Recensione Raven Boys di Maggie Stiefvater.

Creato il 09 gennaio 2014 da Valentina Seminara @imatimehunter
Avete letto di me e dei miei deliri su facebook, sbirciato un po' del mio entusiasmo grazie all'ultimo post della rubrica Chi ben comincia..., dove vi presentavo l'incipit di questo libro, e adesso eccoci qui. Con la recensione. Rileggendola, riesco ancora a rievocare quel che ho provato leggendo Raven Boys, e adesso vorrei solo sprofondare in silenzio nel secondo volume della Raven cycle di Maggie Stiefvater. Chi mi conosce sa che il mio primo approccio con quest'autrice non era andato a buon fine: leggere Shiver mi aveva suscitato qualche emozione, coinvolgendomi in una piacevolissima storia d'amore e di lupi, non abbastanza però da invogliarmi a continuare la serie. Eppure, adesso che l'autrice è passata dai lupi ai corvi -con qualche altro intermezzo che credo andrò ad approfondire-, nella mia mente il suo nome ha fatto un gran salto avanti. Un ENORME salto avanti. In questo momento vorrei essere in un posto ben preciso. Henrietta, magari...

Raven Boys (The Raven Boys)Maggie StiefvaterRizzoli460 pagine20 Novembre 201316,00€★ ★ ★ 
Le donne di casa le esaminavano di continuo il palmo, le facevano le carte; disegnavano rune, interpretavano sogni, interrogavano le foglie di tè e facevano sedute spiritiche. E tutte giungevano alla medesima conclusione, così bruta e inspiegabilmente specifica.” Nata in una famiglia di chiaroveggenti, Blue Sargent, sedici anni, fin da piccola sa che con un bacio ucciderà il suo vero amore. Ora però a quanto pare il momento è prossimo: prova ne è la visione che Blue ha nella notte della vigilia di San Marco, quando gli spiriti dei futuri morti di Henrietta, una cittadina della Virginia, si mostrano alle veggenti Sargent: Blue vede lo spettro di Gansey e apprende che è proprio lui il suo vero amore, e quindi la persona che ucciderà. Fatalità vuole che Gansey di lì a poco si presenti alla porta delle Sargent per un consulto magico: da anni è sulle tracce di Glendower, mitico re gallese la cui salma è stata trafugata oltreoceano secoli prima e sepolta lungo la linea temporale che attraversa Henrietta. Blue decide di aiutare Gansey, e si ritrova coinvolta nella ricerca di questa sorta di Graal insieme agli altri Raven Boys, i problematici studenti della scuola che Gansey frequenta. Ma questo è solo l’inizio dell’avventura.


«Sei la figlia di Maura» disse Neeve, e prima che Blue potesse rispondere, aggiunse «quest'anno ti innamorerai.»
Le donne della famiglia Sargent sono fuori dal comune, e non solo per la loro capacità di predire il futuro con strambe frasi generiche che, in un modo o nell'altro, si avverano sempre. C'è chi ricorre alle carte, o alla lettura della mano e altre tecniche, per un consulto, lì a Henrietta, in Virginia, e Blue è abituata al via vai di gente preoccupata, confusa, impegnata nell'interpretazione di ciò che è stato loro detto, pronta ad analizzare attentamente ogni avvenimento seguente. Solo lei non ha margini di errore nel definire chiaramente quello che le Sargent hanno detto su di lei: avrebbe ucciso il ragazzo di cui si sarebbe innamorata con un bacio. Una profezia che non può dimenticare neppure volendo, impressa nella mente per tutte le volte in cui, nella speranza di un responso differente, le è stato rivelato il futuro. E poi, non appena un'altra delle famigerate donne di famiglia arriva in paese, sorellastra di sua madre, le rifila un avviso della serie detto-fatto, dal quale Blue non può, ancora una volta, fuggire. Con un inizio così, nel solo prologo, Raven Boys mi ha rapita. Il perché -o almeno, uno dei tanti- è semplice : sono convinta che il momento in cui l'autore deve dare il meglio di sé sia l'inizio. E' soprattutto da lì che spesso si decide o meno se continuare a leggere, se il desiderio e l'ispirazione e l'impulso spingono verso le pagine di quel determinato libro. Parlo dei capitoli iniziali, del prologo, del primo rigo. Se quello riesce a suscitare in me curiosità, a far scoccare una scintilla capace, se alimentata, di dar vita ad un fuoco più grande, allora il libro è mio, e nessuno può togliermelo dalla testa. Avevo già letto la trama, sentito parlare del libro, ma non appena i miei occhi si sono posati sulla frase "Blue Sargent non ricordava più quante volte le avessero detto che avrebbe ucciso il suo vero amore.", la nominata scintilla mi ha bruciata.
In un misto di esasperazione, rassegnazione e timore, Blue deve destreggiarsi tra un futuro incerto ma definito, e un presente mediocre in ambito di soddisfazioni. All'interno della sua famiglia, così dotata e predisposta al paranormale, lei è un po' la pecora nera, capace solo di fungere da amplificatore soprannaturale, vittima di una profezia sinistra e fastidiosa, fino ad allora troppo lontana per sembrare verosimile, e comunque sempre presente, ma nient'altro che la etichetti realmente come una di famiglia. E' strana, calma e responsabile, conscia di molte di quelle cose che i ragazzi della sua età ignorano senza accorgersene, come il voler dire cose che gli altri non direbbero -indossare cose che la fanno sembrare stramba-, o vedere cose che loro non potrebbero mai vedere, legate al paranormale o semplicemente al suo modo di osservare il mondo. E questo suo animo quieto-inquieto, ragionevole e sognante, all'inizio la faceva apparire sfuocata ai miei occhi, ma allo stesso tempo anche come l'unica cosa concreta fra la moltitudine di donne e poteri nella sua famiglia. Non è la solita eroina col mantello che svolazza nel vento, poiché il ruolo di protagonista è equamente diviso tra lei ed altri personaggi, il che mi ha permesso di intuire e intrecciare i vari elementi della storia grazie ai diversi punti di vista.
Con l'arrivo dei corvi, di un obbiettivo da perseguire, di domande continue che si susseguono nella sua mente -e per cui vuole trovare delle risposte-, Blue si accende di determinazione -una determinazione saggia, costante, un calmante per la mia mente fin troppo presa dalla lettura. Non c'era niente di noioso, eccessivamente lungo o breve, troppo dettagliato o troppo smilzo: se la parola d'ordine era equilibrio, la Stiefvater l'ha raggiunto.
Oggi, pensò Blue, è il giorno in cui smetto di ascoltare il futuro e comincio a viverlo.
Più mangiavo, leggevo, e più avevo fame di dettagli.
Prendiamo per esempio le Sargent. Immaginavo la famiglia di Blue come un'accozzaglia di eccentriche donnette dalla chiacchiera lunga e instancabile. Invece, oltre a lunghe telefonate, bisticci per i telefoni e abitudini parecchio discutibili, sembrano condividere la medesima calma della protagonista. Le ho prese subito in simpatia, dalla madre che, anziché raccomandarle di non fare tardi quando esce, le dice di non baciare nessuno -macabra ironia?-, alla zia imperturbabile appena arrivata che mostra una certa fissazione per le ciotole, le candele e le ossa, una cugina raramente visibile vive ad un metro dal telefono, e due migliori amiche -della madre, non sue- di certo non normali sanno essere accorte e sibilline, eccellenti nel far esasperare le persone. Un cast magnifico, in continua evoluzione, veggenti dalle punte delle dita dei piedi a quelle dei capelli, instancabili e incredibilmente dotate. L'affetto che la protagonista femminile prova per loro faceva da specchio al mio; mi c'è voluto un po' di tempo per inquadrarle, ma sono esilaranti, e pian piano mi sono resa conto che non erano solo i personaggi principali ad attirare la mai attenzione, ma tutti, e molto, tanto da farmi girare la testa!
Lo stesso vale per loro. Alla Vigilia di San Marco, sacra per le veggenti e i morti, Blue ne vede uno. Un morto, intendo. Peccato che si tratti del ragazzo di cui si innamorerà, o che ucciderà. O entrambe le coseGansey è lì, vagabondo e confuso, è tutto ciò che c'è agli occhi timorosi, curiosi ed euforici di Blue, ed è il primo e l'unico spirito che gli occhi di lei siamo mai riusciti a vedere fra coloro che, la notte del 24 Aprile, si mostrano alle conoscitrici del paranormale come persone che moriranno nel giro di un anno. Quando Blue si rende conto di chi lui potrebbe essere, capisce che qualcosa, nel suo destino, è in procinto di muoversi, che la profezia che da sempre pende su di lei potrebbe davvero avverarsi.
Gansey, però, è ancora vivo e vegeto, da qualche parte a Henrietta, più vicino di quanto possa immaginare. E con lui, Ronan, Adam e Noah, i Raven Boys. Non si sono dati loro questo nome, e non somigliano alle Winx in versione maschile. Già prima di leggere il libro, il significato del titolo m'incuriosiva moltissimo. Questa mia curiosità è stata in parte soddisfatta già alle prime pagine: ragazzi corvo sono gli studenti dell'Aglionby, un liceo maschile per veri ricconi, le cui uniformi riportano l'emblema di un corvo. Ma il corvo è anche il simbolo di Glendower, uno degli antichi re gallesi il cui corpo pare essere nascosto da qualche parte lungo le linee di prateria, linee che collegato zone spirituali, fatte di energia, e che loro vogliono portare allo scoperto. Gran parte della vita di Gansey gira intorno a questa figura evanescente, in grado, si dice, una volta risvegliato, di soddisfare il favore di chi gli ha ridato luce -un re dormiente, giacente da qualche parte, da secoli, non esattamente morto ma, beh, dormiente- ed è determinato a trovarlo. Il suo entusiasmo -anche se è molto più di questo- è talmente contagioso e carismatico che, se fossi anch'io un personaggio del libro, mi sarei unita senza pensarci due volte a quella strana compagnia di ragazzi corvo. Gansey è ostinato in modo garbato, deciso, animato da un bisogno smanioso di trovare ciò che cerca -che sia per servire l'umanità donandole un segreto del quale era all'oscuro o per l'importanza stessa della scoperta, di essere parte di qualcosa, di trovare finalmente qualcosa che non gli avrebbe dato tregua fino alla morte-, magari dopo un giro sulla sua tentennante Camaro arancio. L'irrequietezza e l'ingenuità, a ratti, di questo ragazzo, cozza con il suo lato sofisticato e formale, un po' tormentato, presente in un'ampia variante di sfumature negli altri membri del quartetto. In Ronan è pura, glaciale, finzione, scontroso con il mondo intero, ostile per gentilezza, sincero e diretto in modo apprezzabile -se sai come trattarlo, il che spesso è una grande impresa. In Adam è educazione e protezione, un muro che impedisce agli occhi della gente di etichettarlo come quello povero, indegno di un posto -e di una compagnia- tanto più al di sopra dei suoi livelli. E poi c'è Noah, solitario, tenero e vagamente inquietanteformale gioca qui uno strano ruolo, come aggettivo -equivoco, direi. Sono quattro, a ben dimostrare che si può essere apparentemente snob e fantastici in quattro modi diversi. Mi è piaciuto che Blue continuasse a chiamarli ragazzi corvo, come se li insultasse e sorridesse intenerita contemporaneamente, mettendo un muro fra lei e loro pur volendo anche farne parte. E si inserisce nel gruppo in modo naturale, dando l'impressione di essere lì da sempre. Meglio, dando l'impressione di essere sempre stata destinata ad incontrarli e mescolarsi a loro. Ogni personaggi è incredibilmente complesso e indiscutibilmente fondamentale, da la costante sensazione che ciascuno nasconda qualcosa pur nella propria vaga sincerità. Ho amato ogni cosa di strambo gruppo.
La storia, poi, è incredibile. Non ci sono abissi di distinzione fra leggenda passata e avvenimenti presenti, sono fili di un'unica matassa, perfettamente legati, impensabile anche solo volerla districare. Ho apprezzato tantissimo questo, il fatto che l'autrice non si sia limitata a scegliere la mitologia di fondo su cui si basa un libro -il solito c'era una volta, quando questa società è nata...-, muovendo poi i personaggi sulla sua superficie e piazzando il mistero di tempi remoti infinitamente più infondo, in attesa di essere scoperto. Qui Henrietta vive di misticismo e segreti, si ciba di menti intelligenti e vogliose di scoprire, consce quanto lei dell'importanza di ciò che la terra custodisce, e mi sembrava di essere parte integrante di tutto questo, un disegno complesso e grandioso di cui dovevo assolutamente fare parte. Quando si parla di leggende, drizzo sempre le orecchie, non importa da dove provengano. Mi affascinano e mi ammaliano e mi stregano. Ecco, la storia ha avuto su di me la stessa, identica, fortissima presa, e lo stile dell'autrice ha reso al meglio l'intera ambientazione; sembrava di udire la cadenza roca e ritmica di una voce venuta dal passato che racconta, avvolge, conquista, che abbraccia tutto ciò che percepisce rendendolo fonte di parole: è grazie a questo carisma incredibile, evidentemente presente in ogni pagina, che ho sentito l'eccitazione per le scoperte, ogni delusione e timore, ogni sentimento confuso ed emozione prorompente di questo romanzo, denso e intenso come capita raramente. Sentivo l'infantile bisogno di sfogare le mie emozioni senza tante cerimonie, con trasporto e autenticità, piena di tante, troppe sensazioni, tutte profonde, precise, mai sfuggenti.
Vorrei anche accennare di quella coppia che tutti quelli che non hanno letto il libro si aspettano di sentir nominare, ma, ecco, farlo mi da la sensazione di creare un equivoco dietro l'altro. Storia d'amore? Non esattamente, ma certi momenti, e certi personaggi, si comportano proprio come se ci fosse qualcosa da dire in merito. E' così e non lo è. Ma una cosa posso dirvi: Gansey e Blue sono inaspettatamente simili. Entrambi pensano alla scuola come un elemento secondario della loro vita, non indispensabile per il loro futuro. Credono invece di essere destinati a fare altro, o che qualcosa aspetti loro in particolare. Anche se separati, la sensazione che provavo, leggendo, mi suggeriva quanto invece fossero vicini, inconsapevolmente, o quasi, alla ricerca l'uno dell'altra. In maniera più ridimensionata, ma assai presente, avviene con gli altri Raven Boys. C'era qualcosa di strano e complicato in tutti quei ragazzi, pensò; strano e complicato nello stesso modo in cui anche il diario lo era. Le loro vite erano una specie di rete, e lei si sentiva di aver fatto qualcosa per cui si era ritrovata intrappolata proprio sull'orlo. Che quella cosa fosse accaduta in passato o fosse in procinto di accadere sembrava irrilevante. Questo legame, fra tutti loro, è particolare, difficile da descrivere. Dovevano incontrarsi, conoscersi, fare amicizia, incastrare le loro essenze a quelle dei compagni, quasi come fosse inevitabile, stabilito dal destino, ciascuno con il proprio ruolo. Più di tutto, è il senso di predestinazione intessuto su una leggenda tanto antica e interessante ad avermi coinvolta.
Questo libro diventa un serie di forti aspettative del lettore mai soddisfatte con precisione, ma aggirate e superate, migliorate. Raven Boys è come la ricerca del Re Corvo: densa, estenuante, entusiasmante, un rompicapo vivente, complessa e spesso fuorviante, ma ammaliante come solo una leggenda sa essere, suscita il desiderio di arriva fino alla fine, a tutti i costi. Ci si aspetta il classico finale scioccante che lascia col fiato sospeso fino al volume successivo. Anche qui, lo è e non lo è. Il finale è una cosa assurda, fatto di sorrisi-maschera, piccole verità, avvenimenti inaspettati perché, in verità, ci si aspettava qualcos'altro, tutto amalgamato in questo strano ritmo placido e amichevole, di poche parole. Complicato da digerire se siete consapevoli di dover aspettare mesi prima di poter stringere la copia italiana del secondo volume. E io non lo farò. Non posso. Nie. Devo recuperare il secondo, passo e chiudo.

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