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Recensione: THE WALK. Quella camminata sul filo è puro cinema

Creato il 21 ottobre 2015 da Luigilocatelli

920x920The Walk – Una storia vera (in 3D), un film di Robert Zemeckis. Con Joseph Gordon-Leavitt, Ben Kingsley, Charlotte Le Bon, James Badge Dale, Ben Schwartz, Clément Sibony, Mark Camacho. Al cinema da giovedì 22 ottobre ’15.
Schermata 2015-10-21 alle 19.59.44Una buona sorpresa, questo nuovo Zemeckis. Ricostruzione della storica camminata del francese Philippe Petit (agosto 1974) su un filo teso tra le Torri Gemelle. Si parte tra Chaplin, Fellini e Minnelli, si finisce con sequenze che ti inchiodano come poco cinema recente è riuscito a fare. Un film che dietro alla tranquilizzante confezione per famiglie va invece a pescare in profondità tra i nostri fantasmi. Ottimo Joseph Gordon-Leavitt. Da non perdere e se soffrite di vertigini andateci lo stesso, perché è cinema vero. Voto 8
11225246_480664965438031_4436562527483101519_oNon mi aspettavo niente da questo film che ricostruisce la storica camminata del funambolo francese Philippe Petit sul filo steso tra le due Torri Gemelle (in quell’agosto 1974 erano robustamente in piedi, anzi non erano ancora state ufficialmente inaugurate e c’erano maestranze al lavoro dappertutto a dare gli ultimi tocchi). Avevo letto degli incassi assai deludenti in America (dal 30 settembre, giorno di uscita, a oggi meno di dieci milioni di dollari, che per un film destinato al pubblico largo come questo sono una miseria) e dell’accoglienza malmostosa da parte di parecchi critici, aggiungeteci il mio scarso entusiasmo da sempre per il cinema di Robert Zemeckis – detesto Forrest Gump – ed ecco che sono andato all’anteprima in Sala Bio qui a Milano solo per dovere di blogger (sì, vi farà ridere, ma anche un blogger ha delle responsabilità verso coloro che lo seguono e leggono, pochi o tanti che siano). Mi sbagliavo. The Walk è un bel film, a tratti, specie nella parte secondo quando si arriva al climax, che poi è la ormai storica traversata sospesa sopra Manhattan, bellissimo. Cinema (americano) al massimo grado di purezza e forza. Spettacolo che ti inchioda alla poltrona e non ti fa neanche respirare, da tante è la tensione che ti inocula. Quella passeggiata interminabile sull’abisso da sola vale, per stress procurato e brividi, parecchi monster movies e giocattoloni supereroistici messi insieme. Devo dire che per almeno la prima mezz’ora delle due ore e qualcosa complessivi di The Walk son rimasto alquanto perplesso per il registro e il tono stilistico e narrativo scelti da Robert Zemeckis per raccontare una storia che appartiene alla storia e alla cronaca, e tratta dal libro autobiografico scritto dallo stesso Philippe Petit. Il regista mette al bando ogni realismo spicciolo, ogni documentaristica e oggettiva ricostruzione dei fatti (del resto un documentario, anche molto famoso e premiato, Man on Wire – Un uomo tra le Torri, era già stato realizzato sull’impresa da James Marsh nel 2008) e invece ha fatto la scelta azzardata di una messinscena con derive nel fantastico e nell’onirico, di un (sur)realismo poetico gonfio di fellinismi e chaplinismi, che è una via oggi non più praticata e quasi impraticabile. Eppure questo azzardo permette a Zemeckis di costruire un film molto personale, lontano dal mainstream d’oggi anche quando si scatena in effetti digitali (le Torri Gemelle son tutte ricostruite al computer con impressionante fedeltà e resa), che si riallaccia a molti classici del cinema e pone The Walk in una zona assolutamente a sé nel cinema attuale. Operazione bizzarra e insieme coraggiosa, altamente autoriale, forse la più radicale di tutta la carriera del suo regista, e una sfida alla fin fine, nonostante la difficoltà di decollo nella prima parte, ampiamente vinta. Nel descrivere adolescenza e giovinezza francese del funambolo Petit, la sua passione per gli equilibrismi su fune, la scoperta della sua vocazione come qualcosa di irresistibile, i suoi sogni di imprese ai limiti dell’impossibile, il suo apprendistato da un signore del circo, si tenta una narrazione che molto cita ovviamente Fellini – da La strada a I clowns – ma anche un qualcosa di Amélie e un bel po’ di Les Enfants du Paradis di Carné, con un Joseph Gordon-Leavitt (formidabile, con un lavoro del e sul corpo da lasciare basiti) che rifà assai consapevolmente lo Jean-Louis Barrault in quel film e il repertorio di Marcel Marceau. Cui oltretutto somiglia in modo impressionante. Il resto è puro musical, anche se musiche non ce ne sono. Leavitt si muove con l’agilità di un ballerino, con quel corpo che dà l’impressione di tutto potersi permettere, e nelle scene in cui ragazzo si esibisce per le strade di Partgi e conosce la sua Anne si pensa subito al Gene Kelly del minnelliano An American in Paris, simile energia, grazia e levità, stessa Parigi fintissima e meravigliosa, la Parigi come se la possono immaginare solo gli americani e che non è mai esistita in natura. Poi, in un film di camminate sospese sul vuoto, anzi sull’abisso (la passeggiata tra le Torri si svolge a oltre 400 metri dal suolo), e dunque di ineliminabili vertigini, non potevano mancare i clins-d’oeil a La donna che visse due volte di Hitchcock, con l’allucinazione del corpo in caduta libera all’interno di una delle tower a replicare pari pari quella di James Stewart. Zemeckis da una complessa messinscena così complessa esce vincente e convincente (azzerando le mie perplessità iniziali), e può affrontare la seconda parte della sua narrazione, quella della preparazione dell’impresa, del coup come lo chiama Petit, mantenendo un che di sognante e di alterato, di visionario anche quando è tutto un discorrere di cavi, morsi, cavalletti e altri tecnicismi. Tutto deve avvenire nella clandestinità, l’unico modo per tentare la missione impossibile senza essere bloccati da polizia e vigili del fuoco, e dunque tutto deve essere meticolosamente pianificato come in un heist movie, un film di rapina. Come un colpo, per l’appunto. Solo che stavolta non si tratta di svaligiare un caveau o chissà quale cassaforte lassù all’ottantesimo e passa piano, ma di stendere un cavo e camminarci sopra. Allo scopo il visionario Philippe Petit – per lui la faccenda è un’esibizione artistica, una performance che ha come solo fine il bello e la sfida all’impossibile, un beau geste fine a se stesso – raduna una piccola banda di complici che lo dovranno aiutare, la sua ragazza Anne, un basista all’interno delle Twin Towers, un amico fotografo, e gente che gli dovrà dare una mano a portare su tutto il materiale necessario. Innescando una suspense narrativa abbastanza classica, con poliziotti e vigilantes da eludere, imprevisti che rischiano di mandare tutto all’aria, la paura di essere scoperti e bloccati. Fino naturalmente all’evento lassù. E qui Zemeckis non ci risparmia niente, le vedute sull’abisso si moltiplicano fino a farci star male e dare le vertigini anche a chi non he mai sofferte, il tutto potenziato da un uso parossistico, e però finalmente consapevole e giustificato, del 3D. Mick LaSalle, critico del San Francisco Chronicle, ha scritto nella sua recensione: “Non penso di esser mai stato così fisicamente provato da un film. (Non parlo di emozioni, parlo di sofferenza fisica)”, e non si può che essere d’accordo. Da The Walk si esce letteralmente distrutti, perché Zemeckis ci tira dentro in almeno quaranta minuti di tensione insopportabile facendoci camminare anche noi sull’orlo del vuoto più e più volte. Forse è questo il motivo per cuiil pubblico ha disertato in America, per il troppo coinvolgimento richiesto, il troppo stress e raccapriccio, simile a quello provocato da un torture porn, solo che quei film di bassa macelleria han per destinazione un pubblico di nicchia, e qui no, si punta al medio spettatore globale. Forse non è piaciuta nemmeno la follia gratuita, l’atto gratuito così anni Settanta, e così lontano dal piccolo utilitarismo quotidiano di cui tutti siamo oggi pervasi, messo in opera da Philippe Petit. Oggi che ogni minuscola esibizione di sé prevede già, attraverso l’uso e anche la manipolazione dei media, e dei social media, l’immediato ritorno in immagine, fama, soldi, un disegno come quello di camminare – clandestinamente!, con solo un fotografo amico a registrare la cosa – sul filo a 400 metri di altezza sembra incomprensibile, anzi stupido. Ma in questo film così abissalmente inquietante dietro la sua apparenza di medietà, c’è un altro elemento in grado di mettere in insostenibile tensione il pubblico, intendo la location delle Torri Gemelle, con tutto quello che vogliono dire nel conscio e nell’inconscio di massa occidentale. Simbolo della nostra vulnerabilità e fragilità, di una catastrofe che ancora brucia, percepita come uno smacco del nostro mondo, una sconfitta che ha lasciato escoriazioni e ferite mai rimarginate davvero. Mostrare un tizio che con i suoi complici si ingegna per più di un’ora di film a penetrare clandestino nelle Twin Towers per mettere in atto un piano illegale rischia di fare riemergere troppi fantasmi e paure. The Walk in sottotesto non è che un racconto su come espugnare le Torri Gemelle. Per dire come Robert Zemeckis con questo The Walk confezioni in forma di innocuo film per famiglie una narrazione esplosiva e perturbante che ha pochi eguali nel cinema recente.


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