Remember, un film di Atom Egoyan. Con Christopher Plummer, Martin Landau, Bruno Ganz, Jürgen Prochnow.
Il dopo-Shoah diventa un revenge movie. Un ultraottantenne sopravvissuto ad Auschwitz va a cercare l’aguzzino che sterminò la sua famiglia. Con l’obiettivo di ucciderlo. Un thriller fuorischema (lo si potrà definire geriatrico?) che funziona bene nonostante le troppe inverosimiglianze, e con un clamoroso colpo di scena finale che vi inchioderà. Atom Egoyan solo qua e là torna a essere il regista di un tempo, ma conduce l’impresa con mano professionale. Voto 6+
Dopo due film deludenti (Devil’s Knot e il parecchio brutto The Captive – Scomparsa visto in concorso a Cannes 2014 e dal prossimo 10 febbraio in Italia in dvd) il canadese di radici armene Atom Egoyan realizza stavolta un decorosissimo film di genere, dove ogni tanto (ma proprio ogni tanto) lascia trapelare quella capacità di creare atmosfere torbide e ambigue che lo distinguevano ai tempi belli. Questo è il classico prodotto in cui a contare sono soprattutto lo script, la sua forza, la sua compattezza, e la scelta degli attori. Pensare che lo sceneggiatore, Benjamin August, è uno fuori dai giri grossi e continua a vivere lontanissimo da Hollywood in Vietnam, dove insegna inglese, con la famiglia. Siamo al revenge-movie ibridato con – si potrà definirlo genere, nel senso di modello narrativo codificato? – l’Holocaust-movie. Sopravvissuti dei campi di sterminio (o loro parenti) decisi a stanare gli aguzzini e a fare giustizia pubblica o privata – e se ricordo bene, anche il Sean Penn del film americano di Sorrentino, This must be the place, si faceva il suo bel coast to coast per scoprire un criminale nazi. Stavolta siamo in una struttura ebraica per anziani in una qualche parte degli Usa, con l’ultraottantenn Zev Guttman neovedovo dell’adorata moglie che, per via della demenza senile intermittente (è un dettaglio fondamentale nell’economia del plot), lui crede di avere ancora accanto. È l’amico Max, pure lui ospite della struttura, a ricordargli la promessa fattale in punto di morte, andare a cercare il Blockführer che ad Auschwitz aveva sterminato le loro famiglie e ucciderlo. Nome: John Kurlander, ma è solo l’identità fittizia assunta in America per coprire quella vera di Otto Wallisch. È Max, ancora in possesso della sua lucidità mentale, a mettere a punto il piano che Zev dovrà eseguire. La fuga, l’acquisto di una pistola, le indicazioni per raggiungere gli indirizzi sparsi tra Usa e Canada dei vari John Kurlander che hanno l’età giusta per essere quello vero. E si comincia, in questo revenge insolito non solo per il movente del giustiziere, ma per l’aria di sfacelo biologico, di decrepitezza che circola dappertutto – è quasi nonuagenario Zev, altrettanto lo è la vittima designata -, ed è tutto un trionfo di sedie a rotelle, protesi dentarie, corpulenti badanti-infermieri, flebo pastiglie punture e punturine, e ricordi che tornano o svaniscono a seconda di come va l’Alzheimer. Devo dire che, specie nella prima parte, Egoyan non rinuncia a nessuno dei cliché con cui si è usi rappresentare la vecchiaia estrema, con un Christopher Plummer al solito bravissimo e però esagerato e mai frenato dal regista nei tremolii, nei balbettii, nelle improvvise amnesie, negli spaesamenti e sperdimenti ora buffi ora patetici, insomma tutto il repertorio consolidato da Lear in giù. Va un po’ meglio quando si entra nella ricerca del vero John Kurlander, e ogni volta che Zev ne scova uno ti chiedi se sia quello giusto (succede che, mentre sta per mettere mano alla pistola convinto di aver di fronte l’assassino, ecco che l’ennesimo Kurlander di turno gli dice di essere stato sì a Auschwitz, però non come aguzzino, ma come detenuto omosessuale). Non tutto sta in piedi in questa storia, anzi le inverosimiglianze sono parecchie. Per dire, come fa un quasi novantenne a starsene in giro per un bel po’ tra Canada e Stati Uniti senza essere intercettato? Oggi che basta l’uso di una carta di credito o di un cellulare per essere tracciabili e rintracciabili. Ma la coerenza e la credibilità non sono così importanti in film come questi, dove a contare sono i twist, la tensione prodotta, l’abilità di inchiodare il pubblico alla poltrona. Hitchcock docet. E il film merita se non altro per il finale, che potrà sembrare, e lo è, meccanico e artificioso, ma che è un colpaccio di scena che mai e poi mai ti immagineresti, e chi, come me, ama i congegni narrativi continuamente rovesciati non se lo lasci sfuggire. Almeno in una parte, quello dell’arrivo di Zev nella casa del poliziotto figlio di nazi, Egoyan torna a essere il regista di un tempo, riuscendo – con quel lupo tedesco abbaiante, con quel cielo plumbeo, quella cava polverosa e lugubre sullo sfondo, quei cimeli sinistri – a produrre un senso di allarme, di minaccia, che non se na va via. Proiettato lo scorso settembre in concorso a Venezia e molto apprezzato dai critici italiani (ormai tristemente leggendaria una recensione che lo salutava più o meno come un capolavoro, relegando e stroncando alla fine in tre righe il magnifico futuro Leone d’oro Desde Allá), Remember non è arrivato in zona premi, e però ha fatto la sua discreta figura, e potrebbe diventare adesso, se ben sorretto dal marketing, un buon successo al box office.