Recensione The Confessions of Thomas Quick

Creato il 29 dicembre 2015 da Lightman

Roma 2015

Sture Bergwall è il più celebre serial killer svedese: in patria tutti conoscono la sua storia, fatta di terribili orrori e retroscena raccapriccianti, che il cinema ci racconta per la prima volta in The Confessions of Thomas Quick.

Ci sembra giusto ammettere fin da subito che, quando siamo entrati in sala per vedere The Confessions of Thomas Quick, eravamo completamente all'oscuro delle vicende di cui il docu-film di Brian Hill parla. È stato il regista, tramite il suo lavoro, a raccontarci la storia di questo famosissimo (quantomeno in Patria) e celebrato protagonista della cronaca nera svedese degli anni Novanta. Sture Bergwall, conosciuto da tutti i media come Thomas Quick, è stato il primo vero serial killer svedese: lo dicono con orgoglio le voci fuori campo, mostrando allo spettatore ritagli di giornale che raccontano l'orrore delle sue gesta. Bergwall, finito in cella e sotto cure psichiatriche in seguito a svariati crimini, dall'interno del carcere si è assunto la responsabilità di circa trenta brutali omicidi, risolvendo così alcuni dei casi più ostici della polizia svedese. I suoi sono rituali macabri, fatti di adescamenti, omicidi e cannibalismo, che vengono fuori grazie al macchinoso e instancabile lavoro dei terapisti del più moderno e all'avanguardia ospedale psichiatrico in Svezia. Continue sedute di terapia e l'uso massiccio di benzodiazepina, hanno aiutato Thomas Quick a ricordare le brutalità delle sue gesta, trasformandolo in una vera e propria star, un paziente di lusso da portare come esempio del successo della terapia (un metodo tutto nuovo ideato dalla fondatrice dell'istituto), ricompensandolo con diversi tipi di comodità (cene fuori, sigari di lusso, connessione internet) ad ogni ammissione di colpa.

Colpevole...?

Brian Hill ricostruisce la storia di Thomas Quick fornendo allo spettatore piccoli dettagli, seguendo una struttura per niente cronologica ma perfettamente funzionale: si parte dall'ammissione di colpa, dai primi bambini scomparsi, le scoperte, le confessioni di chi ha vissuto il momento. La qualità è quella cinematografica, ma la struttura, se vogliamo, è quella del classico crime show televisivo, dove si cerca di scoprire la verità analizzando una serie di prove. Non si tratta sempre di materiali reali, molte di quelle utilizzate da Brian Hill sono ricostruzioni create ad hoc, ma la loro potenza è innegabile e lo spettatore rimane subito inorridito dalla forza della storia: con i suoi occhi grandi, la bocca all'ingiù, il sorriso irregolare e quell'aria da saccente che non si sente per niente colpevole, non si fatica per niente ad accusare e odiare Sture Bergwall. Le sue colpe sono reali, l'orrore è reale... o forse no? ?Nonostante Thomas Quick sia il celebrato centro del film, il regista si concentra davvero molto poco su di lui, utilizzandolo come escamotage per raccontare un sistema osannato come perfetto ma che, in fondo, non sembra funzionare poi così bene. Psichiatria, medicina, giustizia, polizia, media: nessuno viene risparmiato dallo studio e dal giudizio, asettico, preciso, ma mai polemico, della macchina da presa. E tutto viene lasciato nelle mani dello spettatore che, riuniti i vari indizi, può costruirsi l'esatto andamento della storia di Thomas Quick, stupito e strabiliato, distrutto e scioccato, da ogni progresso.

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