REGIA: Matthew Gordon Long
CAST: Amanda Burke, Ryan Grantham, Rita Kim, Katarina Watt
ANNO: 2008
DURATA: 15 minuti
GENERE: Steampunk (o Steampacco?)
ETÀ CONSIGLIATA: 5+
Alcune settimane fa avevo accennato all’ormai prossima uscita di un cortometraggio Steampunk che, almeno sulla carta, si presentava come un prodotto interessante. L’opera in questione è The anachronism, film del 2008 del canadese Matthew Gordon Long, alla sua terza esperienza dietro la macchina da presa. Bene, ora che l’opera è stata finalmente rilasciata sotto licenza CC è giunto il momento di esprimere qualche giudizio al riguardo.
Prima però un avvertimento: vista la brevità della pellicola, mi sarà pressoché impossibile evitare gli spoiler, ragion per cui consiglio vivamente di guardare il cortometraggio, e solo dopo proseguire con la lettura dell’articolo.
Promesse disattese
Visto il film, dunque? Bene, così almeno per questa volta evito di dover riassumere la trama, da sempre la parte più noiosa di una recensione. Parto allora con l’esprimere l’impressione fattami da The anachronism. In una sola parola: delusione. Delusione perché il film di Long disattende entrambe le promesse fatte ai propri spettatori.
Partiamo dalla prima, la quale va a toccare quanto riportato sul sito ufficiale del film:
On a sun dappled summer day a science expedition propels two children toward an enigmatic encounter at the edge of their known world. Arriving on an isolated beach, they stumble upon the shipwreck of a robotic squid submarine. The secret it holds within changes their lives forever.
The Anachronism is a Steampunk science-fiction short set in the late nineteenth century. Unfolding with the simplicity of a children’s storybook, this lush journey through the landscapes of Canada’s West Coast draws inspiration from a whimsical juxtaposition of Pacific Rim cultural references to elaborate an elegant meditation on the courage of curiosity and the haunting effect of childhood trauma. In 2009 the film won six Leo Awards including Best Short Drama.
Quello che mi chiedo è: dove sta il trauma? Perché, attenzione, questo termine ha un significato ben preciso e univoco. Un trauma è infatti un’«alterazione dello stato psichico di una persona dovuta un improvviso e violento turbamento» (dizionario Zanichelli). Certo, mi si può venire a dire che l’aver dovuto condannare a morte certa la “calamaro-nauta” non sia proprio una cosa piacevole per dei bambini. Verissimo, ma guardiamo con attenzione la reazione dei due fratelli: trovano il corpo privo di sensi di un loro simile; la marea si sta alzando; cosa fanno? Salvano la giapponesina svenuta? Certo che no! Molto meglio catalogarla come si trattasse di una qualunque vegetale. Ma questi non sono due bambini traumatizzati: sono due cretini! E non mi si venga a dire che il corpo pesava troppo, visto che da solo Sebastian porta in giro tre borselli e un retino (vedo per lui un luminoso futuro da facchino).
E dire che la scena ideale per un bel trauma giovanile Long ce l’aveva – è proprio il caso di dirlo – sotto mano. Mi riferisco ovviamente a quando Katie infila il braccio nella “bocca” (?) del calamaro meccanico. Nel vederla dentro di me urlavo “evvai che comincia un po’ di sano splatter!”. E invece no, nulla, nada, nisba. C’è poco da fare: c’è un motivo per cui il 90% delle opere più fantasiose, a livello visivo s’intende, arriva da Giappolandia.
Ma è soprattutto la seconda premessa disattesa a determinare il grosso della delusione di cui sopra. Sempre in una domanda: dove sono gli elementi steampunk? Il calamaro alias sottomarino alias camera di contenimento alias nonsisabenecosa, diranno in molti. Ma ne siamo davvero sicuri? Già, perché come si può facilmente notare al sesto minuto, sulla struttura del calamaro meccanico è presente nientepopodimeno che una riproduzione un po’ fantasiosa della placca montata sulle sonde spaziali Pioneer 10 e 11, una sorta di mappa stellare avente lo scopo principale d’indicare a eventuali razze aliene la posizione della Terra (così da facilitargli la vita quando verranno a sterminarci ^_^).
Un’idea carina, verrebbe da pensare; se non fosse per un “piccolo” dettaglio: la presenza nel disegno dei due esseri umani. Vi do dieci secondi per capire dove sta l’errore.
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… e 10
Ancora nulla? Allora ve lo spiego. Sulla placca delle sonde Pioneer la coppia di umani stilizzati aveva due scopi: il primo, far intuire a eventuali razze aliene la nostra conformazione fisica; il secondo, creare un rapporto tra dimensioni umane e dimensioni della sonda. Ma allora che senso ha ricreare la placca sul calamaro, se già al suo interno è contenuto un essere umano? Ora, io posso anche accettare sviste in sceneggiature da due o più ore, ma non simili errori in un cortometraggio di appena quindici minuti dove oltretutto nei primi cinque non succede pressoché nulla.
Ma tralasciamo pure questi particolari da Invidioso™ quale sono e soffermiamoci comunque su quello che, in teoria, è l’unico vero indizio sulle origini del calamaro meccanico. Essendo il film ambientato a fine Ottocento ed essendo il Pioneer 10 stato lanciato nel 1972, ne consegue che il calamaro può essere soltanto due cose: o una capsula del tempo oppure una navicella spaziale giunta dal futuro. Da escludersi invece l’opzione sottomarino, in quanto altrimenti non avrebbe senso disegnarvi sopra delle coordinate spaziali (ma vista la sceneggiatura alla “cazzo di cane” (cit.) mi aspetto di tutto). Qualunque sia la risposta, resta il fatto che la sua presenza nel film rimane ridicola.
Due le ragioni.
La prima. Come scrivevo un mesetto fa nell’articolo dedicato a di Filippo, non basta qualche tubo e un po’ di vapore per dar vita a un’opera Steampunk. Lo Steampunk risponde infatti alla domanda “come sarebbe stato il passato se il futuro fosse accaduto prima?” (ottima formula breve riportata sul sito Urban Dictionary) e non alla domanda “come sarebbe stato il passato se il futuro avesse deciso di farci una capatina?”. Anche perché, per quanto viene mostrato nel film di Long, non sembra proprio che il calamaro meccanico disponga di sola tecnologia analogica, ragion per cui non ci troviamo di fronte a un elemento steampunk nemmeno a voler chiudere un occhio.
La seconda. Che utilità può avere costruire una capsula del tempo/ navicella spaziale a forma di calamaro? Risposta: nessuna, al pari di un’automobile a forma di carciofo. Certo, nulla vieta di realizzarne una (è fentesiiiii1!!!), ma quali potranno mai essere i vantaggi? Questa è la stessa ragione che porta il sottoscritto a non sopportare la stragrande maggioranza dei mech, soprattutto quelli steam (ok, saranno pure “fikissimi” da guardare, ma il più delle volte la loro utilità all’atto pratico è pari a quella di un gelato al Polo Nord, vista la ridottissima maneggevolezza a confronto di quella di mezzi più tradizionali quali i carri armati). Avrei capito se l’oggetto in questione si fosse almeno rivelato un’arma ideata da uno scienziato pazzo. E invece anche qui è solo la delusione a farla da padrone, visto che il “coso” non fa assolutamente nulla, limitandosi a stare fermo fino alla rivelazione del corpo custodito al suo interno.
Un bel contenitore… vuoto
Un film tutto da buttare, dunque? Quasi. A salvarsi è soprattutto (solo?) il lato tecnico. The anachronism rimane infatti un film diretto con competenza. Molto bella la fotografia, sempre precisa e mai caotica (cosa non facile quando l’ambientazione è composta in prevalenza da boschi), così come le musiche, mai invasive e adatte alla situazione. Più che discreta, poi, la recitazione dei due bambini, soprattutto quella di Ryan Grantham (Sebastian), non a caso scelto poi per molti altri film (IMDB ne segna la bellezza di 18). Ottima infine la scelta di non realizzare il calamaro al computer. A fronte di una spesa più alta, e di certo non indifferente, il risultato finale è quanto mai convincente. Peccato, come già scritto poche righe più sopra, per la sua assoluta immobilità.
Tutto ciò non fa che accentuare la delusione verso una pellicola piena di spunti interessanti, ma sfruttati uno peggio dell’altro. The anachronism va quindi preso più che altro come un esercizio stilistico, oltre che la perfetta dimostrazione di come non ci si debba (quasi) mai fidare degli slogan promozionali, in quanto il più delle volte nascondono opere mediocri. Sarà forse proprio per questo che il film di Long ha fatto incetta di premi?
PHOTO CREDITS
1. Poster per la festa d’uscita di The Anachronism su Internet.
2,3. Fotogrammi del film Tha anachronism.
4. Riproduzione della placca collocata sulle sonde Pioneer 10 e 11, fonte Wikipedia.
5. Facepalm caricato sul sito Despair, INC.
6. Foto del calamaro meccanico, fonte The Anachronism Official Website.
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