Ci sono film che davvero nessuno conosce. Scoprirli, a volte, è come scovare edizioni di libri rarissimi al mercatino dell'usato: quei volumi che nessuno ha voluto, che qualcuno ha deciso di dare via, passati magari di mano in mano, mai compresi, mai apprezzati. Per noi italiani è facile scovare film che nessuno conosce. Perché qui da noi arriva veramente poco. E' facile per noi italiani fare i fighi, in questo senso. Gli espertoni, i cinefili incalliti. Ma non fraintendetemi: la maggior parte di questi film sconosciuti fanno veramente schifo. Non è semplice, al giorno d'oggi, scovare perle nascoste sotto il fango. Se poi parliamo di cinema di genere, la cosa si fa improbabile. Capita però che, per puro caso o per un consiglio, ti trovi davanti un film come The Collingswood Story, che in Italia avremo visto in dieci. Allora lo guardi, ci rifletti sopra e senza nemmeno pensarci tanto ti chiedi: "perché Paranormal Activity sì e questo no?". E sta scrivendo uno che il primo P. A. l'ha visto e apprezzato pure (per me resta un film che alla primissima visione fa veramente paura). Però alla fin fine si tratta di prodotti molto simili, con budget in entrambi i casi ridicoli, basati sulla tecnica delle finte riprese amatoriali. A dirla tutta The Collingswood Story è un film incredibilmente originale, uscito nel 2006, quindi prima del film di Peli e persino prima di Rec, che sembra quasi averne saccheggiato il finale.
Ma andiamo con ordine: di chi è The Collingswood Story? Di un certo Mike Costanza, praticamente uno sconosciuto, videomaker famoso in patria (l'Inghilterra) per i suoi cortometraggi. Un artista che, ad un certo punto, ha avuto un'intuizione: girare un horror con la tecnica delle videochiamate web e dei videomessaggi. Considerato che il film fu concepito nel 2000, quando Skype non era ancora un fenomeno di massa, la cosa fa riflettere e ha quasi del geniale. Ma di che si tratta esattamente? Di due ragazzi, Rebecca e John, che comunicano tramite webcam. Lei si è trasferita da poco per il college in una casa dall'oscura storia e dalle inquietanti presenze.
Ora, girare un film tutto basato sulle riprese via webcam significa girare un film statico. Ma la staticità della mdp non è neccessariamente sinonimo di staticità in una storia o in una pellicola. A dare movimento a The Collingswood Story è infatti la dinamica delle videochiamate, che permette interessanti tagli nelle scene e una modalità di interscambio tra i personaggi fuori dal comune. Permette anche di giocare con la tensione, spingendo sulla limitata visuale e sul senso di impotenza dei personaggi stessi, sulla loro incapacità di interagie fisicamente (mentre interagiscono con l'ambiente che li circonda e con la rete). Questo permette al film di non essere mai noioso, nonostante sia più parlato che recitato. Permette anche qualche bello spavento, a patto di lasciarsi prendere dalla storia. E stiamo parlando di un film privo di effetti speciali, che si regge su una fotografia monotona e che quindi deve ricorrerre alla pura tensione narrativa, a qualche originale trucchetto e a giochi di filtri che permette alle facce di sovrapporsi, alle ombre di prendere spazio e all'orrore di aggredire lo spettatore. E il bello è che non si vede assolutamente nulla, che non c'è una sola goccia di sangue e che gli attori sono tre più quattro comparse.
The Collingswood Story è un film girato con due sterline ma che ha fatto parlare di se tanto in patria quanto in America. Qui da noi non lo conosce e non ne ha parlato nessuno. Di certo non è un capolavoro, non ti fa scappare sotto il letto per la paura, ma è di un'originalità disarmante (a memoria ricordo solo un film simile e precedente: il francese Thomas in love, ma si tratta di altro genere e altri scopi), ben diretto, ben scritto. Potrebbe non piacere, ma questo vale per qualsiasi film, soprattutto per quelli talmente indipendenti da sembrare caserecci. Poi mandano nei cinema schifezze allucinanti che nemmeno in home video dovrebbero uscire. Per questo internet è una santa cosa. Per questo non c'è limite a quello che si può scovare, se si ha la pazienza di cercare e, soprattutto, di saper scegliere.