Recensione: Qualcosa di vero, di Barbara Fiorio

Creato il 20 marzo 2016 da Mik_94
"Qualcuno ha ordinato una fiaba?"
Titolo: Qualcosa di vero Autrice: Barbara Fiorio Editore: Feltrinelli Numero di pagine: 249 Prezzo: € 15,00 Editore: A rincasare ubriachi nel cuore della notte si rischia di inciampare in qualsiasi cosa: un gradino, i lacci delle scarpe, uno stuoino fuori posto. Ma se ti chiami Giulia, sei una pubblicitaria di successo e per te l'infanzia è solo una nicchia di mercato, puoi anche inciampare in una camicia da notte con una bambina dentro: Rebecca, la figlia della nuova vicina. Allora, tra i fumi dell'alcol, puoi persino decidere di ospitarla per una notte sul tuo divano. Salvo poi rimanere invischiata in sessioni di fiabe da raccontarle ogni volta che la madre, misteriosamente, non c'è. Da Cenerentola a Pollicino, da Raperonzolo alla Sirenetta, purché siano sempre le versioni originali: quelle di Perrault, dei Grimm e di Andersen, dove i ranocchi si trasformano in principi soltanto se li lanci contro un muro, e non sono certo i baci a risvegliare le più belle del reame. Se invece ti chiami Rebecca e sei arrivata da poco in città, puoi provare a conquistare i compagni di classe con le "fiabe vere". Salvo poi imbatterti nelle temibili bimbe della Gilda del cerchietto, pronte a screditarti con le versioni edulcorate della Disney. E forse, nonostante i tuoi nove anni, cercherai di far capire a Giulia, la tua amica del pianerottolo, che, anche se i principi azzurri nella realtà non esistono, l'uomo giusto a volte è più vicino di quanto si pensi. Ciò che ancora non sai è che la verità costa cara. E non solo perché certe cose è meglio non raccontarle, specie quando ci sono di mezzo i segreti degli adulti.                                                      La recensione In tempi recenti, ho scoperto che Barbara Fiorio faceva al caso mio, che la biblioteca comunale della mia città aveva riaperto allegramente i battenti mesi fa (facciamo anni) e, con la scusa vaga di reperire qualcosina per la tesi, potevo guardarmi attorno e, nell'angolo degli ultimi arrivi, portare a casa registrandomi titoli nuovi e nuovissimi. Mentre la bibliotecaria all'accettazione, confusa dalle bizze del computer e dal funzionamento dell'archivo elettronico, cercava per me qualche testo universitario battendo sulla tastiera – lei poco convinta che potessi trovarli lì, io addirittura meno di lei -, mi sono guardato in giro. E siccome tornare a casa a mani vuote sembrava brutto, no?, ho preso in prestito il mio primo libro. Aveva un fungo a pois in copertina, mi faceva tanto sorridere, me ne parlavano con entusiasmo e, nel farlo, ricambiavano di conseguenza il sorriso. Torno con Qualcosa di vero sotto il braccio un giorno, e il successivo ne vivo uno così sfortunato, così pieno e assurdo, che mio padre, prima di coricarsi, chiosa con un saggio: “Se un gatto nero ci taglia la strada, è lui che deve grattarsi le palle. Altroché.” Combattuto da sensazioni opposte, incerto tra il pianto a dirotto e le grasse risate, boh, mi metto a letto, non prendo sonno ed è così che conosco Giulia, Rebecca e le figure bizzarre che stanno loro attorno. Ed è così che, ventidue anni ad aprile, mi godo una favola o due, le coperte rimboccate, il conforto di un romanzo – non bello come dicono, forse, ma comunque molto carino – nel momento propizio. Appisolandomi piano, leggo di una pubblicitaria rampante che vive del proprio lavoro e di cene galanti, offerte da corteggiatori random che, dopo averla accompagnata sotto casa, con lei non avranno futuro. Tutta tisane calde e scadenze, Giulia non è aperta né ai sentimenti né all'idea dei figli. Il suo orologio biologico ticchetta ossessivo, tic tac tic tac, ma pazienza. Così come non è mai stata portata per le lezioni di pianoforte, altrettanto non è tagliata per i bambini, le esigenze da Telefono azzurro, le carezze a comando: in carriera, burbera ma con tatto, inchiodata al pc. Finché una sera, brilla, non inciampa nella nuova vicina di casa. Una bambina di nove anni con un peluche in braccio, una mamma infermiera a lavoro, il bisogno di un riparo per la notte – è rimasta, infatti, chiusa fuori – e la voglia di chiacchierare del trasferimento, di com'è la vita lì, delle prepotenze alla scuola elementare. La piccola è stata esiliata all'ultimo banco dalla famigerata Gilda del cerchietto, accanto a un taciturno novenne che disegna tutta la mattina draghi sputafuoco; l'adulta, invece, inventa slogan fianco a fianco al grafico Lorenzo, di qualche anno più giovane, che la ama in silenzio mentre lei, maestra nell'arte della dissumulazione, finge di non notarlo per non spezzargli il cuore e rovinare per sempre la loro invidiabile, invidiata sinergia.  L'incidente sul pianerottolo darà il via a una tenera amicizia intergenerazionale, in cui scambiarsi sogni, racconti e segreti, ma tenendo rigorosamente all'oscuro le mamme troppo fragili, i coetanei e chiunque non sia pronto ad accettare la notizia che a lungo ci hanno mentito. Bugia più clamorosa dell'esistenza di Babbo Natale, infatti, i finali riscritti dalla Disney, per proteggere i bambini, tutt'altro che sprovveduti, dalla dura verità: le principesse sono esseri stupidissimi, i principi appartengono a una brutta razza, i ranocchi assumono forma umana se lanciati contro una parete, il per sempre felici e contenti è una consolazione da poco. Perché Giulia, tra lubrificanti intimi da lanciare, e-reader da studiare a fondo, cibi precotti in quantità, ha il coraggio di trattare la sua piccola ospite con intelligenza e rispetto: qualcuno deve spiegarle come stanno le cose, come gira il mondo. Perché non lei, realista e disincantata? Perché non i Grimm, Perrault e Andersen, con le loro favole censurate, le sirenette che diventano spuma di mare e i baci appassionati che non servono a un bel niente? Rebecca, dunque, imparerà a socializzare, conquistando amici con il gusto del macabro e pestando i piedi a qualche nemica che a Carnevale può vestirsi a pieno titolo da principessa, sia per via dei capelli lunghi, sia di una mente poco brillante.  Giulia, d'altra parte, realizzerà che giusto è il realismo, ma più giusto ancora, a volte, è tornare a crederci. Anche a quarant'anni. Qualcosa di vero, in verità, ci intrattiene a suon di fiabe grottesche raccontate un po' come viene e con quelli che sono tutti gli stilemi della commedia brillante americana: le professioni che solo nei film, l'input di un About a boy al femminile, un epilogo - eccezion fatta per un episodio a bruciapelo che ci invita a riflettere sulla violenza domestica, e a denunciarla – come da copione. Più che qualcosa di vero, ci trovereste dentro qualcosa di buono. Buonissimo. E' infatti un romanzo leggero, fantasioso e ironico di un'autrice che mi verrà in soccorso, lo prevedo già, nei momenti scuri e quando il blocco del lettore mi attanaglierà. Rassicurante, nel suo essere esattamente come lo immagini. Tutto va come deve andare. Rimpiangerò di non averne una copia tutta mia, domandate, io che non rileggo ma accumulo e, affetto da smania di possesso, voglio voglio e voglio? Onestamente no, ma mi ha ho sciolto un nodo qui, tra pancia e sterno, e già è tanto. Il continuo andirivieni delle protagoniste, le porte che sbattono nel cuore della notte e un segreto che doveva rimanere tale metteranno sull'attenti maestre bigotte, genitori single, l'esilarante dirimpettaio attore e, da un passato a tinte fosche, un losco figuro in cachemire. Ci destano dai nostri doveri un colpo al muro, poi un altro. Cadenzati e soppesati, come se chi sta dall'altra parte conoscesse il linguaggio del codice Morse. La musica da intenditori in salotto ha palesato, ancora prima che ricambiassimo il colpo, il battito, la nostra presenza. Ci desta, Rebecca, ma il sogno inizia allora. Da lei. Che parla alla maniera di Barbara Fiorio, delicata e metaforica, e ti spiega, alla fine, che le favole e le persone speciali sono come le fate in Peter Pan. Se ci credi, non muiono. Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Malika Ayane – Senza fare sul serio 

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