Autore: Gian Carlo Ferretti
Editore: Bruno Mondadori
Anno: 2012
ISBN: 9788861596566
Lingua: italiana
Numero pagine: 233
Prezzo: € 20,00 (disponibile in eBook a € 14,00)
Genere: saggio
Voto:
Contenuto: È una storia dei rifiuti editoriali in Italia che integra, corregge o contraddice la storia dei libri pubblicati. Una controstoria, dagli anni venti a oggi, che viene qui raccontata per la prima volta in modo organico, con riferimento particolare alla narrativa italiana contemporanea. Un percorso istruttivo e avventuroso, che si sviluppa attraverso notizie e testimonianze, riflessioni e aneddoti, con tante piccole e grandi scoperte: dalle rinunce preventive autocensorie nel Ventennio fascista, a una lunga serie di rifiuti espliciti o mascherati, con le più diverse motivazioni, letterarie o mercantili, ideologico-moralistiche o diplomatiche. Si delinea così un microcosmo animato e variegato di case editrici come Einaudi, Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Adelphi, Garzanti, e di letterati-editori come Pavese, Vittorini, Calvino, Sereni, Gallo, Natalia Ginzburg, nel quale spiccano, accanto ai casi clamorosi del “Gattopardo” e di Guido Morselli, di Andrea Camilleri e di Susanna Tamaro, altre storie, ignote o meno note ma non meno significative. Mentre negli ultimi decenni i rifiuti tendono a ridursi progressivamente con la proliferazione di offerte, occasioni e sedi di pubblicazione per scrittori e scriventi esordienti o nuovi: lo scrittore inedito scompare, sostituito peraltro dallo scrittore che, se non ha successo, viene ben presto abbandonato.
Recensione: Non sono facili da contare le ragioni di un rifiuto. Non tutte, necessariamente, riguardano il merito dell’opera. Un ottimo testo potrebbe essere restituito al mittente per la politica di collana, per esigenze editoriali, per la situazione di mercato. Entrano in gioco moltissime variabili, tra le quali il ciclo di vita del libro, la fortuna di critica e di pubblico, la resa in termini di vendita. Spesso si ragiona sul fatto che se Joyce proponesse oggi il suo Ulisse, gli si chiuderebbe un bel po’ di porte in faccia. Ci si dimentica tuttavia che, a tempo debito, anche un romanzo come questo ha avuto le sue traversie.
Di rifiuto editoriale si può parlare in diversi termini. Può scaturire dalla decisione unilaterale dell’editore, dell’autore, o essere consensuale. Capita che non si addivenga a un accordo o si discuta senza soluzione su clausole contrattuali. Possono avere rilievo i tempi dovuti a correzioni e revisioni del testo, tagli compresi che non aggradano allo scrittore. Può basarsi su una solida cognizione di causa, su una valutazione attenta dell’opera, o su un pregiudizio di sottofondo.
Altre volte ancora il rifiuto è un trampolino di lancio per opere ripescate o riscoperte, una scuola per migliorare il testo rifiutato e proporre qualcosa di valido nell’immediato futuro. A tal proposito pare si muova una Provvidenza silenziosa che permette la pubblicazione di testi meritevoli e degni di conquistarsi un posto tra le librerie.
Insomma, non vale la pena di prendersela troppo. A chi soffriva per un rifiuto, Italo Calvino rispondeva in questo modo:
Avertela a male per un manoscritto rifiutato? Ma ti sembra il caso? Fallito: e perché? Falliti sono quei poveretti a cui editori troppo indulgenti […] hanno pubblicato i primi libri, per quella felicità che in qualche misura sempre c’è nei primi libri, e poi non hanno saputo continuare…
Il periodo più difficile è stato sicuramente quello tra 1925-1945. Il mercato editoriale libero era praticamente fermo per via della censura. Pubblicare significava rischiare sequestri e mutilazioni di opere non gradite al regime. Gli scrittori più determinati, non trovando un editore che rischiasse su di loro, pagavano di tasca propria. Così Moravia per Gli indifferenti, Lalla Romano per una raccolta di poesie, Giovanni Comisso, Mario Tobino per il suo Figlio del farmacista. All’epoca si diffidava del romanzo giallo e di Topolino.
Con il dopoguerra non mancano rifiuti clamorosi, quali Se questo è un uomo di Primo Levi, Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi. Opere che poi divennero veri e propri best-seller, con buona pace di tutti. Il caso più clamoroso fu Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di
Fra i gli altri mi ha colpito la vicenda di Salvatore Satta, uno scrittore sardo del quale Adelphi ha pubblicato, postumo, un romanzo molto bello, che mi fu messo tra le mani verso i quattordici anni, Il giorno del giudizio:
È un’anonima voce narrante a condurre la storia (è facile intravvedervi l’autore stesso). Tornato nella città natale in tarda età, col sentimento della fine prossima, il narratore decide di fare una visita al cimitero. Questo semplice episodio scatena in lui il vortice dei ricordi.
Alle vicende familiari dei Satta si accompagnano, a volte sovrapponendosi, a volte in parallelo, quelle della città di Nuoro e dei suoi personaggi, il tutto racchiuso in un contesto cronologico che va dagli ultimi anni del XIX secolo sino a quelli successivi alla Prima guerra mondiale. I riferimenti a fatti e persone reali sono per lo più abbastanza chiari (da qui l’ostilità con cui i nuoresi accolsero il romanzo), altre volte elaborati in modo evocativo e persino visionario, ma sempre con una sorta di amarezza latente che fa risaltare prima di tutto gli aspetti tragici o grotteschi della vita individuale e collettiva.
Nella narrazione non c’è alcuna pretesa naturalistica o mimetica, bensì fondamentalmente la resa di un’anima aristocratica (un po’ alla Giuseppe Tomasi di Lampedusa) al nichilismo e alla mancanza di senso dell’esistenza. Una sorta di Antologia di Spoon River in prosa, in cui i destini di tutti, giovani e vecchi, ricchi e miserabili, intellettuali e matti del villaggio si intrecciano e trovano compimento nell’inevitabile destino comune della morte [fonte Wikipedia].
Salvatore Satta l’ho conosciuto più tardi tra i banchi universitari, avendo preparato l’esame di procedura civile su un suo testo, senza collegare, all’epoca, l’insigne giurista allo scrittore.
Certamente la situazione odierna è molto diversa rispetto al passato. In primo luogo, avverte l’autore, il livello dei testi rifiutati oggi non è confrontabile con quello di un tempo. Inoltre si fa cenno a politiche editoriali meno definite, ad autori che troppo facilmente migrano da editore a editore, all’impressionante aumento degli esordienti, a novità spesso senza sbocco. Il rifiuto stesso ha ben altro rilievo, per il numero infinito di opportunità che consentono comunque, all’esordiente, di valore e no, di emergere.