Niente doppi sensi, niente seducente politically correct, nessun sentito dire, no: Lucia Del Pasqua le dice, e non le manda a dire, più o meno a tutto il mondo del Fashion System italiano, concentrandosi su quello milanese, e non lo fa con stile o garbo, no, no: prende per il fondelli tutti, nessuno escluso, anche se stessa.
Sorvolando sul fatto che molti termini altamente fashion chic io non li avevo mai sentiti nominare, ma ho litigato con la moda tanti anni fa quindi non sono la persona giusta per valutare questo dettaglio, il romanzo non è solo divertente: è saggio. Si, lo confermo. Perché usando un feroce cinismo verso tutti, ma soprattutto nei confronti della protagonista, tale Penelope chiamata Pene che solo per questo meriterebbe una citazione al Nobel, l’autrice mostra una tenerezza che personalmente mi ha conquistata.
Avete presente i tanti romanzi in stile I love shopping, dove tutto alla fine finisce bene, lei si sposa e ha tipo 3/4 pargoli, ecc? In Quella certa dipendenza dal tasto invio troverete una empatia ben diversa, anche se lo stile presentato inizialmente potrebbe trarre in inganno.
Ogni volta che mi vesto, per essere pronta a uscire «seriamente» non mi basta l’approvazione dello specchio, devo avere un selfie, ovvero un’immagine statica, una foto di me non in movimento, così posso esaminare e analizzare più attentamente cosa va e cosa non va. Foto che finisce su Facebook, naturalmente. Perché in fondo anch’io ho bisogno dell’approvazione degli altri, conosciuti e non.
Penelope è una fashion blogger super impegnata, anche se, come ammette lei stessa, spesso a Milano (e non solo a Milano) mostrare che sei molto impegnato fa cool, tra post, selfie, sfilate, eventi, incontri con PR discutibili, descrizioni allucinanti di ogni persona che incontra (nemmeno il calzino le sfugge), pagina dopo pagina ammette, tra un cin al cinismo e l’altro, di essere lei stessa parte, consapevole e felice, del circo della moda. Ma, a volte, sogna altro. Un amore, vero, da film, ad esempio…
Però, come accennavo all’inizio, anche l’amore più bello nasconde ostacoli, e anche la donna più sicura di sé nega le sue debolezze.
L’interlocutrice è una blogger napoletana, vestita più per una sagra dell’arancino fritto che per una cena placé: minigonna nera di jersey, quelle che al liceo andavo a comprare al mercato di Sant’Agostino per sfoggiarle il sabato pomeriggio in discoteca (ero zarra, non lo nego) con il dj Luca Agnelli, maglietta stretta anch’essa nera e anch’essa di jersey, maxi cintura rossa di finta pelle, in coordinato con le scarpe rosse open-toe e giacca bianca lucida. Per quanto riguarda il parrucco, è molto simile a quello della Monnalisa, o di Asia Argento se vogliamo stare sul recente, ovvero capello nero spiaccicato sul davanti, unto, mentre per il trucco l’eyeliner è identico a quello di Gemma del Sud.
Ha ragione la tipa del marketing, tutti adesso hanno un blog, anche questa con le calze color carne lucide e la borsetta a spalla rossa con le cuciture bianche in evidenza. La raffinatezza, come disse Gmork ad Atreyu, «dilaga».
Non sa che anche la fashion blogger più sfigata può avere dei vestiti in prestito, se non addirittura gratis, forse dovrei dirglielo per il suo bene. Ma io non le voglio bene.
Se amate il mondo della moda dovete leggere questo libro, soprattutto se siete molto giovani, perché vi tirerà per i piedi costringendovi a restare ancorate a terra senza alcuna possibilità di scamparla, se, invece, come me, non siete affatto attratte dal mondo moda, ritenete parrucchiere e estetista la noia assoluta, vi ritenete, grasse, brutte, ecc. ecc. leggete la storia di Penelope, vi farà sorridere e alla fine vi vorrete più bene. E se proprio certe parole fashion non le conoscete, fate come me: cercatele su google.
Quella certa dipendenza dal tasto invio – Lucia Del Pasqua – Baldini&Castoldi – Cartaceo € 16,00; ebook € 7,99