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Recensione. STAR WARS Episodio VII: IL RISVEGLIO DELLA FORZA. Si doveva osare di più

Creato il 17 dicembre 2015 da Luigilocatelli

014746Star Wars Episodio VII: il risveglio della Forza. Un film di J.J. Abrams. Sceneggiatura di J.J. Abrams, Lawrence Kasdan, Michael Arndt. Con Daisy Ridley, John Boyega, Harrison Ford, Carrie Fisher, Mark Hamill, Adam Driver, Oscar Isaac, Domhnall Gleeson, Max von Sydow, Andy Serkis, Simon Pegg, Lupita Nyong’o.
360122144590Se si pensa a cosa son stati gli anni scorsi i reboot di Batman e James Bond (e quest’anno di Mad Max), cascan le braccia di fronte a questo prudentissimo ricominciamento di Star Wars. Che ritorna senza troppa carica inventiva al testo originario, con un approccio reverente e fondamentalista, e con tanto di riesumazione dei vecchi totem Han Solo, Leia ecc. I quali peraltro stravincono sui nuovi e poco interessanti personaggi, a partire dall’eroina Rey. Si salvano solo il villain di Adam Driver e il droide-palla BB-8. Il resto è noia e déjà-vu. Voto 5
12219414_504422193051172_4598862002430452098_nMai stato tra i fanatici di Star Wars, mai praticato il culto dei vari Han Solo, principessa Leia, Jedi (e via continuando con gli idoli della saga intergalattica). Non mi piacque a suo tempo neanche il fondativo, e ormai storico, episodio (correva l’anno 1977), dunque figuriamoci se questo reboot e capitolo numero 7 poteva accendermi gli entusiasmi e farmi orgasmare. Mi sono mediamente annoiato e scocciato, ecco. È che io per Guerre stellari non ho, non ho mai avuto, i recettori cerebrali adatti e i sensori psicocorporei, tutta quella giocattoleria in forma di navi spaziali e creature pelose e robottoni uguali a bidoni aspiratutto, tutto quel cianciare (prefigurando, anzi fondando le scemenze new age) di forza buona luminosa e forza cattiva oscura in una rilettura pop e assai semplificata di religioni iranico-precristiane (e preislamiche) mi han sempre procurato più fastidio e sonnolenza che piacere. Ammetto cospargendomi il capo di cenere di non essermi reso conto in quei tardi anni Settanta che un film così fracassone e infantiloide – che in fatto di sci-fi mi sembrò perdere nettamente il confronto con il coevo Incontri ravvicinati del terzo tipo – avrebbe cambiato la storia del cinema, e mica sto esagerando (è che delle volte la Storia ti passa davanti e neanche te ne accorgi). Guerre stellari segna una drammatica cesura tra un’industria-cinema perlopiù orientata su un pubblico adulto e su storie ad altezza d’uomo e donna e ancora attinenti al reale e un’altra poggiata sulla tecnologia-spettacolo e la tecnonarrazione. Tecnologia che si fa padrona assoluta e spietata, e attraverso  gli effetti speciali crea un mondo parallelo e simulato in cui gli umani sono tutt’al più co-protagonisti se non mere comparse, e l’elemento fantastico e anche delirante-allucinatorio prevale definitivamente sul reale e la sua rappresentazione. L’invenzione di George Lucas riportò la potenza del mito, e la produzione del mito, al centro della modernità decretandone in una certa misura la fine (se la modernità è anche visione disincantata e laica del mondo) e inaugurando la post-modernità in cui tuttora viviamo. Affermando irreversibilmente l’egemonia del cinema fantastico gadgettoso e childish, mirato ai fanciulli e al fanciullino che dimora e sopravvive in ogni adulto e aprendo più che un genere un cinema nuovo, un cinema altro. Molto di quanto passa oggi sui nostri schermi (dalle sale multiplex al tablet allo smartphone) viene da lì. Tutti i film supereroistici, tutto il fantasy compreso Il signore degli anelli (originato sì da Tolkien ma con molte derivazioni da Lucas), Il trono di spade, Hunger Games, i Marvel- e Pixar-movies, e infinite generazioni di videogame. Di fronte allo Star Wars capostipite e seminale non ha senso applicare i consueti parametri critici, se mai quelli storici e antropologici. Film che ha sovvertito il cinema e l’immaginazione popolare creando una community globale di spettatori compatti, e cosa volete che sia mai un mi piace o non mi piace a cospetto di un simile tellurico impatto? E comunque io, illudendomi, mi aspettavo da questo episodio 7 – che arriva dopo la poco amata trilogia-prequel – un autentico reboot, un ricominciamento vero, una riscrittura radicale che insieme rispettasse e tradisse l’originale ricollocandolo al centro dell’immaginazione pop-planetaria e fosse in grado di soddisfare il bisogno di vecchie-nuove mitologie. Invece macché, la delusione è grande per via che il pur bravissimo J.J. Abrams di Lost, che era perfettamente riuscito nell’impresa di rifondare Star Trek, mostra una fedeltà a momenti asfissiante al testo originario e primigenio del 1977, come in una lettura fondamentalista e regressiva di un credo religioso, come in un ritorno alle sacre fonti che vorrebbe segnalare purezza e verità e invece induce perlopiù un senso di stanchezza e déjà-vu. Se si pensa a cosa si è riusciti a fare nei reboot di Batman (reincarnatosi nel Cavaliere oscuro nolaniano) e di James Bond con Casino Royale e Skyfall, qui cascano le braccia per la pochezza e la modestia delle ambizioni. Mentre in quei casi non s’aveva avuto paura di complessificare e riscrivere il paradigma moltiplicando vertiginosamente i livelli di scrittura e lettura, agendo su testi e soprattutto sottotesti fino a cavarne fuori prodotti smaltati in grado di sedurre ragazzi e adulti, pubblico pop e pubblico sofisticato, questa puntata numero 7 della saga di George Lucas (il quale però presta solo i characters e si astiene, oltre che dalla regia, anche dalla sceneggiatura cofirmata da J.J. Abrams, dal veterano Lawrence Kasdan che si occupò della prima trilogia e dalla new entry Michael Arndt) appare troppo banalizzata, appiattita, accomodante e rassicurante, con figure e figurine bidimensionali come in una graphic novel d’epoca – altro che 3D -, una trama senza scatti e sorprese, dialoghi non eccelsi e qua e là pericolosamente infantiloidi, una naïveté da vecchio romanzo popolare che se poteva funzionare negli anni Settanta oggi appare inadeguata. Qualcuno, come l’assai rispettato Peter Bradshaw del Guardian, ha individuato in questo ritorno al semplice e all’ingenuo – e, aggiungo io, a un immaginario cinematografico di tecnologia vintage, di tecnomodernariato – una delle ragioni del fascino di Il risveglio della Forza, a me pare invece il segno di un’invenzione barcollante e insufficiente, di un approccio troppo timido e cauteloso, troppo vincolato dal marketing (e, mi chiedo, dal gigante Disney che ci ha messo i soldi?). Tutto ritorna al posto suo, e si ritirano in ballo e fuori dai bauli – quali feticci rassicuranti lo spettatore e soprattutto il fanatico devoto del culto Star Wars – le vecchie icone. Riecco Harrison Ford/Han Solo, riecco Carrie Fisher/Leia assai provata dal tempo e però di un carisma che tutto pietrifica intorno, e l’apparizione (imbarazzante) di Mark Hamill/Luke Skywalker. E Chewbacca, e C1-P8, e il Millennium Falcon recuperato dagli hangar benché acciaccato e rugginoso. Se questo è il vecchio testamento riproposto tale-e-quale, il tronco del nuovo sviluppato da J.J. Abrams e dagli altri sceneggiatori si pone come sua legittima continuazione, in perfetta fedeltà all’archetipo. Peccato che i nuovi personaggi e le nuove trame non ce la facciano a essere interessanti. Benché si sia ricorsi ad alcuni dei migliori attor giovani oggi in circolazione – l’Oscar Isaac di Inside Llewyn Davis e Ex Machina, il Domhnall Gleeson di About Time, Frank e Brooklyn, l’Adam Driver di Hungry Hearts e Giovani si diventa – l’impressione è che tanti talenti non abbiano prodotto granché e siano stati ampiamente sottoutilizzati. Solo il nuovo villain Kylo Ren interpretato da un meraviglioso Driver ce la fa a elevarsi dalla piattezza e a farsi ricordare, mentre non si può proprio dire lo stesso né del pilota-resistente Poe Dameron di Oscar Isaac, né del generale simil-nazi del Primo Ordine dello sprecatissimo Gleeson. Nemmeno la figura del rinnegato Finn che abbandona in preda a crisi di coscienza le forze del male per passare dalla parte del bene riesce ad appassionarci minimamente. Ma il problema vero è la figura centrale di questo episodio 7, l’eroina destinata a essere l’erede degli jedi e la paladina della Forza, intendo la raccoglitrice di rottami spaziale Rey convertitasi in combattente che non mi pare in grado di reggere sulle sue spalle la nuova saga che va a cominciare. Né aiuta la sua interprete, la qusi sconosciuta inglese Daisy Ridley, molto caruccia, molto energetica, ma senza quella carica devastante che distingue le star (sarei lieto di sbagliarmi, comunque). A conti fatti, tra i nuovi-nuovi del Risveglio della forza si salvano solo Kylo Ren e il delizioso droide-palla BB-8, lui sì assai azzeccato e destinato a sicura popolarità. J.J. Abrams immette dosi di adultità nel gran negozio di giocattoli, ma non abbastanza da farne un vero e clamoroso reboot, e un evento cinematografico. La scena fatale, e migliore di tutto il film, quella dell’incontro-scontro tra Han Solo e Kylo Ren, ha finalmente risonanze shakespeariane e da tragedia eschiliana, elevando di colpo il livello dell’intera operazione. Peccato che rimanga un evento narrativo isolato e quasi avulso, immediatamente ingoiato e metabolizzato da un corpo filmico votato alla rassicurazione e alla piacioneria. Altre (rare) schegge perturbanti lasciano intuire quel che Il risveglio della Forza sarebbe potuto essere e non è. La sequenza iniziale, con l’attacco del Primo Ordine al villaggio e il massacro dei civili inermi, in una sorta di Marzabotto delle galassie. O l’adunata – ancora una volta, come in tanto cinema recente, citazione delle parate nazi del Trionfo della volontà di Leni Riefenstahl – dei torvi soldati della repressione. Ma non bastano purtroppo a fare di questo Star Wars numero 7 una cosa seria.
Nota. Mistero Lupita Nyong’o, che appare nei credits, ma non la si vede mai. O forse, come ha scritto qualcuno, è sua la voce della tenutaria-veggente della taverna dei freaks? Ma era proprio il caso di sprecarla così?


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