Recensione: Un amore di carta, di Jean-Paul Didierlaurent
Creato il 28 marzo 2015 da Mik_94
Mi
piace pensare che durante la notte quegli scritti siano maturati,
come pasta di pane che si lascia lievitare e che all'alba ritroviamo
bella gonfia e profumata. E allora, il ticchettio dei tasti alle mie
orecchie è la musica più bella del mondo.
Titolo:
Un amore di carta
Autore:
Jean-Paul Didierlaurent
Editore:
Rizzoli
Numero
di pagine: 190
Prezzo:
€ 15,00
Sinossi:
Guylain
Vignolles è un invisibile, uno di quegli esseri solitari che nessuno
nota. Lavora in una fabbrica di riciclaggio, al servizio di
un'impietosa trituratrice di libri invenduti soprannominata "la
Cosa". Nient'altro gli dà gioia, se non leggere a voce alta
ogni mattina, sul solito treno delle 6:27, qualche pagina scelta a
caso tra le poche che il giorno prima è riuscito a salvare dai denti
d'acciaio dell'infernale macchinario. Questo fin quando, un mattino,
sul treno trova una chiavetta USB. Rosso granata, che contiene il
diario di una giovane donna: settantadue file scritti al computer da
una certa Julie, signorina addetta ai bagni di un centro commerciale,
pagine su pagine che irrompono come un diluvio nella sua vita sempre
uguale. E dalle quali Guylain non saprà trovare riparo. Jean-Paul
Didierlaurent ha scritto una storia d'amore al quadrato tra un uomo e
una donna che si scoprono legati dalla passione per la lettura e ha
dipinto un universo positivo nonostante tutto, perché sopra la
coltre grigia di un'esistenza scandita da una routine desolante
qualcosa c'è che solleva il cuore e apre lo sguardo: le parole, e le
storie che le parole raccontano.
La recensione
Guylain
Vignolles, nel monotono tragitto fabbrica-lavoro, sul solito treno, a
voce alta legge i fogli che ha salvato. Si sveglia quando fuori
albeggia, accanto a una boccia che ospita un pesce rosso che ha nome,
cognome e dignità umana, e dà libri dimenticati in pasto alla "Cosa":
una macchina infernale che tritura, macina, sputa e schizza. A fine
turno, ne spegne i motori roboanti e, con i suoi
sessanta chili scarsi, si intrufola tra ingranaggi e presse, come
Charlot in Tempi Moderni,
per pulirla al meglio e vedere se ha risparmiato qualcosa: uno
stralcio dell'ultimo best seller giramondo, il prologo di un manuale
di botanica, la scena osè di un romanzo erotico. I suoi
migliori amici sono un portiere che declama a campanello i metri
greci e un anziano operaio in sedia a rotelle che cerca tra i libri le sue gambe. Guylain non
parla se non è interpellato, ama i vecchietti e soprattutto la sconosciuta
Julie, che fa il lavoro meno poetico del mondo ma - i guanti alle mani
e la dignità immensa - non si sporca. Julie non ha un cognome né una
faccia, almeno non ancora, è sulla trentina ed è l'addetta ai bagni in un centro commerciale: con il suo piattino per le mance e gli
appuntamenti combinati, annota su un taccuino i suoi sogni e le abitudine
fisiologiche di chi va e chi viene. La poetica dell'andare di corpo,
la filosofia disincantata della brava sguattera, il potere
bistrattato di chi detiene la carta igienica e i cuori degli uomini.
Ah, lei conta i boccioli che fioriscono sulle mattonelle laccate anno
dopo anno; lui i lampioni e i suoi passi. Che coincidenza.
Inguaribili sognatori al tempo della crisi, operai sottopagati perché
di arte non si vive, ladri di bellezza come capita. Anime gemelle... Il
mio problema con i francesi sono gli italiani. I cugini d'oltralpe –
secondo la leggenda, perpetuamente sulle loro, spocchiosi, con la
puzza sotto il naso – non c'entrano. Le mie lotte sono contro i
mulini a vento e i nostri connazionali, lettori o spettatori che
siano, che partendo da chissà quale convinzione – traumi da Tempo
delle mele? fratture permanenti causa memorabile capocciata di Zinédine
Zidane? - saltano a piè pari qualsiasi cosa abbia quel suono
scivoloso e musicale che è gioia per le mie orecchie, odioso strazio
per altri. Cinque anni di francese e una pronuncia abominevole – è
che mi vergogno proprio a parlarlo in pubblico: mi sento
sgraziatissimo, un imbroglione, come se dovessi indossare il tutù sfoggiando peli ispidi su gambe che rifuggono la ceretta,
capito? – ma una convinzione, nonostante le sufficienze
stiracchiate che, a giusta ragione, mi beccavo all'epoca delle
interrogazioni-strage su Hugo e su quel periodo ipotetico che non ho
davvero mai capito. Come parlano d'amore i francesi nessuno.
Suggestioni dalla città più romantica del mondo, forse, o semplice
questione di cuore. Ci sanno fare, e c'è poco da dire. Basta aprire le
orecchie.
Anche se ti mandassero a quel paese, cosa che con alta
probabilità può accadere, conoscendoli, più che di rispondere per
le rime saresti tentato di ringraziare: vero che le parolacce
sono universali, ma per chi non mastica la lingua anche
quell'improperio sgarbato suonerebbe come una mezza poesia. Un
concerto di insulti e maledizioni suonato con quell'accento lì,
dedicato solo a te, è la cosa più belle delle cose brutte.
All'inizio mi davo questa spiegazione per spiegare l'effetto
rilassante, magico, che il cinema francese aveva sul sottoscritto;
ma, colpo di scena, cose come Il favoloso mondo di Amelie
anche doppiate restavano comunque perle di grazia. Sono le immagini a
parlare, è l'intenzione a conquistare: ho imparato, insomma, ad
andare in brodo di giuggiole per le commedie francesi, e a difenderle
a spada tratta, senza pormi domande di sorta. Mi accorgo che sono non
il solo, ma senz'altro uno dei pochi. Perchè ehi, voi, denigratori
del romanticismo europeo, sbucate come funghi! Quando parlo di tuttò
ciò che suona come vagamente lirico, decisamente di classe,
inguaribilmente parigino mi tocca prima farvi il lavaggio del
cervello, poi proseguire per la mia solita strada. Anche
se, soprattutto nei libri, mi sono reso conto di quel che ogni tanto
non arriva: Le cose che non ho e
Io, te e la vita degli altri – per
esempio - sono letture piacevoli sì, ma freddine.
Mentre al cinema
rinnovo a colpo sicuro il mio colpo di fulmine, coi romanzi è diverso:
l'ultimo di cui conservo un ricordo pieno e bellissimo è il famoso
L'eleganza del riccio, che
ricorderete aveva fatto furore. Ora si aggiunge in punta di piedi,
con la timidezza e il passo ciondolante che lo caratterizza,
l'adorabile Un amore di carta:
l'ho amato da pagina uno, ma anche da prima. Guardate: la copertina
di un intramontabile bianco e nero, il tema che è quello dei libri
che parlano di libri, la relazione di un lui e una lei che, se tutto
va bene, s'incroceranno solo alla fine ma si ameranno già da
lontano, da metà in poi. E io che, parlandovene a modo mio, farei
una figuraccia. Mi credete equilibrato e sensibile, ma è un falso
d'autore. Io sono tutto il contrario di questo romanzo: sbadato,
brusco, dai modi spicci. E' come se Lucifero scrivesse le referenze
per gli Arcangeli: vi riconduco perciò al drammatico binomio me e
tutù rosa confetto. Ricordate? Idem. L'esordio di Didierlaurent
perciò impari a gustartelo, a cullarlo tra pollice e indice come si
fa col vino dolce e il cristallo. Ha la brevità del racconto, la
durata dell'apertivo, ma appaga quanto un pranzo con dieci, venti
portate: ti riempie la pancia, ti consola i sensi e non hai bisogno
di caffè e digestivo, tanto che è lieve e salutare. Sapori troppo
forti ne ammazzerebbero la disarmante delicatezza dei contenuti. Un
amore di carta è vietato
spiegarlo: se si vuole, si legge. Centonovanta pagine e un intreccio
semplice, buffo e sognante, che si potrebbe riassumere in una parola;
ma che ne sarebbe poi dei sorrisi che sbocciano incontrollati, dei sospiri
di pace, dei capi malefici, dei lieto fine sospesi e di quell'aria
che non sai spiegare, che cerchi di mettere a fuoco, per poi renderti
conto che è una cosa impossibile: un Wes Anderson (e a me Wes
Anderson non piace manco un po') che si è dato ai languori del
non-colore, ma non ha rinunciato alle sue forme voluttuose da
pasticcino; da dolce così esteticamente perfetto, e questa volta
senza stucchevoli coloranti artificiali, che ti dispiace quasi di ferirlo col cucchiaino, fargli male, mangiarlo in un boccone.
“Aggiungerò infine che da qualche tempo ho scoperto
l'esistenza, su questo pianeta, di una creatura capace di far
apparire i colori più vivi, le cose meno gravi, l'inverno meno duro,
l'insopportabile più sopportabile, il bello più bello, il brutto
meno brutto, insomma, di allietarmi la vita. Quella persona è lei,
Julie.”
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Edith Piaf – La vie en rose
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