"One Love. One Blood. One Life. "
Recensione: Stanza, letto, armadio, specchio - Room, di Emma Donoghue
Creato il 10 dicembre 2015 da Mik_94
Noi
ci riconosciamo anche al buio, vero?
Titolo:
Stanza, letto, armadio, specchio – Room
Autrice:
Emma Donoghue
Editore:
Mondadori
Numero
di pagine: 341
Prezzo:
€ 19,50
Sinossi:
Jack
ha cinque anni e la Stanza è l'unico mondo che conosce. È il posto
dove è nato, cresciuto, e dove vive con Ma': con lei impara, legge,
mangia, dorme e gioca. Di notte Ma' chiude al sicuro nel Guardaroba,
e spera che lui dorma quando il Vecchio Nick va a fare loro visita.
La Stanza è la casa di Jack, ma per Ma' è la prigione dove il
Vecchio Nick li tiene rinchiusi da sette anni. Grazie alla
determinazione, all'ingegnosità, e al suo intenso amore, Ma' ha
creato per Jack una possibilità di vita. Però sa che questo non è
abbastanza, né per lei né per lui. Escogita un piano per fuggire,
contando sul coraggio di Jack e su una buona dose di fortuna, ma non
sa quanto potrà essere difficile il passaggio da quell'universo
chiuso al mondo là fuori...
La recensione
“Noi
non apparteniamo a lui”. “Giusto.”
Il dottor Clay sorride. “Sai
a chi appartieni, Jack?”
“Sì-ì.” “A te stesso.” Si
sbaglia, io appartengo a Ma'.
Jack
ha imparato presto a contare. Ha venti denti – li sfiora con la
lingua, per prendere sonno e qualche volta, quando perde il conto,
risultano diciannove, il che vuol dire ricominciare da capo – e
cinque libri, con più figure che parole. La sua Ma' è vecchissima –
ha ventisei anni e i denti che ballano tutti, per via delle mancate
cure dentistiche – e, insieme, vivono nella Stanza. Undici metri
quadri, in cui gli oggetti, come fossero gli amici di sempre, hanno
un nome proprio – senza l'articolo determinativo davanti, la prima
lettera scritta in maiuscolo – e in cui la Faccia di Dio, una sfera
gialla che si oscura quando il cielo è coperto, entra dall'unica
finestra nel tetto. Sul tappeto, una macchia scura scura. Il sangue
di Ma', quando Jack è sceso giù dal Cielo ed è venuto al mondo. E
cos'è, poi, il mondo? Il mondo è il Fuori, ma tanto esiste solo in
televisione. Finché arriva il suo compleanno e Jack è abbastanza
grande per conoscere finalmente la verità. Le bugie vanno dette, se
a fin di bene, e Ma' gli ha mentito a lungo. Oltre la Stanza, oltre
Porta, c'è qualcos'altro. A negare loro la libertà, Old Nick. Jack
non l'hai mai visto in faccia – Ma' lo chiude nell'armadio, quando
la porta fa bipbip, e urla
all'uomo le cose peggiori, se solo osa avvicinarsi al piccolo – e
non capisce perché le molle del letto cigolino cinquanta, cento
volte, prima che l'ospite indesiderato ritorni da dov'è venuto.
Portando via l'immondizia e lasciando sacchetti pieni di spesa.
Permettendo a Jack, qualche volta, di scegliere il Premio della
Domenica, quando un'altra settimana termina. “Ricordi come va a
finire Il conte di Montecristo?”,
gli domanda il giorno del suo compleanno Ma', che l'ha cresciuto con
l'esercizio fisico, le prove di coraggio e i resoconti di
straordinarie storie di fuga. Sarà Jack, la cui fortitudine,
come ci direbbe lui, si annida in una chioma folta e indomabile
quanto quella dell'eroe del mito greco, a fare però un regalo
all'amata mamma, con l'arrivo dei cinque anni. La libertà. Qual è
il vostro primo ricordo in assoluto? Io avevo compiuto due anni da
qualche mese e ricordo di essermi svegliato al buio. Quello non era
il mio letto. Ho iniziato a piangere, inconsolabile, e la luce si è
accesa, nella solita stanza di sempre. Ma accanto a me c'era mia
nonna, non mamma, e senza di lei tutto mi sembrava vuoto. Il letto
era quello, ma più strano. Senza i corpi dei miei genitori a destra
e sinistra, che mi tenevano stretto come in una confortante
parentesi, io che facevo? Nonna Angelina – la mia nonna paterna che
non c'è più da qualche anno e di cui, grossomodo, conservo giusto
questo ricordo, avendola conosciuta poco, per i rancori degli adulti – continuava a ripetermi in dialetto che mamma era
andata all'ospedale, a comprare un bambino. Il rigonfiamento sotto la
sua maglia era mio fratello. Ero curioso di conoscerlo?
Così tanto
che, quando lo vidi, chiesi di poterlo buttare nella betoniera dei
muratori. Mi permisero di scegliere il nome – e mio fratello si
chiama Diego, cosa che vi sorprenderà, perché amavo i cartoni di
Zorro, non perché in famiglia
tifassero Napoli – ma, per forza di cose, non acconsentirono al'infanticidio. Volevo fare il muratore, all'epoca, e il movimento
dell'impastatrice mi ipnotizzava. La mamma di Gesù aveva lo stesso
nome della mia, imparai presto, e della scuola, non in ordine
cronologico, ricordo lo straziante primo giorno – mia madre che
piangeva vedendomi piangere, l'inevitabile distacco – e Diego, il
famoso bambino sottratto alla betoniera, che prendeva il latte dal
suo seno. Preferiva il sinistro, come Jack; l'altro bleah. E, come
Jack o quasi, si sarebbe fatto allattare fino a una veneranda età.
All'asilo, si puliva la bocca con la manica del grembiule a quadretti
azzurri e bianchi, prima di correre a combinare guai. Stanza,
letto, armadio, specchio –
titolo splendido, libero adattamento dell'inglese Room –
è un romanzo che ho scoperto per caso e desiderato fortemente, dopo
che l'omonimo film aveva commosso il Festival di Roma, lo scorso
autunno, e prima che la sicura presenza agli Oscar, a febbraio, mi
intimidisse un po', per le attenzioni rinnovate, le immancabili
ristampe dal prezzo alto, le luci della ribalta. Uscito cinque anni
fa e pagato cinque euro su Ebay – cinque, tra l'altro, è il numero
preferito di Jack -, parla di una vicenda agghiacciante di rapimento,
violenza sessuale, prigionia, la cui massima originalità è data dai
toni delicatissimi e da un narratore speciale. E' un thriller
psicologico, ma sembra una fiaba per la buonanotte, la storia che mi
ha fatto pensare ai miei primi ricordi e a come, in ognuno di essi,
fosse presente la mia mamma.
La disegnavo enorme – più grande di
papà, più alta delle montagne – con i pastelli ben temperati. Me
la volevo addirittura sposare. I ricordi sono più dolci della realtà
e il romanzo di Emma Donoghue, qui autrice magistrale, è
claustrofobico e terrificante per le prime duecento pagine. Però, e
se ve lo dicessi dal vivo la mia voce tremerebbe, perché è un
pensiero che mi colpisce molto, ha in Jack – tenuto all'oscuro dalla
verità, frutto degli strupri reiterati ai danni di una studentessa
segregata in un capanno - la sua unicità. Tutto è un gioco:
chiudere gli occhi, non muoversi, urlare forte. Come in La
vita è bella, in cui le buffe
scuse di Benigni, le sue allegre menzogne, servivano a Giosuè per
vivere con spensieratezza la tragedia dei campi di concentramento. Il
premio, ambitissimo: il carro armato degli alleati americani. Si
seguono con il cuore in gola, così, i tentativi di fuga di Jack e,
nella seconda parte, questo novello Piccolo Principe mette per la
prima volta il naso fuori. E il romanzo, dallo sguardo
animato da meraviglia pura, raccontato ad altezza bambino, travolge
per la novità delle percezioni, le esplorazioni vaganti dei cinque
sensi, la vastità sconfinata del mondo esterno. I parenti stretti,
strette anche le scarpe. Le macchine, i dentisti, lo zaino rosa di
Dora l'Esploratrice, le forbici, lo spettacolo del mare, la pioggia
in cui si teme di affogare. Essere lontano da Ma', spesso, e lei che
si dispera per le domande dei giornalisti d'assalto. Perché non ha mai
provato a chiedere al suo aguzzino di portare via il bambino, per
assicurargli un futuro normale? Ha mai pensato, mossa dall'orrore per
gli abusi, di soffocarlo con un cuscino? Jack ha qualche problema con
il participio passato, i superlativi assoluti e fa divertenti
sandwich di parole. Con tutto il candore e la saggezza dei suoi anni,
però, è tra i narratori più teneri e indimenticabili che
incontrerai in vita tua. Protagonista di un legame simbiotico, che il
Fuori metterà alla prova per dispetto, e di un romanzo che è lui
sputato. Fresco e sincero. Pieno di domande, soprattutto, in cerca di
risposta. Quanto amore possono contenere undici metri? Quanto bene e
quanto male queste trecento pagine? Stanza, letto, armadio,
specchio è il miracolo raro del
mondo visto per la prima volta. Come se ci avessero regalato un paio
di occhi nuovi – e ogni tanto si inumidiscono; chissà come si
toglie via la ruggine dalle ciglia – e tutta la speranza che serve.
Un'altra infanzia ci viene restituita, recuperata sana e salva dall'ufficio oggetti smarriti della nostra memoria.
Il
mio voto: ★★★★★
Il
mio consiglio musicale: Damien Rice – One (U2)
"One Love. One Blood. One Life. "
"One Love. One Blood. One Life. "