Recensione: Sitael – La seconda vita

Creato il 11 agosto 2011 da Topolinamarta

Come promesso nelle “Letture di luglio”, ecco qui la recensione approfondita di Sitael – La seconda vita, romanzo d’esordio di Alessia Fiorentino.

Titolo: Sitael (1/3)
Sottotitolo: La seconda vita
Autore: Alessia Fiorentino
Genere: fantasy classico, lotta luce/buio
Lingua: italiano
Editore: Dario Flaccovio
Collana:  -
Pagine: 861
Anno di pubblicazione: 2010
ISBN: 9788877588463
Prezzo: € 22,00 (acquistato a 11€ su Comprovendolibri.it)
Formato: brossura
Valutazione

Qualcosa sull’autrice

Anche per questo libro mi sembra d’obbligo spendere qualche parola sull’autrice, sulla nostra Alessia Fiorentino (classe ’90). Di lei sappiamo che, prima di iniziare a scrivere il suo romanzo, non aveva mai letto niente di fantasy, anzi, non conosceva neanche questo genere. Aveva però il desiderio di leggere una storia fantastica, così invece che continuare invano a cercarla ha deciso di scriverla.
Ora, una delle regole non scritte che ogni autore dovrebbe rispettare è: scrivi solo di ciò che conosci. Vi state già chiedendo, dunque, come abbia fatto una quattordicenne a scrivere un fantasy così corposo senza mai aver letto nulla o quasi di fantasy? Anch’io ero molto curiosa di scoprirlo, perché mi è capitato spesso di leggere libri scritti da autori che affermavano di non essere mai stati dei buoni lettori… e la mancanza di un bagaglio di letture di fondo si faceva sentire. Con Sitael sarà diverso?, mi domandavo prima di leggerlo. Lo scopriremo insieme fra poco, perché la presentazione della nostra giovane scrittrice non è ancora giunta al termine.
Alessia Fiorentino, infatti, non ha scritto un libro soltanto: da quando aveva 14 anni fino ai 20 ne ha scritti ben sei, raggruppati in due trilogie, mentre la sua età anagrafica coincideva con quella del suo protagonista, Etenn. La stesura di ogni romanzo, in pratica, è durata un anno, in modo che Alessia ed Etenn avessero sempre la stessa età.
Di lei sappiamo anche un altro interessante particolare: come Alessia scrive nella sua presentazione, Sitael si è scritto da solo, quasi di getto. Un bene? Un male? Anche questo lo scopriremo presto.

Alcuni assaggini 

Entriamo subito nel vivo della recensione e cominciamo a esaminare il nostro libro: come i più arguti di voi avranno intuito guardando la copertina e come sarà facile intuire fin dall’inizio del libro, il bel ragazzo che vi troviamo, naturalmente, è Etenn, il protagonista della storia… per la gioia dei lettori che preferirebbero immaginarsi da soli i personaggi, piuttosto che trovarseli già belli e pronti.
So che questa può essere un’opinione oggettiva, ma per quanto mi riguarda quella di piazzare in copertina la faccia del protagonista non è proprio una gran trovata: e se a un lettore a caso (tipo me) la suddetta faccia facesse schifo? In questo caso ci sarebbe poco da fare, a parte cercare il più possibile di non guardarla: solo perché l’autrice si immagina il suo personaggio in questo modo, non significa che per me sia lo stesso. Un esempio sono quelle inguardabili righe nere attorno agli occhi che danno al personaggio un’aria decisamente emo: non mi risulta, perlomeno, che nel mondo di Etenn esiste l’eyeliner.
Vi invito a verificare di persona, inoltre, l’originalità della suddetta copertina, copiata pari pari da un’immagine di Frodo Baggins. Stessa identica posizione della mano, stesso sguardo profondo, quasi stesse pieghe del mantello… Semplice ispirazione? A me, sinceramente, sa più di plagio.*

Ad ogni modo passiamo oltre. Apriamo il libro e… magia! Niente cartina diciottoperventicinque!

In realtà, andando a curiosare sul blog dell’autrice, ho scoperta che la suddetta cartina esiste:

A parte i nomi random, un numero un po’ ridotto di città per un mondo così grande, la grossa riga nera che ha tutta l’aria di essere un fiume che va da mare a mare, la città del kattivo (Goriahm) piazzata nell’angolo più in alto al di là di una catena di cucuzzoli e le montagne stranamente tutte uguali, devo ammettere che non è malaccio come mappina fèntasi. C’è molto di peggio, perlomeno.
Non avendola sott’occhio mentre leggevo il libro, però, non ho potuto seguire i movimenti dei nostri personaggi, perciò non saprei dire se è stata disegnata tenendo conto della storia o se è stata realizzata alla “tanto per”. Inoltre, non è stata inserita all’interno del libro, e visto che questa è una recensione sul libro e non sull’intero background ideato dall’autrice per la sua storia, non ne ho tenuto conto nella valutazione del libro. Anche perché non avrebbe fatto una gran differenza, è chiaro.

Diamo un’occhiata alla fenomenale lista della spesa introduzione che si trova a inizio libro:

Benvenuti in un mondo
in cui avvengono cose straordinarie.
Alcune magiche e meravigliose.
Altre… terribili.
Ma alla fine voi,
e solo voi,
riuscirete a vincere.
Coraggio.
Lealtà.
E Luce.
Vi accompagneranno in questo lungo viaggio.
Pensate quello che volete,
ma questa storia… Già.
Questa storia è vera.

Solo a me viene spontaneo domandarmi come sia possibile che alla fine “noi” riusciremo a vincere, considerato che la storia è ambientata in un altro mondo? Mah, non chiedetemelo: siamo in un libro fèntasi, e tanto basta. Posso pensare quello che voglio? Molto bene: penso che chi ha scritto questa introduzione avrebbe potuto sforzarsi un po’ di più, perché così sembra provenire direttamente da un videogame. Solo che ci troviamo in un libro, e questo non è propriamente un bene.

Prima di proseguire, vi consiglio di dare una spizzicata al capitolo che la Dario Flaccovio mette a disposizione sul sito.

Dopo questa breve introduzione, ci troviamo con una delle cose che proprio non può mancare in un fèntasi, ovvero il prologo. Leggasi: la soluzione più sfruttata dagli scrittori pigri, che naturalmente preferiscono di gran lunga raccontare il tutto invece che mostrarlo nel corso del romanzo, per introdurre la loro storia. E Sitael, naturalmente, non fa eccezione.
In questo prologo scopriamo che la storia è ambientata a Lycenell, la “terra antica e lontana circondata dal mare”; conosciamo il mega-superkattivo di turno, ovvero Qurasch,  che è nientemeno che il figlio del Demonio in persona!

Ecco a voi il terribile Qurasch!!! Paura, eh?

Poi veniamo a sapere che il nostro amico Qurasch ha inventato un esercito di mostri brutti&kattivi di nome Varles, e un bel giorno decide di attaccare Varvaria, una delle città di Lycenell. Ma una donna di nome Regina riesce a fuggire e raggiunge Oreah, dove fa un patto con il Sole: fonderà in suo onore un ordine di cavalieri, i cui componenti sarebbero stati scelti per via del fykissimo potere di possedere la Luce. Il cambio il Sole donò il Sitael, che è un’altra fykissima arma in grado di distruggere Qurasch il Superkattivo, il quale a sua volta è l’unico che può distruggere il Sitael. Che botta di originalità, non trovate? Non c’è niente di più innovativo dell’epica ed eterna lotta tra la luce e il buio! E soprattutto, il kattivo veramente kattivissimo è un’idea che non si era mai sentita prima, nevvero?
Ecco, cara Alessia, cosa succede a voler scrivere fantasy senza aver mai letto nulla di fantasy.
Oddio, se è per questo non è vero neanche il contrario: esistono scrittori di vasta cultura del genere, i cui libri non sono proprio il massimo dell’originalità. Ma almeno dopo aver letto un discreto numero di libri fantasy, un lettore dovrebbe avere già un’idea di quali sono i cliché più tipici del genere, e di conseguenza dovrebbe almeno tentare di evitarli. Ma se non si conosce minimamente un genere, non solo si scadrà negli stereotipi più ovvi, ma lo si farà ignorando che ciò che si sta scrivendo non è esattamente l’idea più innovativa del mondo. L’unico punto a favore che mi sento di dare a questo prologo è il seguente: è conciso, non si perde in riflessioni e descrizioni inutili, e soprattutto è breve; i frequenti spazi, inoltre, lo fanno scorrere velocemente. Sempre meglio di un prologo stile Gli eroi del crepuscolo, in ogni caso.

Fine del prologo. Salto di ben 300 anni.
Ora ci troviamo a Varvaria, dove, ancora prima che sorga il sole, una donna esce di casa da sola, si allontana dal villaggio e attraversa prati e boschi prima di arrivare a una sorgente, dove si ferma e fa il bagno.
Notate niente di strano? Be’, spiegatemi se una cosa del genere è plausibile, visto che, come si capisce dopo poco, i Varles, i kattivi al servizio di Qurasch, sono ancora in circolazione! Da quando le ragazze in un epoca pseudo-medievale se ne vanno in giro sole solette in piena notte, si spogliano per farsi il bagno e rimangono lì tranquille senza che un qualche malintenzionato le noti?
Lo so, avete ragione: è fèntasi, non bisogna farsi problemi su queste cose!
Nella scena, però, compare anche un altro individuo: una figura nera dall’ombra nera, incappucciata di nero e che è seguito da una nebbiolina nera (chi sarà mai?), sale sul pendio roccioso che lo porta al di sopra della cascata, portando con sé un fagotto nero. Una volta arrivato in cima, getta il fagotto nella cascata, senza accorgersi della bella donna che sta facendo tranquillamente il bagno… Casualmente, però, il fagotto ritorna a galla e la donna lo solleva dall’acqua, lo apre e… sorpresa! C’è un neonato! *Stupore generale* Ma non è un neonato qualsiasi: è il più bel neonato che la donna abbia mai visto! Biondo, con gli occhi color oro… che chiedere di più? E indovinate un po’ il nome che viene affidato al piccolo: si chiamerà Etenn, che significa nientemeno che portatore di luce… e già a questo punto anche il lettore più ingenuo avrà capito tutto della storia.
Serviva tirarla per le lunghe per più di 800 pagine, anzi, addirittura per sei libri? Naturalmente sì, e scopriremo subito il perché.

Un minestrone di stereotipi

È questa la prima definizione che mi è venuta in mente non appena ho concluso questo romanzo. Anzi, no, molto prima di averlo concluso: in realtà, la puzza di cliché si percepisce fin dal capitoletto introduttivo. In Sitael troviamo, infatti:

• un protagonista Gary Stue (ho calcolato personalmente il grado di Marysuaggine grazie all’apposito test: non è di quelli irrecuperabili, ma è comunque un malato grave) – rigorosamente orfano, adottato e tenuto all’oscuro delle sue origini – che all’inizio del libro non riesce a tenere in mano una spada, ma che diventa bravissimo nel giro di pochi capitoli, per l’esattezza a partire dall’amnesia che subisce;

• il suddetto protagonista, ovviamente, si rivelerà essere il predestinato, l’oggetto della misteriosa profezia, “colui che è nato per essere Luce”;

• come se non bastasse, finisce per ingoiare accidentalmente una pietra magica che gli fornisce altri magic powers specialissimi e unici;

• il solito superkattivo che terrorizza tutti per ben tre ere, ma che un quattordicenne riesce a sconfiggere in un capitolo;

•  degli elfi – che sono uno stereotipo già per conto loro – non si sa molto; qui, infatti, si parla per lo più degli Sharephi,  che in pratica erano elfi ma si sono slegati da loro, trovandosi naturalmente un nuovo nome. Anche parlando degli Sharephi, però, le cose non migliorano, perché dei tre individui che compaiono nella storia, la ragazza è anch’essa una Mary Sue, il primo ragazzo è decisamente lunatico (all’inizio è un presuntuoso come pochi, poi finisce col diventare super simpatico con Etenn, e i suoi atteggiamenti si alternano di continuo) e il secondo è fondamentalmente inutile, tanto che viene tolto di mezzo non appena si presenta l’occasione giusta;

•  il solito viaggio periglioso attraverso mezza Lycenell per raggiungere Oreah, la città dove si trova il sole; per 700 delle 861 pagine non succede altro;

• ah, e non scordiamoci del fatto che il protagonista – perfetto sotto ogni punto di vista – possiede un fratello anch’esso molto kattivo, creato da Qurasch per distruggerlo in caso lui fallisse: Etenn è biondo con gli occhi color oro, mentre Stacra è moro con gli occhi rossi; Etenn è luce così come Stacra (questo è il nome del fratello kattivo) è buio; Etenn rappresenta il bene come Stacra rappresenta il male. Altra botta di originalità, non trovate? Non farò spoiler, però, casomai dopo questa recensione ci sia ancora qualcuno disposto a leggere questo mattone, perché in fondo in fondo un che di interessante in questa lotta tra fratelli rimane… Niente di sconvolgente, però;

Stacra, il gemello kattivo di Etenn.

•  infine, abbiamo come idea di base un concetto vecchio come il mondo: il Sitael, infatti, è un’arma di luce, è in pratica luce allo stato puro. È una luce che non viene mai e poi mai intaccata dalla tenebra, e di conseguenza il suo portatore non può che essere perfettamente buono. E permettetemi di obbiettare che un personaggio completamente buono è piuttosto irreale: possibile che non abbia mai un momento di debolezza, una crisi di panico, una fase di sconforto, un attimo di follia e desiderare di mandare a monte tutto, una notte di problemi di stomaco… No, niente di tutto questo. Una qualche sconfitta ogni tanto, per fortuna, ce l’ha (come a seguito della lotta contro le Ninfe: una scena che avrebbe potuto risultare interessante, se solo l’autrice non l’avesse liquidata in poche righe, ma è comunque uno dei punti meglio riusciti, secondo me), ma poi riprende a essere perfetto e infallibile come se niente fosse accaduto. Un protagonista troppo perfetto, ahimè, non è mai un buon protagonista: vi dirò che all’inizio mi ci ero affezionata, perché nonostante tutto qualche problemuccio per esempio di autostima non gli mancava, ma poi… lasciamo perdere.

Un appunto sui nomi

Come sempre, la nostra Alessia presenta diversi sintomi della temuta Sindrome di Sonohra. Non si tratta, fortunatamente, di una forma grave, ma ho riscontrato sufficienti prove di questa letale malattia. Le più palesi sono le seguenti:
• Sharashidahllen (non sarà per caso parente della  Sylvianarlamistrydian de Gli eroi del Crepuscolo?);
• Cheyun;
• Hayel (l’altro nome molto fygo di Etenn);
• Goriahm (da qui in avanti vengono dalla cartina);
• Ashleyrey;
• Valle Soahsghen;
• Lyangalonh;
• Thilye;
• Lahngral;
• Nith-Hayah;
• Yath Vanlassaii;
• Fharòden;
• Lago di Rionh;
… ovvero, degli ottimi esempi di quanto sia bello e divertente pigiare a caso le lettere sulla tastiera, magari infilando qualche H o qualche Y dove capita per dare un effetto davvero mystycoh, senza però rendersi conto che con una trovata del genere si ottengono soltanto nomi ridicoli e impronunciabili.

700 pagine di nulla 

A proposito del cliché del viaggio periglioso, c’è un’altra cosa interessante da dire riguardo a Sitael e anche a proposito, come ho scritto nella presentazione dell’autrice, dello scrivere di getto: per tutta la parte centrale (diciamo da pagina 100 fin circa a 750-800), la nostra storia è caratterizzata da una quasi totale assenza dello sviluppo della trama. Ok, la nostra compagnia di personaggi (Etenn, i tre Sharephi, un elfa e il capitano – mi pare di non aver scordato nessuno, quindi se l’ho fatto scusatemi: purtroppo Sitael non è propriamente uno di quei libri che ti stimolano l’attenzione dall’inizio alla fine…) attraversa tutta Lycenell, da Nord a Sud, e mentre viaggiano passano in rassegna tutte le creature fantastiche che abitano la terra. In pratica, si scontrano con:
• elfi;
• draghi;
• ninfe;
• sirene;
• centauri;
• giganti;
• Varles, ovvero i mostriciattoli creati dal cattivo;
• simpatiche donzelle che trasformano la gente in pietra;
… e grazie ai suoi magic powers – dei deus ex machina niente male – spuntati dal nulla, Etenn riesce sempre a farla franca, spesso in extremis.

A questo punto credo sia palese che Alessia Fiorentino non sapeva più come fare per non ridurre il suo fantasy a un libretto di 200 pagine scarse, perciò ha preferito allungare il brodo a dismisura, riempiendo la sua storia di parti fondamentalmente inutili (perché una buona parte di questi scontri con le varie creature si sarebbe potuta tagliare senza rimpianti, o comunque accorciare di un bel po’) e soprattutto noiose. Ecco cosa succede a scrivere di getto, senza “sprecare” tempo prezioso prima di cominciare a scrivere stabilendo tutte le pieghe che dovrà prendere la trama. Se avesse fatto così, scommetto che le pagine risultanti sarebbero la metà di quelle attuali. Ma si sa: un fèntasi non è bello se non è lunghissimo e pieno di parti inutili! Se lo dice anche Nonciclopedia c’è da crederci!

Lo Stile

Parliamo un po’ dello stile di Alessia Fiorentino, cominciando subito da quella che dovrebbe essere la regola principale di ogni scrittore: lo Show, don’t tell. Ci sono punti in cui il libro è scritto benino: mostra le scene  in modo efficace, per lo più è scritto in modo diretto, senza perdersi in parti contorte. Ce ne sono altri – e sono la maggior parte – in cui il mostrato fa proprio acqua, in cui gli avverbi e gli aggettivi inutili non si contano e che la narrazione diventa ultra-noiosa. Le ingenuità, naturalmente, non mancano. Il colore dei capelli e degli occhi di Etenn, inoltre, viene ripetuto ogni volta che si presenta l’occasione, e sempre in questi termini:

Etenn era, appunto, molto biondo, e i suoi occhi erano grandi, particolarissimi: color dell’oro. [pag. 19]

No, Alessia Fiorentino non si accontenta di piazzare l’immagine del suo beniamino in copertina: ci delizia continuamente con obbrobri del genere, come se i lettori fossero così scemi da non ricordare da una volta all’altra l’aspetto fisico del protagonista. È naturale, no? Etenn rappresenta la luce, la bontà assoluta: la perfezione incarnata, in poche parole. Quindi è praticamente obbligatorio ricordare tutti i momenti a lettore che il personaggio di cui sta leggendo le avventure è bellissimo, biondissimo, con degli occhi particolarissimi e soprattutto dall’animo coraggiosissimo. Cos’è che dicevo riguardo ai personaggi troppo perfetti? Ah, sì, che non sono proprio un granché…

'Mazza quanto sei biondo, Etenn!

A parte queste descrizioni veramente puerili, però, si arriva addirittura a errori veri e propri, come quello che troviamo a pagina 23:

[...] per questa ragione [Caliel, il fratello maggiore di Etenn] aveva dovuto nominarlo scudiero sebbene Etenn non sapeva fare niente e non fosse adatto a quel ruolo.

Capisco che ormai il congiuntivo sia diventato una cosa out, ma non è una novità che mettere l’imperfetto dopo “sebbene” sia sbagliato… E questa non è l’unica schifezza che ho trovato, purtroppo. La domanda, alla fine, è sempre la stessa: editor, dove seeeei?

Conclusioni

A questo punto credo sia inutile dire che non vale assolutamente la pena di spendere ben 22 euri per acquistare un fèntasi come Sitael. Già il prezzo è da infarto per conto suo (e ringrazio di essere riuscita a trovarlo scontato del 50%), ma per un libro venuto male come questo, non ho nessun rimpianto nel dire che quelli della Dario Flaccovio sono degli autentici ladri. Capisco la mole non da poco, i costi di stampa e tutto il resto, ma esistono un sacco di libri stampati in brossura come Sitael, addirittura con diverse pagine in più, a un prezzo molto più onesto. Proprio non capisco come si possano pubblicare libri del genere, oltretutto senza uno straccio di editing. E poi mi vengono a dire che gli editori tirano fuori la scusa che un libro è troppo lungo, pur di non pubblicarlo…

*   *   *

EDIT: ho notato poco fa che Alessia Fiorentino scrive sul suo blog una frase davvero interessante:

[...] è giusto rispondere a una critica oppure è meglio lasciar perdere? In fondo, se rispondo ai commenti di chi dice di apprezzare il libro, dovrei rispondere anche a coloro che lo disprezzano, per una questione di giustizia. Rispondere però rischia di dare il via a un dibattito interminabile, e non è il caso. Alla fine ho deciso che la cosa migliore è ignorare le critiche, specialmente quando sono semplici provocazioni. Ovviamente le leggerò e cercherò di prenderne il buono (se c’è) per accorgermi dei miei errori e migliorare. [...] La morale della favola è: lascia perdere chi vuole vederti inciampare, pensa solo a chi ti accompagna e ti sostiene.

E qui ritorniamo sempre allo stesso punto: io sono uno scrittore bravissimo perché ho pubblicato, e se tu vuoi criticare il mio libro fallo pure, ma solo se condito da una serie infinita di “secondo me”, “guarda che potrei anche sbagliarmi” o “ma io non me ne intendo”, perché se no sei solo uno scrittore fallito invidioso & frustrato, che non sa accettare che io sia più bravo di te.

Inoltre, la nostra Alessia non sembra conoscere, come del resto tanti altri, la differenza tra critica e insulto. Quest’ultimo non è classificabile come critica, perché se io dicessi: “Questo libro è un nauseabondo escremento di scarabeo stercorario adatto solamente agli stitici”, l’autore avrebbe pienamente ragione ad arrabbiarsi, poiché questa è soltanto una provocazione bella e buona. Un giudizio del genere è allo stesso livello di utilità di un “BllximoOoOoO!!!!!!11!!1!”, ma con una differenza rispetto a un insulto: chi insulta un libro in questo modo, magari senza motivare la sua affermazione, non è un critico: è solo un maleducato. Una critica vera, invece, è quella che, pur essendo sarcastica, ironica e quant’altro, contiene sempre una parte costruttiva, e sono proprio queste le critiche che servono di più agli scrittori: più uno scrittore si inca22a nel vedere che la sua creatura viene stroncata (ovviamente con attacchi motivati, e non scritti alla “tanto per”), più sarà motivato a migliorare quando ritornerà a scrivere. Dal mio punto di vista di aspirante scrittrice che già ha avuto a che fare con parecchie critiche, credo che questo sia l’unico modo concreto che un autore ha per diventare un autore migliore. Ma se un autore bolla tutte le critiche come attacchi personali scritti da un frustratinvidioso™ e prende in considerazione solo le sviolinate, credete che migliorerà? Basta leggere il secondo libro di Elisa Rosso per accorgersi che no, non si migliora affatto. Anche se continuare così, a suon di “Bellissimo, stupendo, meravigliosooo!!!”, è tremendamente comodo.

Almeno una parte costruttiva si trova sempre in una buona critica. Ma per riuscire a trovarla e a metterla in pratica occorre una qualità sempre più rara tra gli scrittori: l’umiltà.

* Ringrazio Gianlu830 per avermela segnalata.


Filed under: Baby scrittori, Fantasy, Recensioni

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