi nuovi: “Se
trovavi una persona così, non è che dovevi per forza farci sesso.
Potevi semplicemente tenertela, no? Sedertici vicino, stringerti al
suo corpo fino a sentire il movimento della sua macchina interna.
Potevi premere l’orecchio contro la schiena di quella persona e
ascoltarne il ritmo, sapendo che eravate fatti entrambi allo stesso
modo. Potevi fare cose del genere. A volte, se si sta proprio vicino
a qualcuno, non si capisce nemmeno di chi è lo stomaco che brontola.
Ci si guarda, tutti e due, si chiede scusa e si dice Era il mio e poi
si scoppia a ridere. Non hai bisogno di fare sesso per queste cose,
perché il tuo corpo si dimentica di dirti se ha fame. Perché scambi
la fame dell’altro per la tua.”
Parole
di June, quattordici anni. Non si rivolge a nessuno di preciso, lei.
Non ha un pubblico. Parla tra sé e sé, per sé stessa. Per
l'importanza di custodire certi ricordi, di porsi certi dubbi, di
amare a voce altra certe persone. La comunicazione, nella prima
parte, mi è risultata leggermente ristretta. Promettimi
che ci sarai, visto al cinema,
emozionerebbe forse di più. La verità è che quell'adolescente
saggia ti mette il cuore in mano e tu sei in imbarazzo. Non sai come
prenderlo, hai paura di schiacciarlo, temi ti scivoli via dalle mani.
Strizzi gli occhi e lo tieni lontano da te. Come si fa con le cose
disgustose, scivolose, o solo fragili. Scopri che lei sa che, nella
società, esistono tanti tipi d'amore. L'amore verso un pesce rosso,
quello verso un parente, quello verso un'anima che consideriamo
nostra gemella. Non sa, però, cosa fare se i tipi d'amore si
invertono. E se ci troviamo ad amare un nostro familiare fedelmente,
ciecamente, ma senza la malizia degli adulti. Con lo stomaco e tutto il
resto. Lei vive per le passeggiate nel bosco, le gonne lunghe e i
maglioni sformati, gli stivali di cuoio e suo zio Finn. Lui è gay,
lo sa da quand'è piccola. Non è mica un problema. Non ama le donne, si
ripete, e amerà lei, solo e soltanto. Sarà quella quattordicenne un
po' matta la sua donna per la vita. L'unica. Una vita che
s'interrompe bruscamente. I fili tenuti tesi dalle Parche rosicchiati
dai mostri dell'Aids; quei mostri che si sono attaccati come pesci
carnivori a un amo umano. Erano gli anni '80. Si moriva, tra le altre
cose, anche d'amore. La narrazione ha inizio nel bel mezzo del
periodo delle tasse. Vale a dire che i genitori di June sono sempre
fuori per lavoro. Vale a dire che lei e sua sorella, Greta, campano
di surgelati, cibo da asporto, bibite frizzanti. Un tempo si
fingevano orfane, si divertivano. Un tempo... Ora qualcosa è
cambiato. E' cambiato tutto. Greta è diventata cattiva e dispettosa
e lo zio Finn è morto. Lui dipingeva e, nel cavò sotterraneo di una
banca, resta l'ultima quadro che ha realizzato. Il ritratto delle due
sorelle, ferme all'inverno del 1986, con lo sguardo fisso e la sagama
di un lupo invisibile tra di loro.
L'enigmatico titolo dell'opera:
Dite ai lupi che sono a casa.
I segreti nascosti nell'ultimo capolavoro del compianto artista
costituiscono, in realtà, la sottotrama dell'esordio della Brunt.
Una parentesi separata, con un certo spazio e e una certa importanza,
ma che non riuscivo a trovare interessante. Non mi importava
dell'interesse dei giornalisti verso quell'ultimo ritratto, non mi
convincevano le scene che come protagonista a sorpresa avevano il
mondo dell'arte. Il romanzo vince nel momento in cui da Tell
the Wolves I'm Home si
accontenta di diventare il più scontato Promettimi che ci
sarai. Allora è arrivata la
commozione. Nella rievocazione spontanea del sentimento profondissimo
che legava June a Finn. Nella promessa solenne fatta a un angelo
volato in cielo da una bambina rimasta sulla terra. Sulla terra, sotto
un cumulo di foglie secche, nel bosco, lei deve ricordare di non essere
sola. I lupi vivono in branco e c'è un lupo con la scabbia che ha
bisogno di lei, mentre tutti lo schivano o lo prendono a sassate. Il
colpevole, l'assassino, l'uomo a cui nessuno rivolge la parola al
funerale dello zio. Il compagno di Finn: Toby. Ha l'accento inglese,
il corpo come un giunco, la voce di chi fuma quaranta sigarette al
giorno ma che sa dare nuovo smalto ai ricordi. Quel Toby che ride
come se avesse ingoiato il sole e con cui June ha sempre avuto,
incosapevolmente, un rapporto fantasma. Toby e Finn erano la vergogna
della loro famiglia, lo scandalo del loro quartiere: persone che si
nascondevano nel rifugio segreto in cantina, pur di non farsi vedere
insieme da occhi indiscreti. Carol Rifka Brunt ha un nome difficile e
una prosa convincente. Semplice, immediata, intrisa di tenerezza e
crudeltà. Ha lavorato tanto d'introspezione, fino a rendere il suo
scritto il diario segreto di una quattordicenne. Credibilissimo. Ho
creduto a quello che la narratrice mi confidava, e ho credo al fatto
che lei avesse quattordici anni sul serio. Tanta onestà, in un
adulto, non penso l'avrei trovata. June ha altruismo e personalità.
Fuma e tossisce. E' convinta di tornare indietro nel tempo, saltando
con la corda al contrario, il più velocemente possibile. Infonde
calore, infonde fiducia e, schiva e di poche parole, dà spazio agli
altri: un padre pacato, una madre con sogni repressi, un compagno di
scuola carino, una sorella da stritolare. Con
brutalità, ma con tutta la brutalità con cui si possa dare un
abbraccio. Quello di Greta è un personaggio detestabile, ma che
arrivi a comprendere. Sente il peso di essere la figlia perfetta;
sente di dover andare presto all'università, e coltiva il rimpianto
taciuto di non aver passato abbastanza tempo con le persone “per
cui valeva la pena”. Se non nell'imperdibile Luna,
non credo di aver mai conosciuto due sorelle altrettanto umane. Le
pagine si facevano di meno, gli sproloqui sul quadro diminuivano e
gli occhi si appannavano di autentica emozione. Quel Finn si scopre
il primo, grande amore di June e Toby: vedovi di cui nessuno è
disposto a riconoscere il dolore. Con la voce di June a guidarti, ti
stupisci della sua innocenza. Ti ci soffermi, perché quando racconta
il primo incontro dei suoi due zii maschi pensa che quella sia la vera faccia dell'amore. Perché questo mondo dovrebbe essere governato da un
bambino. Promettimi che
ci sarai è un libro che
implode. Non esplode. E' una supernova. La detonazione è interna.
Non manifesta. Ma, forse per quello, più fragorosa.
Il
mio voto:★★★½
Il
mio consiglio musicale: Rent – Seasons of Love