Recensione: Quello che non uccide - Millennium IV, di David Legercrantz

Creato il 05 ottobre 2015 da Mik_94
Lisbeth non dimenticava torti e soprusi.  Lisbeth ristabiliva gli equilibri.
Titolo: Quello che non uccide – Millennium IV Autore: David Legercrantz Editore: Marsilio Numero di pagine: 503 Prezzo: € 22,00 Sinossi: Da qualche tempo "Millennium" non naviga in buone acque e Mikael Blomkvist, il giornalista duro e puro a capo della celebre rivista d'inchiesta, non sembra più godere della popolarità di una volta. Sono in molti a spingere per un cambio di gestione e lo stesso Mikael comincia a chiedersi se la sua visione del giornalismo, per quanto bella e giusta, possa ancora funzionare. Mai come ora, avrebbe bisogno di uno scoop capace di risollevare le sorti del giornale insieme all'immagine - e al morale - del suo direttore responsabile. In una notte di bufera autunnale, una telefonata inattesa sembra finalmente promettere qualche rivelazione succosa. Frans Balder, un'autorità mondiale nel campo dell'intelligenza artificiale, genio dell'informatica capace di far somigliare i computer a degli esseri umani, chiede di vederlo subito. Un invito che Mikael Blomkvist non può ignorare, tanto più che Balder è in contatto con una super hacker che gli sta molto a cuore. Lisbeth Salander, la ragazza col tatuaggio della quale da troppo tempo non ha più notizie, torna così a incrociare la sua strada, guidandolo in una nuova caccia ai cattivi che punta al cuore stesso dell'Nsa, il servizio segreto americano che si occupa della sicurezza nazionale. Ma è un bambino incapace di parlare eppure incredibilmente dotato per i numeri e il disegno a custodire dentro di sé l'elemento decisivo per mettere insieme tutti i pezzi di quella storia esplosiva che Millennium sta aspettando.                                                   La recensione A Natale di quest'anno, saranno dieci anni precisi che, in una cartella del computer, tengo aggiornato un documento Word con le mie letture: cosa ho letto e quando l'ho letto, a partire dal dicembre del duemilacinque. Più di qualche anno prima della nascita del blog, dunque, e qualche anno dopo dalla scoperta di una passione che non avrei abbandonato più. Ogni tanto ci penso. Ai romanzi che ho letto e dimenticato, a quelli che ho adorato senza dirlo a nessuno in particolare. Aiutato dalla funzione “cerca”, il foglio di Word mi porta così al duemilanove, sono passati ormai sei anni, e mi dice che il romanzo più bello di quell'annata era stato Uomini che odiano le donne. Di lì a qualche mese, avrei recuperato in fretta e furia i volumi rimanenti di una trilogia a cui, attualmente, sono ancora molto legato: lo sapevate? Non c'è stata l'occasione di rivelarvi, prima d'oggi, alcune delle mie personali convinzioni: non mi piacciono autori nordici all'infuori di Stieg Larsson; nonostante la classica magnificenza della sua regia, era stato bello ma superfluo il remake di Fincher di una trasposizione originale già calzante di suo; Lisbeth Salander – la hacker dal cuore d'oro – è uno dei personaggi femminili più grandi della letteratura degli ultimi tempi. Adesso è tornata, e non potevo che dirmi elettrizzato davanti a una sua chiamata improvvisa. Scettico sì, ma questa è un'altra storia. Quello che non uccide, infatti, pubblicato in contemporanea mondiale e arrivato in libreria, con il suo prezzo prevedibilmente esorbitante, tra paragoni e sospetti diffusi, è il quarto capitolo di quella che era nata come saga e morta, per la sfortunata scomparsa del suo creatore, come trilogia. Succede, a qualche anno dalla tragedia, che lo svedese David Legercrantz, noto perlopiù come autore di biografie, si accaparri i diritti della serie e reperisca appunti sparsi con le ultime idee di Stieg. Il resto si sa. Il conto alla rovescia, scarsi dettagli su una trama supersegreta, un titolo che immediatamente schizza ai vertici delle classifiche internazionali. Subito mio – volume imprescindibile per un fan affezionato – Quello che non uccide ha aspettato la fine degli esami per farsi leggere e apprezzare al meglio. Il primo, poliziesco bellissimo, si divorava; il secondo, più un capitolo monografico su una protagonista indimenticabile che un giallo, era bello perché c'era Lisbeth; del terzo, invece, ricordo una lettura frammentaria e svogliata: prolisso e lento, così tanto che, tra tribunali e spie russe, lo avevo letto intervallandolo con altro. E' necessario abbandonare le lenti rosa: quelle con cui tutto ciò che è passato ci appare magicamente più bello, ma immancabili quando si parla di un autore che se ne è andato e di un franchising entrato, e non senza meriti, nella storia dell'editoria. Il quarto capitolo di Millennium è un diesel. Parte piano e rumorosamente. Si fa un po' di fatica a metterlo in moto. C'è ritrosia, ma si sapeva, e i personaggi – numerosissimi - sono loro ma non sono loro. A quasi un decennio dagli avvenimenti di La regina dei castelli di carta, la redazione di Millennium è alla deriva: è arrivata la crisi economica, gli scoop mancano. Il nostro Mikael Blomkvist è invecchiato e non sta al passo con il rinnovo generazionale, mentre il ricordo della gloria passata sbiadisce e – con la rivista in mano a una società giovane e mainstream – per lui si parla di un esilio all'estero. Una svolta si ha quando Frans Balder, scienziato alle prese con ulteriori perfezionamenti in materia di intelligenza artificiale, chiede di lui in una notte sanguinosa e fatale, rivelando collegamenti sospetti tra l'Nsa e un'ampia associazione criminale con a capo il losco Thanatos. Più legata al passato di Lisbeth di quanto ci si aspetterebbe, l'indagine – osservata a distanza dalla ragazza con il tatuaggio di drago – ci farà conoscere l'inquieta e affascinante nemesi della protagonista e un'inedita storia familiare. Quello che non uccide, in definitiva più leggero dei romanzi precedenti, nonostante la lentezza dell'inizio e informazioni che lì per lì ti sommergono, è un romanzo con un'impronta diversa. Non tanto per lo stile o per un caso meno avvincente che nel primo romanzo ma più interessante che nell'ultimo, ma per i personaggi; per Lisbeth. Tra come ne parlava Stieg e come, invece, ne parla David c'è una differenza che si percepisce: ovvio, nessuno potrà volere bene alla propria figlia minore quanto l'uomo che l'ha messa al mondo. Uno zio come Lagercrantz, sensibile ma inesperto, potrà provarci perciò a modo suo. Lui che scrive come gli autori svedesi scrivono: in maniera meticolosa e fredda, con un filo di ironia e dettagli su dettagli. Una prosa giornalistica, quasi, immediata e senza guizzi retorici. Ha il dono della sintesi, nonostante le cinquecento pagine, e della chiarezza, nonostante i segreti di un mondo che non ci appartiene ci diano spesso filo da torcere.  Il risultato è un thriller informatico e non di denuncia, in cui l'autore aiuta a collocare figure e situazioni nello spazio: nel cuore del capitolo, nella casella giusta. I personaggi sono tanti: nomi, identità, pedine tra cui non si fa miracolosamente confusione. Nonostante la folla, nonostante gli aspri nomi stranieri siano difficili da memorizzare. Però li vedi scritti e li riconosci; ha senso? In un aggettivo scelto con cura che, immediatamente, chiarisce posizioni e ruoli; in uno stile dal sapore cinematografico. Se i nuovi personaggi funzionano – da August, bambino autistico e geniale, a un padre impegnato che finalmente vuole prendersi cura di lui, non dimenticando il romantico assistente Andrei e il nerboruto addetto alla sicurezza delll'Nsa –, i vecchi si riconoscono presto e dopo poca fatica. Lisbeth, ancora più che nei capitoli dedicati alla sua ricerca parallela, è Lisbeth quando gli altri parlano di lei, e la descrivono come la bambina dall'infanzia violenta e solitaria – una Matilda Wormwood nerd che, prima dei computer, studiava i fumetti Marvel – che tutti noi conosciamo; questa volta, con qualche sorriso in più e un bambino speciale da proteggere, è luminosa come una mamma. Fa piacere ritrovare lei e Mikael, inoltre: non-coppia bellissima, sospesa tra amore e amicizia. Sempre che si possa amarla, una come Lisbeth Salander. Sempre che possa permettersi amici veri. Qui parlano a distanza: su cellulari usa e getta; attraverso email criptate. Se si incontreranno prima dei titoli di coda - per un lettore che spera che la donna che odia gli uomini che odiano le donne possa trovare spazio nella sua vita per una mosca bianca, per un uomo buona e onosto - è una domanda che preme quasi quanto la risoluzione del mistero stesso. Quello che non uccide ha più di qualche pecca – un inizio così così; un'indagine lineare; un linguaggio che, volendo essere esplicativo, a volte risulta cosa da Enciclopedia – e un finale conclusivo, anche se si aspetta volentieri un altro volume ancora con lo scontro tra la Salander e il suo micidiale alter ego. Non all'altezza del primo Larsson, non il thriller dell'anno, ma – in definitiva – una bella prova; soddisfacente. Soprattutto, grazie ai personaggi presi in prestito che, dopo attimi di titubanza, si riconoscono come amici di vecchia adata. Su tutti quella Lisbeth, uguale e diversa, che resta un fuoco artificiale di mezze parole, eclatanti vendette, risorse impensate. Forte, orgogliosa, esempio. Del non porgere l'altra guancia, ma di picchiare, e brutalmente, quando il più forte ti schiaccia; di andare a letto con chi ti attrae, senza etichette, e di non prestare ascolto a chi immagina già come sarai, a una certà età, con un fisico mingherlino deturpato dall'inchiostro; del fatto che ballare da soli è possibile e bellissimo, giacché il resto dell'umanità è un bello schifo, ma che in un giro di pista, brevemente, si può incontrare la persona giusta con cui fare il casquet. O il colpo di stato. Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Led Zeppelin - Immigrant Song



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