Torneranno i prati, un film di Ermanno Olmi. Con Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea di Maria, Camillo Grassi, Niccolò Senni.
Sono cent’anni che è scoppiata la grande guerra (anche se l’Italia, val la pena sottolinearlo, ci entra un anno dopo, nel 1915) e il cinema partecipa e dà il suo contributo alla rievocazione. Anche Olmi lo fa, portandoci con Torneranno i prati nel 1917 in un trincea d’alta montagna da una qualche parte del fronte italiano nord-orientale, in un avamposto oltre il quale sembra esserci solo il niente e invece, nascosto sotto la neve o nella foresta di abeti o in qualche anfratto, ci sta il nemico. Che spara, lancia granate o, peggio, colpi di mortaio. Invisibile e letale. La solitudine del pugno di soldati scagliati in quel vuoto mortifero, il silenzio teso pronto a materializzarsi in uno scoppio, il nero della notte illumionato dai bengala. Ecco, quando il film ci racconta questo, quando ci restituisce la sospensione e l’attesa, è semplicemente magnifico. Ma sono passaggi soltanto, purtroppo. Non ce la fa convincere invece quando la narrazione si sposta all’interno della trincea. I soldati che parlano lingue così diverse, venuti da ogni parte d’Italia e non ancora nazione, e forzatamente costretti a diventarlo sotto l’urto della guerra. Gli ordini insensati che arivano dagli alti comandi. Le malattie, il freddo, la fame, gli stenti che ammazzano come e più degli austriaci. Il rito della distribuzioine della posta. I ricordi della casa, del paese, degli affetti lasciati. C’è tutto questo, nel film di Olmi, e però molto si era già visto anche in film come Orizzonti di gloria di Kubrick o Uomini contro di Francesco Rosi, e stavolta si ha l’impressione di un modello riapplicato e replicato senza troppe variazioni.
Naturalmente la narrazione adottata è quella dominante e consolidata della guerra come macchina omicida mossa dai potenti ai danni delle masse usate come carne da macello. Tutto vero, come no. Però trattasi di una narrazione ormai logorata dal troppo uso e così carica di retorica da non incidere più sulle nostre coscienze, rischiando paradossalemnte di assopirle anziché ridestarle. Una sacrosanta verità ridotta a idée reçue, a luogo comune, a cliché e come depotenziata. I personaggi di questo film non ce la fanno mai a assumere vita porpria finendo con il somigliare a manichini portatori di messaggi e intenzioni didascaliche, se non addirittura predicatorie ed edificanti. Purtroppo il linguaggio adottato, che vorrebbe mimare la realtà e riprodurre fedelmente i modi verbali del popolo, suona improbabile e artificioso, e noin ci vengono risparmiate sentenziosità. Ma il problema vero è che un racconto robusto non c’è. A un certo punto arriva l’ordine di lasciare l’avamposto, di ritirarsi (forse per lo sfondamento nemico a Caporetto?), e di quei soldati, quelli sopravvissuti all’attacco nemico, non sappiamo più niente. Li perdiamo di vista. Olmi ci mostra invece filmati della guerra e poi della vittoria. Ma è un finale-non finale incongruo di cui si fatica a capire il perché. Resta di bello, in Torneranno i prati, quel pugno di uomini immersi nel vuoto e nel bianco dei panorami alpini. A conferma dello speciale senso per la montagna mostrato da Ermanno Olmi fin dal remoto Il tempo si è fermato, anno 1958. (Dopo questo film mi è venuta voglia di leggermi Nelle tempeste d’acciaio, la prima guerra mondiale secondo l’anarca Ernst Jünger).
Recensione: TORNERANNO I PRATI di Ermanno Olmi. Una delusione, purtroppo
Creato il 06 novembre 2014 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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