Autore: Giovanni Mosca
Editore: BUR – Rizzoli
ISBN: 9788817125680
Numero pagine: 212
Prezzo: € 7,00
Voto:
Trama:
Il più celebre e personale tra i romanzi di Giovanni Mosca, Ricordi di scuola, narra le vicende e le “cronache dal campo” di un maestro negli anni ’30. Un maestro un po’ speciale, non inflessibile o severo, come si tenderebbe a pensare data l’epoca, bensì un istitutore con dei sentimenti, comprensivo con i propri alunni, che magari nutre delle preferenze dentro di sé ma non fa distinzioni, il cui modo di fare è spesso permeato di leggera ironia, mista a tenerezza. Non si creda sia per questo uno sprovveduto, anzi, ha ben in mente i tempi in cui si trovava lui dall’altra parte della barricata, e talvolta sfrutta le sue reminiscenze a proprio vantaggio, per non uscire schiacciato nel confronto coi ragazzi. Degli allievi, egli tiene presente la diversa estrazione sociale, le condizioni familiari, ma soprattutto, cerca di comprenderli a livello psicologico.
Io vi parlo qui del tempo in cui, ragazzi, andavamo a scuola; del tempo che vorremmo tornasse, ma è impossibile. Dei sogni, delle speranze che avevamo nel cuore; della nostra innocenza; delle lucciole che credevamo stelle perché piccolo piccolo era il nostro mondo, basso basso il nostro cielo. Vi parlo delle stesse cose che voi ricordate, e se ve le siete scordate v’aiuto a ricordarle. Di quelle cose perdute che voi ora ritrovate nei vostri figli e vorreste – tanto sono belle – che non le perdessero mai.
(Giovanni Mosca)
Recensione:
I dati inseriti nella scheda della recensione, purtroppo, risalgono all’edizione del 2001. Quella in mio possesso, invece, risale al 1939: è un libro ingiallito, squinternato, con le pagine ispessite dal tempo e dalle infinite riletture. Lo stile è semplice, lineare, e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi dopotutto di un libro che veniva consigliato alle scuole medie. Certo, si nota la distanza lessicale: l’italiano della Roma in epoca fascista non è quello delle scuole attuali, così come tutto il resto dell’impianto scolastico.
Ho letto Ricordi di scuola per la prima volta alle elementari, e da allora ho cominciato a sognare quello che avrei voluto arrivare a fare “da grande”: il maestro. Ora che ci sono arrivato, e proprio in una scuola elementare, era doverosa l’ennesima lettura.
La magia di questo romanzo in forma di diario non è mai venuta meno nel tempo. Mi ha sempre fatto sorridere, intenerire, perfino commuovere. Indipendentemente dall’epoca, esiste sempre un legame particolare tra una classe di bambini e un maestro giovane, ancora fresco di studi. Ricordo che guardavo le maestre con un misto di interesse, affetto e riverenza, ed è ogni volta un’emozione riconoscere sguardi simili negli occhi dei miei alunni. Oggi hanno videogiochi e diavolerie elettroniche, allora avevano pennini e soldatini, ma tante cose sono ancora tali e quali: portare al maestro un disegno, una caramella (già scartata), un aneddoto per mostrare anche ai compagni un minuscolo taglietto già rimarginato ma con il valore di una ferita di guerra, distrarsi perché dalla finestra una coccinella si è avventurata su qualche banco, piangere da spezzare il cuore dopo un rimprovero per poi dare il meglio di sé nel compito successivo e sfoggiare il miglior sorriso sdentato…
Ma la più grande bellezza del racconto, per me, sta nei toni che lo accompagnano dall’inizio alla fine: fiabeschi e incantati, ma venati di una malinconia atavica che cresce fino allo struggimento. I bambini crescono, vanno avanti, e il maestro rimane da solo l’ultimo giorno di scuola, a guardarli correre via in un sole che è già estivo, con le tasche piene di regali e oggettini sequestrati durante l’anno. Fino a quando arriverà la pensione, di questi tempi tanto lontana e agognata, con tutto il suo strascico di vago rimpianto per un ambiente che, da solo, talvolta può aver significato più di tutta la vita stessa, permeandola e forgiandola per sempre.