Recensione: Raven Boys, di Maggie Stiefvater
Creato il 11 dicembre 2013 da Mik_94
Buongiorno,
amici miei, e ben trovati. Come state? Finalmente, dopo impegni e
rimandi, sono riuscito finalmente a portare a termine il nuovo
romanzo di una delle mie autrici preferite e, puntualmente, sono qui
a parlarvene. Questa volta, due paroline dovrebbero essere spese per
il lavoro del traduttore italiano: Marco Locatelli – mente e volto
di Galassia Cartacea e, questa volta, collaboratore speciale della casa
editrice Rizzoli. Anche se giovanissimo, avendo amato Raven Boys
molto più di quello che ho fatto io, ha fatto un lavoro ottimo
davvero; soprattutto, un lavoro difficile. La Stiefvater ha uno stile
inimitabile, musicale, particolarissimo: tradurlo per i lettori
italiani non deve essere stata un'impresa semplice. Per onestà, devo
dirvi che il volume non è esente da refusi ed errori di stampa –
concentrati soprattutto nell'ultima parte – ma, come Marco mi ha
confermato, sono imputabili alla fretta di portarlo nelle librerie in
tempo, dopo già un precedente slittamento. La ristampa sarà
perfetta. Ringraziando la casa editrice per avermi dato modo di
leggerlo e Denise per avermi coinvolto nel blogtour dedicato a questo
titolo, vi auguro buone letture. M.
Stai
attenta al demonio. Quando c'è un dio, c'è sempre una legione di
demoni.
Titolo:
Raven Boys
Autrice:
Maggie Stiefvater
Editore:
Rizzoli
Numero
di pagine: 468
Prezzo:
€ 16,00
Sinossi:
È
la vigilia di San Marco, la notte in cui le anime dei futuri morti si
mostrano alle veggenti di Henrietta, Virginia. Blue, nata e cresciuta
in una famiglia di sensitive, vede per la prima volta uno spirito e
capisce che la profezia sta per compiersi: è lui il ragazzo di cui
s'innamorerà e che è destinata a uccidere. Il suo nome è Gansey ed
è uno dei ricchi studenti della Aglionby, prestigiosa scuola privata
di Henrietta i cui studenti sono conosciuti come Raven Boys, i
Ragazzi Corvo, per via dello stemma della scuola, e noti per essere
portatori di guai. Blue si è sempre tenuta alla larga da loro, ma
quando Gansey si presenta alla sua porta in cerca di aiuto, pur
riconoscendolo come il ragazzo del destino non può voltargli le
spalle. Insieme ad alcuni compagni, Gansey è da molto tempo sulle
tracce della salma di Glendower, mitico re gallese il cui corpo è
stato trafugato oltreoceano secoli prima e sepolto lungo la "linea
di prateria" che attraversa Henrietta. La missione di Gansey non
riguarda solo un'antica leggenda, ma è misteriosamente legata alla
sua stessa vita. Blue decide di aiutare Gansey nella sua ricerca,
lasciandosi coinvolgere in un'avventura che la porterà molto più
lontano del previsto.
La recensione
“Cerca
di proteggere il tuo cuore. Non dimenticarti che lui dovrà morire.”
Iniziare. E da dove... Iniziare, e dal primo
incontro. Dal primo ricordo. Dalla prima sensazione: la più forte.
Maggie Stiefvater, per me, è colore. Un fazzoletto rosso sangue in
mezzo al bianco latte della neve appena caduta e non ancora
calpestata. Un contrasto che è una meraviglia, sempre, per ogni
senso capace di percepire la semplicità e l'universalità della
bellezza. Ci siamo incontrati in un bosco: brutto posto in cui
stringere amicizie. Eppure lei, così aggraziata e affascinante, con
passi da bambina che non facevano quasi rumore, non era l'orco
cattivo di una fiaba destinata a togliere il sonno a un piccolo
impertinente. Lei, con una storia che parlava del puro amore di Grace
e Sam e di meravigliosi lupi dagli occhi ambra, aveva messo in musica
l'inverno; un po' poetessa, un po' magica fata dei ghiacci. Shiver
era una storia delicata, soffice
e pungente come un timido fiocco di neve nella tormenta. Passando tra
le rose e le spine di una fantasia iperattiva, sfidando il clima e il
cielo intero, quel piccolo fiocco di gelo, con l'arrivo di un altro
freddo inverno, senza sciogliersi, è planato su del nero in
movimento. Un nero che palpita e fruscia, un nero che sa volare:
corvi. Altra ammaliante, grande dicotomia, bianco e nero – come
latte e petrolio, bene e male, innocenza e malizia. La Maggie che
ricordavo era poetica ed evocativa, romantica ed eterea. Una penna
che scorreva sul foglio senza stridori, con la grazia propria degli
angeli. Leggendo l'atteso Raven Boys ho
avvertito un cambiamento fortissimo, radicale: la trasformazione di
chi, dai sospiri languidi, passa all'azione. Il suo primo libro era
un delicato dipinto ad olio. Una tela piccola, ma con particolari che
rendevano i soggetti umani e reali come quelli immortalati in una
foto ad alta definizione. L'autrice, con un pennellino dalla punta
sottile, definiva magistralmente i dettagli, i chiaroscuri, le ombre
dei volti e quelle più segrete, del cuore. Aggiungeva quei
particolari, microscopici ma non impercettibili, che fanno la reale
differenza tra un capolavoro e un falso d'autore. Con questa nuova
storia – più complessa e intricata – mostra di avere, in quella
voce sempre riconoscibilissima, colori a sufficienza per offrire
scenografie, fondali, protagonisti e comprimari ancora più ricchi.
Raven Boys è un
quadro fortemente astratto nell'anima. Nato da esplosioni di colore,
schizzi di vernice, sprazzi ora vivaci, ora cupi di sentimenti che
odorano di tempesta. Una confusione geniale, vivace, coraggiosa e
consapevole in cui, tra toni caldi e toni freddi, sfumature diverse
che si sposano o litigano tra loro, emergono tre linee curve,
tracciate da una mano imbranata che voleva disegnare solo un comune
triangolo, o dagli strani architetti che hanno ideato anche le nostre
vite mortali. Invisibili e onnipresenti, simboleggiano le
linee di prateria e, misteriose
e sulla bocca di tutti, sono tutto ciò di cui i personaggi parlano,
tutto ciò che vogliono, tutto ciò su cui, attraverso trame e
sottotrame infinite, indagano, insieme ai lettori, con la curiosità
a mille e la speranza negli occhi. Queste linee, a fine lettura, si
sono moltiplicate. Si sono intrecciate e annodate, si sono tolte
l'elasticità e il respiro. Non restano, per il momento, che i fili
di lana di un gomitolo di cui non saprei distinguere ormai più
l'inizio dalla fine. Questa recensione gli somiglia un po'. Dovrei
pur partire da qualche parte io, quindi partiamo dalla storia di un
bacio e dalle donne del 300 di Fox Way.
Mi sembra una scelta saggia. La famiglia di Blue Sargent è strana:
non ci sono uomini, e quel fragile e unico regno di segreti e
femminilità incontrastata vive di candele fatte a mano, rituali al
chiaro di luna, tisane bollenti, spezie dai nomi esotici e letture
dei tarocchi a buon prezzo. Blue – forse nata senza un padre, forse
trovata sotto un cavolo – è la pecora nera di quell'arem
rustico e pittoresco a cui, una mattina, si è aggiunto un membro in
più.
Aprendo la porta, si è trovata davanti Neeve, una zia
acquisita che si va ad aggiungere, con le sue passioni arcane e la
sua faccia decisamente telegenica, a una madre bugiarda e a una
coinquilina speciale con i capelli più lunghi di una prodigiosa
Raperonzolo. Mamma Maura l'ha predetto, zia Neeve l'ha ribadito ancor
prima di dirle ciao:
Blue ucciderà il vero amore della sua vita. E lo farà al primo
bacio. Lo sfortunato ragazzo si chiama Gansey, e ha sedici anni.
Adolescenti che si amano, ma che non possono; anime gemelle che
pagherebbero anche un casto, innocente sfiorarsi di labbra con la
morte. Grandi amori, grandi amori a prima vista, grandi amori
ostacolati: voi limitatevi a dimenticare quello che avete letto in
precedenza. Perché Blue – e lo sa – non correrebbe il rischio di
innamorarsi di Gansey nemmeno per errore: s'incontrano alla tavola
calda in cui lei lavora nel weekend e si respingono come calamite
pazze. Lui, pieno di diffidenza, guarda i vestiti tagliuzzati di lei
e l'espressione truce che sfoggia soltanto quando è in sua presenza;
lei, piena di rabbia repressa, guarda lo stemma a forma di corvo sul
maglioncino impeccabile di lui, il suo portafogli schifosamente
rigonfio e il fare sicuro di chi crede di rimediare a ogni offesa con
un sostanzioso assegno. No, dimenticate anche quello che vi è venuto
in mente ora: non si detestano per finta, per poi scoprirsi
perdutamente arsi dal fuoco della passione. Entrambi credono molto
alle prime impressioni, e quella prima impressione è catastrofica.
Poi a Gansey non piace Blue e a Blue piace Adam, l'amico più timido
e insicuro di quel figlio di papà che, nel tempo libero, fa viaggi
in elicottero e va alla ricerca di tombe di re sepolti. Gansey, come
Blue, vive in famiglia: una famiglia composta da quattro adolescenti
non legati dallo stesso cognome o dal medesimo DNA, solo dalla voglia
di non essere soli. Come i bambini perduti di
Peter Pan si sono
trovati in un'alternativa Isola che non c'è che
ha le fattezze di un monumentale capannone industriale, costruito
alla periferia della città in cui tutti parlano di loro. Abitano una
casa infestata, come i protagonisti di una sitcom tutta al maschile,
ambientata su un divano logoro e tra le quattro pareti con le
mattonelle a vista di un appartamento circondato da piante selvatiche
e sporchi prefabbricati. Gansey – così irritante, così saccente –
è un ottimo padrone di casa, un autentico collante per quattro vite
altrimenti tristissime: per hobby, cerca cose. E riempie di post-it
fitti fitti papiri di cartine geografiche, e cura con solerzia la sua
amata piantina di menta, e passeggia – quando i ricordi lo
opprimono – tra le strade di latta e cartone della Henrietta
artificiale che ha ricreato nel suo studio.
I suoi compagni,
nell'esclusiva e costosa vita scolastica presso la prestigiosa
Aglionby, sono il già noto Adam, che sotto il maglione con lo scollo
a V non sa nascondere la camicia a basso prezzo che, con la sua
violenta famiglia residente in una casa a quattro ruote, ha potuto
permettersi; il pallido e silenzioso Noah, che dorme notte e giorno e
ha sempre la faccia impiastricciata di qualcosa; e infine Ronan, il
ragazzo più difficile e indimenticabile del gruppo: capelli
cortissimi, faccia poco raccomandabile, modi bruschi e nocche sempre
livide, un amore naturale per le lingue morte. Parla correntemente
latino, infatti: con le piante, perlopiù. Sono testimoni, tutti
insieme, di quella rara forma d'amore detta amicizia. La più
spontanea, nata dal nulla semplicemente perché doveva;
perché era destino che fosse. Si vogliono bene, ma non se lo dicono:
le smancerie meglio riservarle alle ragazze, ai pigiama party e alle
feste scandite dalle canzonette dei One Direction. Si aiutano e si
prendono a botte, perché l'orgoglio è forte e, a volte, anche se
serve, l'aiuto non si vuole. Si chiamano nel cuore della notte;
compensano – con la loro presenza costante – a legami familiari
vuoti a perdere. Eppure non conoscono i loro colori preferiti, i loro
orari a lezione; perfino i loro cognomi, a volte. Blue, con l'energia
che letteralmente emana e che la rende il “tavolo da Starbucks che
tutti voglio”, porterà uno sguardo femminile all'interno di quella
storia in blu e, con i saggi consigli di mamma, li aiuterà in
un'avventura d'altri tempi, sottratta nostalgicamente ai ricordi
intensi dei Goonies, alle
pagine più belle di Stagioni diverse,
ai canti del ciclo arturiano. Lungo il tragitto, uno straordinario
comprimario: un personaggio ricorrente, ormai. Un bosco sospeso nel
tempo, che sibila parole tra le foglie, realizza desideri e permette
ai Ragazzi Corvo di camminare, sorprendentemente, tra gli anni e le
stagioni. Io sono un gran tradizionalista, sostanzialmente, e non
sempre le novità mi colpiscono come dovrebbero. Raven Boys
è una novità, ed una novità
decisamente autentica che – in tutta sincerità – devo ancora
assimilare bene. E' un libro diretto magistralmente, senza pause e
tempi morti: il punto è che ci viene svelato pochissimo, cosa che
può essere un pregio e un difetto al tempo stesso. L'elemento
fantasy è capace di intrigare, ma la Stiefvater crea una magia
atipica, terrena, nebbiosa e sfuggente e, quando dovrebbe essere
giunto il momento di svelare tutto, il libro finisce.
L'epilogo mi ha
lasciato così, con un misto di euforia, confusione, felicità. Con
la voglia di urlare contro alla Stiefvater, di leggere ancora la
stessa storia, di avere ora e subito il seguito tra le mani. E di
buttare anche un po' dalla finestra questo libro tanto bello e tanto
strano. Il punto è che, sebbene troppo rimanga ancora avvolto
nell'impenetrabile cortina del bosco e nelle sue nebbie, la
Stiefvater ha riempito queste quasi 500 pagine di piccole perle.
Quelle pagine sono piene di personaggi meravigliosi, che – con la
magia o meno, le linee di prateria o meno – sarebbero stati
meravigliosi lo stesso, se descritti con la stessa possente
delicatezza. Maggie Stiefvater, ora lo so, può scrivere di tutto.
Crea immagini che non ti lasciano e protagonisti che non ti
abbandonano. La stessa scrittrice che mi aveva regalato l'incipit
indimenticabile di Shiver sa
far nascere la vita da una goccia d'inchiostro, da un dettaglio
piccolissimo. Ricorderò per sempre il solitario filo scucito del
pullover buono di Adam; la siringa d'emergenza nel cruscotto di
Gansey e la sua scorta inesauribile di lenti a contatto; la chiesa
che aveva accolto il sonno agitato di Ronan, dandogli una panca di
legno su cui chiudere gli occhi e un piccolo amico, dalle piume nere
e arruffate, nell'incavo del braccio muscoloso. Questo Raven
Boys, per me, non rientra tra
quei libri che non riesci a mettere giù, se non nel cuore della
notte, quando si è giunti ai ringraziamenti. Lasciare il libro per
un po' e prenderlo in mano il giorno successivo non era un
peso. Tutt'altro... Sapevo che avrei trovato ancora quella banda
fantastica di amici, l'indomani, e mi svegliavo contento. Meno
orfano. Meno solo. Meno strano. E più magico.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Passenger - Let her go
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