Recensione: "So dove sei" di Claire Kendal

Creato il 09 gennaio 2015 da Saraguadalupi
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È lui. Ancora lui. Sempre lui. Clarissa lo sa. Non c'è bisogno di ascoltare la segreteria telefonica. Di leggere l'ennesimo messaggio che lampeggia sullo schermo del cellulare. Di scartare i regali che continuano ad arrivare, indesiderati. Il suo volto, i suoi occhi sono dappertutto: qualsiasi cosa lei faccia, lui la sta guardando. Nulla, dopo quella notte, è più come prima. Quando Clarissa ha accettato di uscire a cena con Rafe, un collega dell'università, l'ha fatto un po' per cortesia, un po' per svagarsi. Mai avrebbe immaginato che quelle poche ore potessero stravolgere la sua esistenza. Soprattutto perché lei, di quella notte, non ricorda più nulla. Ma da allora qualcosa nel comportamento dell'uomo è cambiato, è sempre più assillante. Lo spazio intorno si è come svuotato, lasciandoli pericolosamente soli. L'unica via d'uscita sembra venire dalla convocazione a far parte della giuria di un processo. Clarissa deve isolarsi dal mondo esterno, rendersi irreperibile, negarsi a ogni contatto. Al sicuro tra le mura del tribunale, si sente protetta, riesce addirittura a farsi degli amici. Ma l'illusione dura poco. Rafe riesce a raggiungerla anche lì. E man mano che il caso su cui è chiamata a esprimere il proprio giudizio comincia a mostrare più di una somiglianza con quanto sta vivendo in prima persona, Clarissa si rende conto che se vuole liberarsi dalla paura deve controbattere colpo su colpo.
Dicevo, trama curiosa ed inquietante. Si, perchè questo non è un thriller che prevede la caccia all'assassino di chissà chi, in questo libro si scava nel profondo dell'animo umano che nasconde, nell'amore, l'ossessione.
La protagonista è Clarissa, una giovane studentessa che un giorno decide di accettare un passaggio da Rafe, suo collega: giusto il tempo di scambiare quattro parole ed ecco che tutto, nella mente di Clarissa si fa confuso, appannato..le immagini diventano frammentate e si ritrova impotente davanti all'abuso. Il trauma è forte per la nostra protagonista principale, ma niente in confronto a quello che Rafe ha in serbo per lei. Egli, dopo quella notte, cambia atteggiamento, mostrando un disturbo decisamente ossessivo e che lo porta a diventare uno stalker, ossessionato e possessivo fino allo stremo: un incubo che, per la giovane, non finisce mai, né di giorno, né tanto meno di notte e che si traduce in comportamenti persecutori ripetuti tenuti da Rafe nei suoi confronti. E' come un'ombra che non la lascia mai e che non ha nessuna intenzione di accettare un no come risposta.
Quante di queste notizie abbiamo sentito al telegiornale negli ultimi anni? Donne perseguitate in ogni modo possibile, costrette a restare nel proprio angolo, per paura di sentirsi sempre addosso quegli sguardi indesiderati ed impertinenti..come un grande occhi che osserva la loro vita, nel tentativo continuo di entrarci con ogni mezzo possibile. Ecco, Clarissa è una di queste donne, distrutta da un amore ossessivo e nell'eterna lotta verso la riconquista di una vita che sia solo sua.
L'ancora di salvezza sembra essere rappresentata da un processo a cui Clarissa deve partecipare in veste di giurata e che spera di poter "utilizzare" come muro tra lei ed il suo persecutore: come però abbiamo imparato, dalle notizie al telegiornale, tenere lontane queste persone non è così facile e, di fatti, Rafe non si da per vinto e riesce comunque a rientrare nella vita della sua "amata", dandole come unica scelta quella di scontrarsi con ciò che accadde quella notte e, nel dolore e nella paura trovare la forza per rialzarsi e combattere.
Come avrete visto, la Kendal porta alla luce un tema della nostra società, tanto attuale quanto scomodo e, devo ammettere che, i presupposti per "ricamarci" su una bella storia, c'erano tutti..peccato che non tutto sia andato per il verso giusto. Non ci troviamo davanti ad un brutto libro, o ad un libro scritto male, sia chiaro..è che manca qualcosa: quel qualcosa che ti fa apprezzare la storia fino all'ultima pagina.
Innanzitutto ho trovato Clarissa fin troppo passiva per trovarsi in una situazione del genere, tanto che ci mette un po' prima di decidere di rivolgersi alla polizia (prima meglio documentarsi con gli opuscoli eh..) e qui si trova davanti alle obiezioni di un corpo di forze dell'ordine che non le crede fino in fondo. Così, la nostra cara protagonista cosa decide di fare? ..Aspettare che lo stalker le faccia effettivamente del male. Ora, partendo dal presupposto che lo stalker in questione prova un sentimento di amore (decisamente malato, certo) nei suoi confronti, come spera di riuscire nel suo intento se questo continua a farle regali e complimenti di ogni genere? ..Mistero della fede.
In tutta questa "attesa" del danno fisico che avrebbe portato la polizia a crederle, ho notato in Clarissa quasi un piacere. Un piacere nell'essere costantemente sotto l'attenzione di Rafe, nel ricevere i regali e tutte le attenzioni del caso..non l'ho mai sentita veramente decisa a voler far smettere il suo incubo. Non mi ha convinta per niente. E' troppo arrendevole e passiva per essere una vittima. Lascia troppe cose al caso e si lascia abbindolare decisamente troppo facilmente sia dalle attenzioni dell'uomo sia dalle obiezioni della polizia.
Oltre a questa protagonista insulsa, ci troviamo davanti ad una trama che viene sviluppata troppo lentamente e con poca suspense per essere un thriller. Dov'è il pathos? Dov'è l'ansia della protagonista? Non si percepisce nessuna di queste cose e, di conseguenza, una volta finito il libro - in una conclusione fin troppo affrettata  -, non rimane niente. 
L'unica cosa che ho trovato azzeccata è l'idea di dividere il romanzo sotto due punti di vista: il primo quello del processo a cui Clarissa partecipa, visto in terza persona, ed il secondo, in prima persona, dato dal diario che la stessa protagonista scrive, annotando tutto ciò che accade in relazione a Rafe.
E' un peccato che questo libro non mi abbia convinta perchè davvero il tema è molto interessante e mi piacerebbe leggere qualcos'altro sull'argomento..ma come primo approccio, direi che proprio non ci siamo. 

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