"Qualcuno
ha ordinato una fiaba?"
Titolo:
Qualcosa di vero
Autrice:
Barbara Fiorio
Editore:
Feltrinelli
Numero
di pagine: 249
Prezzo:
€ 15,00
Editore:
A
rincasare ubriachi nel cuore della notte si rischia di inciampare in
qualsiasi cosa: un gradino, i lacci delle scarpe, uno stuoino fuori
posto. Ma se ti chiami Giulia, sei una pubblicitaria di successo e
per te l'infanzia è solo una nicchia di mercato, puoi anche
inciampare in una camicia da notte con una bambina dentro: Rebecca,
la figlia della nuova vicina. Allora, tra i fumi dell'alcol, puoi
persino decidere di ospitarla per una notte sul tuo divano. Salvo poi
rimanere invischiata in sessioni di fiabe da raccontarle ogni volta
che la madre, misteriosamente, non c'è. Da Cenerentola a Pollicino,
da Raperonzolo alla Sirenetta, purché siano sempre le versioni
originali: quelle di Perrault, dei Grimm e di Andersen, dove i
ranocchi si trasformano in principi soltanto se li lanci contro un
muro, e non sono certo i baci a risvegliare le più belle del reame.
Se invece ti chiami Rebecca e sei arrivata da poco in città, puoi
provare a conquistare i compagni di classe con le "fiabe vere".
Salvo poi imbatterti nelle temibili bimbe della Gilda del cerchietto,
pronte a screditarti con le versioni edulcorate della Disney. E
forse, nonostante i tuoi nove anni, cercherai di far capire a Giulia,
la tua amica del pianerottolo, che, anche se i principi azzurri nella
realtà non esistono, l'uomo giusto a volte è più vicino di quanto
si pensi. Ciò che ancora non sai è che la verità costa cara. E non
solo perché certe cose è meglio non raccontarle, specie quando ci
sono di mezzo i segreti degli adulti.
La recensione
In
tempi recenti, ho scoperto che Barbara Fiorio faceva al caso mio, che
la biblioteca comunale della mia città aveva riaperto allegramente i
battenti mesi fa (facciamo anni) e, con la scusa vaga di reperire qualcosina per la
tesi, potevo guardarmi attorno e, nell'angolo degli ultimi arrivi,
portare a casa registrandomi titoli nuovi e nuovissimi. Mentre la
bibliotecaria all'accettazione, confusa dalle bizze del computer e
dal funzionamento dell'archivo elettronico, cercava per me qualche
testo universitario battendo sulla tastiera – lei poco convinta che
potessi trovarli lì, io addirittura meno di lei -, mi sono guardato
in giro. E siccome tornare a casa a mani vuote sembrava brutto, no?,
ho preso in prestito il mio primo libro. Aveva un fungo a pois in
copertina, mi faceva tanto sorridere, me ne parlavano con entusiasmo
e, nel farlo, ricambiavano di conseguenza il sorriso. Torno con
Qualcosa di vero sotto il
braccio un giorno, e il successivo ne vivo uno così sfortunato, così
pieno e assurdo, che mio padre, prima di coricarsi, chiosa con un
saggio: “Se
un gatto nero ci taglia la strada, è lui che deve grattarsi le
palle. Altroché.”
Combattuto da sensazioni opposte, incerto tra il pianto a dirotto e
le grasse risate, boh,
mi metto a letto, non prendo sonno ed è così che conosco Giulia,
Rebecca e le figure bizzarre che stanno loro attorno. Ed è così
che, ventidue anni ad aprile, mi godo una favola o due, le coperte
rimboccate, il conforto di un romanzo – non bello come dicono,
forse, ma comunque molto carino – nel momento propizio.
Appisolandomi piano, leggo di una pubblicitaria rampante che vive del
proprio lavoro e di cene galanti, offerte da corteggiatori random
che, dopo averla accompagnata sotto casa, con lei non avranno futuro.
Tutta tisane calde e scadenze, Giulia non è aperta né ai sentimenti
né all'idea dei figli. Il suo orologio biologico ticchetta
ossessivo, tic tac tic tac,
ma pazienza. Così come non è mai stata portata per le lezioni di
pianoforte, altrettanto non è tagliata per i bambini, le esigenze da
Telefono azzurro, le carezze a comando: in carriera, burbera ma con
tatto, inchiodata al pc. Finché una sera, brilla, non inciampa nella
nuova vicina di casa. Una bambina di nove anni con un peluche in
braccio, una mamma infermiera a lavoro, il bisogno di un riparo per
la notte – è rimasta, infatti, chiusa fuori – e la voglia di
chiacchierare del trasferimento, di com'è la vita lì, delle
prepotenze alla scuola elementare. La piccola è stata esiliata
all'ultimo banco dalla famigerata Gilda del cerchietto, accanto a un
taciturno novenne che disegna tutta la mattina draghi sputafuoco;
l'adulta, invece, inventa slogan fianco a fianco al grafico Lorenzo,
di qualche anno più giovane, che la ama in silenzio mentre lei,
maestra nell'arte della dissumulazione, finge di non notarlo per non
spezzargli il cuore e rovinare per sempre la loro invidiabile,
invidiata sinergia.
L'incidente sul pianerottolo darà il via a una
tenera amicizia intergenerazionale, in cui scambiarsi sogni, racconti
e segreti, ma tenendo rigorosamente all'oscuro le mamme troppo
fragili, i coetanei e chiunque non sia pronto ad accettare la notizia
che a lungo ci hanno mentito. Bugia più clamorosa dell'esistenza di
Babbo Natale, infatti, i finali riscritti dalla Disney, per
proteggere i bambini, tutt'altro che sprovveduti, dalla dura verità:
le principesse sono esseri stupidissimi, i principi appartengono a
una brutta razza, i ranocchi assumono forma umana se lanciati contro una parete, il per sempre felici e contenti è una
consolazione da poco. Perché Giulia, tra lubrificanti intimi da
lanciare, e-reader da studiare a fondo, cibi precotti in quantità,
ha il coraggio di trattare la sua piccola ospite con intelligenza e
rispetto: qualcuno deve spiegarle come stanno le cose, come gira il
mondo. Perché non lei, realista e disincantata? Perché non i Grimm,
Perrault e Andersen, con le loro favole censurate, le sirenette che
diventano spuma di mare e i baci appassionati che non servono a un
bel niente? Rebecca, dunque, imparerà a socializzare, conquistando
amici con il gusto del macabro e pestando i piedi a qualche nemica
che a Carnevale può vestirsi a pieno titolo da principessa, sia per via dei capelli lunghi, sia di una mente poco brillante.
Giulia,
d'altra parte, realizzerà che giusto è il realismo, ma più giusto
ancora, a volte, è tornare a crederci. Anche a quarant'anni.
Qualcosa di vero, in
verità, ci intrattiene a suon di fiabe grottesche raccontate un po'
come viene e con quelli che sono tutti gli stilemi della commedia
brillante americana: le professioni che solo nei film, l'input di un
About a boy al femminile, un
epilogo - eccezion fatta per un episodio a bruciapelo che ci invita a
riflettere sulla violenza domestica, e a denunciarla – come da
copione. Più che qualcosa di vero, ci trovereste dentro qualcosa
di buono. Buonissimo. E' infatti
un romanzo leggero, fantasioso e ironico di un'autrice che mi verrà
in soccorso, lo prevedo già, nei momenti scuri e quando il blocco
del lettore mi attanaglierà. Rassicurante, nel suo essere
esattamente come lo immagini. Tutto va come deve andare. Rimpiangerò di non averne
una copia tutta mia, domandate, io che non rileggo ma accumulo e,
affetto da smania di possesso, voglio voglio e voglio? Onestamente
no, ma mi ha ho sciolto un nodo qui, tra pancia e sterno, e già è
tanto. Il continuo andirivieni delle protagoniste, le porte che
sbattono nel cuore della notte e un segreto che doveva rimanere tale
metteranno sull'attenti maestre bigotte, genitori single,
l'esilarante dirimpettaio attore e, da un passato a tinte fosche, un
losco figuro in cachemire. Ci destano dai nostri doveri un colpo al
muro, poi un altro. Cadenzati e soppesati, come se chi sta dall'altra
parte conoscesse il linguaggio del codice Morse. La musica da intenditori in salotto
ha palesato, ancora prima che ricambiassimo il colpo, il
battito, la nostra presenza. Ci
desta, Rebecca, ma il sogno inizia allora. Da lei. Che parla alla
maniera di Barbara Fiorio, delicata e metaforica, e ti spiega, alla
fine, che le favole e le persone speciali sono come le fate in Peter
Pan. Se ci credi, non muiono.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Malika Ayane – Senza fare sul serio