Recensione TorinoFilmFestival. HIGH-RISE di Ben Wheatley: a due passi dal capolavoro

Creato il 23 novembre 2015 da Luigilocatelli

High-Rise, un film di Ben Wheatley. Dal romanzo Il condominio di James G. Ballard. Con Tom Hiddleston, Jeremy Irons, Sienna Miller, Luke Evans, Elizabeth Moss, James Purefoy, Stacey Martin. Uk. Festa mobile.
Il Ben Wheatley di Killer in viaggio e Kill List mette in cinema un romanzo di culto degli anni Settanta, Il condominio di J.G. Ballard. In una nuova e arrogante torre fuori Londra un architetto visionario vuole realizzare il suo Eden. Ma la rigida divisione di classe tra chi sta sopra e chi sta sotto, e le pulsioni selvagge che percorrono tutti gli abitanti, distruggeranno l’ordine sociale del grattacielo e lo faranno precipitare nel caos. Un degrado che il regista sa restituire con immagini potenti e un senso raffinato del sordido e del laido. La fragilità del film sta semmai in una certa confusione della sceneggiatura. Voto 8+
Era dalla fine degli anni ’70 che Jeremy Thomas, il produttore del Bertolucci in lingua inglese (L’ultimo imperatore e altro), cercava di realizzare in cinema quel che forse è il libro più allarmante di James G. Ballard, Il condominio. Ci è riuscito solo adesso, affidando la regia a quel che è il più eccentrico talento del cinema inglese dell’ultima decade, il meno allineato, il più anarchico, il più attratto dalle visone del male, il Ben Wheatley di Kill List, di Killer in viaggio e del follemente magnifico A Field in England, un film storico come se ne son visti pochi. Ballard+Wheatley, sulla carta un’accoppiata perfetta. Non solo sulla carta. Il film funziona, eccome, e rispetta in pieno le aspettative. tant’è che ci si chiede come mai Venezia se lo sia lasciato sfuggire. Comunque eccolo qua a Torino, dopo l’uscita inglese di fine estate. High-Rise si porta dietro tutto il sapore e anche l’odore forte degli anni Settanta in cui è stato scritto il libro di Ballard, anni alquanto maledetti di cui la storia è una rappresentazione appena distorta e in forma di distopia (si sa, le distopie raccontano sempre il presente di chi le immagina e le scrive, non il futuro, e lo stesso vale per tutta la fantascienza). Ci son dentro, miscelate e arruffate, infinite ossessioni che attraversavano in quel tenpo l’Occidente. La critica feroce all’ordine costituito, alla società classista e gerarchizzata, la pulsione collettiva a una rivoluzione estrema e anarchica, e livellatrice. La convinzione che il livello di sviluppo-progresso-civiltà raggiunto da Europe e America fosse solo apparenza, una maschera ipocrita, una costruzione ideologica a occultare sotto le buone maniera gli eterni modi ferini dell’orda selvaggia e primitiva, sempre pronta a scatenarsi alla prima occasione. Che bastasse solo un corpuscolo negli ingranaggi della macchina sociale per farla precipitare nel caos e restituirci tutti allo stato di natura. Il condominio ballardiano questo ci diceva e ci dice, ma in quegli stessi anni lo suggerivano anche film come Weekend di Godard o Un tranquillo weekend di paura di JohnBoorman. In High-Rise siamo in un ambizioso grattacielo voluto dall’architetto Royal (Jeremy Irons) come esperimento di paradiso in terra fuori Londra, parte di un complesso di cinque torri che, una volta costruite, dovranno realizzare l’utopia del bel vivere coltivata dal suo padrone e creatore. Ma il condominio che va su impudico e arrogante verso il cielo ha in sè i germi che porteranno allo sfacelo, già i segni del disordine. Con la rigida compartimentazione per classi sociali. Ai piani bassi i meno abbienti, a quelli medi i benestanti, ai piani alti i ricchi molto ricchi. E all’ultimo lui, Royal, con una terrazza-giardino in cui corrono cavalli e si coltivano fiori rari e alberi. Una segmentazione che porta a poco a poco al sospetto reciproco, all’odio di classe, alla competizione, e poi alla rivolta. Il grande disordine si annuncia con piccoli guasti non allarmanti, blackout all’impianto elettrico, ascensori bloccati, parcheggi malfunzionanti, che però rinfocolano il disagio e la rabbia. Specie nei ceti inferiori. Quanto si sta agitando e si va man mano coagulando nel ventre del sinistro grattacielo (simile a quello curvo progettato per City Life a Milano da Libeskind) lo conosciamo attraverso vita, desideri, pulsioni, movimenti di un neocondomino, il giovcane neurochirurgo Robert Laing (un perfetto Tom Hiddleston: tra i migliori attori del momento). Si scoperchia man mano il verminaio. Tresche sessuali, malattie, psicopatologie, violenze psicologiche e fisiche, privati vizi e nessuna pubblica virtù. Party che degenerano in baccanali di sesso e sangue. Una deboscia che sembra non rispamiare nessuno. Si scatena la guerra tra pari grado, e degli inferiori verso chi sta più su. Una lotta di classe violenta alla cui guisa di mette un documentarista televisivo che scala i piani uno dopo l’altro arrivando a minacciare la stessa terrazza-Eden (è un Luke Evans sempre più bravo, qui perfetto macho anni Settanta zarrissimo con baffi e zazzera alla George Best). La Torre si trasforma letteralmente nella nuova Babele e anche un po’ Sodoma e Gomorra. Il caos scardina ogni regola, in una regressisone allo stato animale. Ben Wheatley orchestra magnificamente questa de-genereazione, questa de-evoluzione, restituendoci ogni possibile sfumatura del sordido e del laido. Con invenzioni visive potenti. Se High-Rise non raggiunge lo status di caplavoro è per la sceneggiatura piuttosto confusa (a firma della moglie di Wheatney e sua abituale collaboratrice e complice, Amy Jump), che non ci fa cogliere i vari passaggi, la progressione verso l’abiezione. Ma son dettagli in un film grande e importante. Sienna Miller piuttosto sacrificata,  anche di più lo è la Stacey Martin di Nymphomaniac, commessa del supermercato della torre (luogo simbolicissimo, a sottolineare una polemica anticonsumistica pure quella molto Seventies e molto Goard-Weekend).