Recensione: The Returned, di Jason Mott
Creato il 22 novembre 2013 da Mik_94
Ciao
a tutti, amici. E' già venerdì! Questo weekend, ho deciso di non
tornare a casa: studio (si spera!), film (ovvio!), freddo
(purtroppo!). Questa mattina, subito dopo la colazione, mi sono messo
all'opera: ho finito il romanzo che avevo in lettura e,
immediatamente, ho deciso di parlarvene. Non è un romanzo da
consigliare a tutti, ma io sono tra quelle persone che l'hanno
apprezzato così com'è: incompleto, un tantino lento, frettoloso, ma
emozionante. Decisamente. Ringraziando la casa editrice, vi auguro
una buona lettura e uno splendido weekend. Un bacione, M.
Jacob
rappresentava la sconfitta del tempo. Era il tempo fuori sincronia,
un tempo più perfetto di quanto non fosse mai stato. Era la vita
come avrebbe dovuto essere. Questo erano tutti i Redivivi.
Titolo:
The Returned
Autore:
Jason Mott
Editore:
Harlequin Mondadori
Prezzo:
€ 16,00
Numero
di pagine: 336
Sinossi:
Per
Harold e Lucilie Hargrave la vita è stata felice e amara allo stesso
tempo, da quando hanno perso il figlio Jacob il giorno del suo ottavo
compleanno, nel 1966. In tutti questi anni, si sono adattati a una
vita tranquilla, senza di lui, lasciando che il tempo alleviasse il
dolore... Finché un giorno Jacob, il loro dolce, prezioso bambino,
misteriosamente, ricompare alla loro porta, in carne e ossa. E ha
ancora otto anni. Qualcosa di strano sta succedendo... i morti stanno
tornando dall'aldilà. Mentre il caos rischia di travolgere il mondo
intero, la famiglia Hargrave di nuovo riunita si ritrova al centro di
una comunità sull'orlo del collasso, costretta a fare i conti con
una realtà nuova quanto misteriosa e con un conflitto che minaccia
di sovvertire il significato stesso di genere umano.
La recensione
“Alcune
persone chiudono le porte del loro cuore quando perdono qualcuno.
Altre tengono porte e finestre aperte, lasciando che i ricordi e
l'amore vi passino liberamente. E forse era così che doveva
succedere. Stava succedendo lo stesso in tutto il mondo.” The
Returned racconta la storia di
uno, due... mille ritorni. Ritorni di aspiranti Ulisse che, in cerca
della strada per arrivare dalle loro amate e personali Penelope,
hanno attraversato mari, cieli, pericoli: l'intero aldilà. Sono
ritornati dal regno dei morti con ricordi nebbiosi, corpi
perfettamente intatti, menti lucide nelle quali, scolpita
indelebilmente, c'era l'immagine della loro casa perduta. Il romanzo
di esordio di Jason Mott è il post Warm Bodies,
il post Pet Sematary:
una toccante, dolorosa, originale e romantica testimonianza post
mortem. Mostra, sin dall'accattivante incipit, un mondo
improvvisamente sovrappopolato, in cui i morti – abbandonati i loro
vecchi e polverosi giacigli – camminano insieme a noi. Al nostro
fianco. Quando non ci sarà più posto all'inferno, i
morti cammineranno sulla terra: così
recitava la frase promozionale dell'horror ormai cult diretto dal
leggendario George A. Romero. Lui, in quella celebre pellicola del
1978, parlava di zombi; parlava di sangue, morte, malvagità. Di
creature sputate dalla gola rovente e catramosa dell'inferno. La cosa
sorprendente di The Returned è
il sapere scavalcare abilmente il cliché per eccellenza, pur
partendo da punti di partenza piuttosto simili, nelle linee generali.
Inizialmente, pieno di entusiasmo, avevo avuto l'impressione che il
romanzo di Mott fosse una sceneggiatura perfetta per un film
perfetto. Era, almeno nella prima parte, uno di quei libri che non
riesci a poggiare sul comodino senza aver prima conosciuto la fine
della storia. Pieno di inquietudine, rabbia sommessa, sussurri e
bisbigli che, alla resa dei conti, dicono cosa, esattamente? Parole
d'amore. Nessuna paura, nessun timore. Ma c'è il pericolo costante,
c'è la violenza dell'uomo, c'è il dubbio, onnipresente come un
chiodo fisso. La storia si apre con il risveglio di Jacob, otto anni.
Confuso e disorientato, si sveglia in un posto che non conosce, tra
genti che parlano lingue esotiche e misteriose, accanto a un fiume
molto simile a quello che vide, cinquant'anni addietro, prima di
chiudere per l'ultima volta gli occhi. Durante il suo lungo sonno
ininterrotto, tante cose sono cambiate: Jacob sa che non bisogna più
aver paura del colore della pelle dell'omaccione gentile che lo
sta per riportare a casa; sa che i Redivivi affollano il mondo,
sfidando ogni equilibrio naturale; sa che i suoi genitori temono e
sognano di riabbracciarlo ancora, dopo mezzo secolo di lontananza.
Harold e Lucille Hargrave, però, non sono più la coppia giovane e
briosa di una volta: sono vecchi, stanchi di vivere e di litigare tra
loro, spossati e dilaniati dentro dal più grande dei lutti.
Loro,
insieme a comprimari particolarmente riusciti, sono personaggi
assolutamente meravigliosi, con il loro fare burbero, la falsa
saggezza portata dalla vecchiaia, gli occhi opachi per la miopia e le
inevitabili lacrime. Mettono in dubbio tanto, tutto, a quasi
settant'anni: scoprono, infatti, una grande verità. Dio, se c'è,
non ha tutte le risposte.
Sono figure composte da piccoli tasselli, e
che vivono di piccole cose. E le piccole cose, come direbbe l'anziana
e accorta protagonista, sono importantissime. Vivono ad Arcadia, una
città in cui tutti si conoscono e in cui tutti, alla lontana, sono
imparentati tra di loro; un posto lontano dal mondo, ma non dai
meccanismi di uno strano e contorto cambiamento epocale. Vicini alle
Sacre Scritture e ai sermoni domenicali, tutti, o quasi, reputano i
Redivivi creature del male: Arcadia – insieme al resto del mondo –
sta vivendo, infatti, una tragica storia da Antico Testamento.
Lazzaro e i suoi figli mai nati sono usciti dal loro sepolcro.
Eppure, nonostante la diffidenza, tutti hanno qualcuno da aspettare:
aggiungono un posto in più a tavola, tirano la casa a lucido,
spolverano il vecchio pianoforte del nonno di turno o il quadro di
mamma e papà. La vecchia Lucille ha avuto una vita monotona e
tormentata, passata ad addormentarsi in poltrona e a svegliarsi in un
ricordo felice di un passato felice, insieme a un bambino brillante e
vivace che – con i suoi fortini fatti di giocattoli – da grande
sarebbe sicuramente diventato un onesto e ricco architetto. Insieme
ai sogni, ci sono anche gli incubi,però: un'altalena vuota che il vento fa
cigolare, un nascondiglio da cui non esce più nessun bambino
sorridente, un fiume troppo profondo per un bagno benedetto dal sole
del 15 Agosto. Il suo, il loro Jacob ritorna, e il suo ritorno è, a
tratti, sinistro. A seguirlo, però, non è il tanfo della morte e i
suoi occhi dolcissimi non sono destinati a decomporsi barbaramente da
un secondo all'altro. E' bello, felice ed è vivo come lo era
cinquant'anni prima; non inquietante, solo immensamente tenero e
delicato.
Lo sa sua madre, lo sa suo padre: un uomo duro, cinico e
diffidente, che gira sempre con una croce tutta rovinata in tasca, ma
che non può dimenticare il naturale, puro amore per il sangue del
suo sangue. Imparerà a volere bene ancora – a una moglie splendida
e splendidamente irritante e ad un dolce bambino non morto –
durante una forzata prigionia nella vecchia scuola elementare di
Arcadia: il luogo in cui gente ignorante e divorata dai pregiudizi ha
chiuso crudelemente coloro che sono tornati in vita. Un triste e
sporco campo di concentramento, alimentato da commoventi storie e
ricordi sbiaditi che, forti, si levano al di là del filo spinato e
oltre le armi dei soldati. Onirico, intenso, appassionato e
credibile, The Returned è
un romanzo strano e sfuggente, che si avvale di uno stile maturo e
fluido – ho pensato a Stephen King e al Carsten Stroud di
Niceville: pensate un po'
- e di una sicurezza unica
nell'ambito del crossover. Raffinatissimo. Intimista, complicato e
sfuggente, lentamente imbocca una nuova strada – meno
entusiasmante, o forse solo meno commerciale – e, sempre
lentamente, ti imbriglia nelle sue domande senza risposta apparente,
nella sua prosa d'altri tempi, nei suoi sentimenti viscerali che ti
strizzano tutto quanto come una spugna. Lascia domande, non dà risposte. Eppure
domande senza risposta non lo saranno mai per davvero: tocca a noi
cercarle. Svegliarci, alzarci sulle nostre gambe e trovare tutte le
infinite, sfuggenti e mutevoli risposte possibili. Lascia con
sentimenti poco chiari, vero. Ma con una sensazione, allo stesso
tempo, che, insieme ai brividi, striscia sulla nostra pelle: sulla
nostra scorza dura di genitori, figli, lettori, esseri umani.
All'inizio mi piaceva moltissimo, poi mi ha deluso, prendendo una
strada tutta sua. Però ho capito che era quella la strada giusta,
anche se lungo il percorso non ho trovato scritte – su un segnale
stradale o su una corteccia d'albero – le risposte che sempre vado cercando. La ABC, immediatamente, si è ispirata al materiale di
Jason Mott per un serial televisivo, dal titolo
Resurrection. Il trailer (qui)
mostra sequenze identiche, perfette. Ma i sentimenti? Non si
sfilacceranno come un gomitolo di lana rossa, tra un episodio e
l'altro? Tutta la verità è scritta nelle ultimissime pagine, nella
toccante nota dell'autore: The Returned
è un libro sul perdono: un libro per perdonarsi, per pareggiare i
conti in sospeso; scritto più per sé stessi che per gli altri. Lo
vedo fuori posto. Nella collana Harlequin, in TV, sullo scaffale
dedicato al paranormal. E' un qualcosa di estremamente personale, ma
sono felice come un bambino: l'autore è stato così generoso,
infatti, da voler condividere questa sua visione ad occhi aperti con
noi. Già la copertina, con quel bambino biondo a testa in giù,
doveva farmi pensare a un altro libro altrettanto strano,
altrettanto “fuori”: L'età dei miracoli.
Dove la fantascienza diventava un'ottima scusa – la migliore - per
parlare esclusivamente di noi stessi.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Asaf Avidan – Reckoning Song (One Day)
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