[Recensione] Un’estate con Montaigne di Antoine Compagnon

Creato il 05 gennaio 2015 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Un’estate con Montaigne
Autore: Antoine Compagnon
Traduzione di: Giuseppe Girimonti Greco; Lorenza Di Lella
Editore: Adelphi
Anno: 2014
ISBN: 9788845928864
Numero pagine: 136
Prezzo: € 12,00
Genere: Saggistica
Voto:

ContenutoQuando, nel 2012, il direttore di un’emittente radiofonica propone ad Antoine Compagnon di parlare dei “Saggi” di Montaigne in una lunga serie di trasmissioni quotidiane della durata di pochi minuti, all’illustre professore del Collège de France l’idea appare subito quanto meno stravagante. Il periodo di programmazione (dall’inizio di luglio alla fine di agosto) e l’orario (intorno a mezzogiorno) sembrano decisamente più adatti ai bagni di mare che non all’ascolto di lezioni su un grande classico della letteratura e del pensiero. La sfida è così arrischiata, e allettante, che Compagnon non osa tirarsi indietro. E il risultato è clamoroso: le trasmissioni ottengono ascolti sbalorditivi, il libro che ne raccoglie i testi, pubblicato un anno più tardi, risulta tra i più venduti della stagione, e i corsi di Compagnon al Collège de France registrano un’affluenza inusitata. Ma tanto successo ci apparirà tutt’altro che sorprendente non appena ci inoltreremo nelle pagine di questo incantevole vademecum, dove Compagnon, coniugando leggerezza e profondità, attraverso il commento a quaranta brevi passi dei “Saggi” ci condurrà all’interno di un’opera senza tempo come i temi di cui discorre, le cose della vita: dall’amore all’amicizia, dalla morte alla vanità, dalla bellezza alla malattia.

Recensione: In un saggio contenuto nella raccolta Alfabeti, Claudio Magris scrive:

Un’onesta e fedele divulgazione è la base di ogni seria cultura, perché nessuno può conoscere di prima mano tutto ciò che sarebbe, anzi, è necessario conoscere. Tranne pochi scrittori che riusciamo ad approfondire, tutta la nostra cultura è di seconda mano: è impossibile leggere tutti i grandi romanzi della letteratura universale.

Aggiungerei che leggerli anche una volta sola non basta.

A meno di pretendere che ciascuno, nel corso della propria esistenza, si legga integralmente almeno 5-10 mila opere, non possiamo che trovarci d’accordo con questo assunto. Se si pretendesse di leggere tutti i classici, dall’inizio alla fine, non credo vi sarebbe tempo per altro.

Data questa esigenza, dobbiamo rivalutare i riassunti con i quali ciascuno ha preso confidenza a scuola, o le vituperate antologie. La condizione è che si tratti, comunque, di una sana e buona divulgazione, tale da farci avvicinare a qualcosa che molto probabilmente resterebbe dove si trova, cioè lontano da noi.

Gli esempi non mancano. Penso alle riduzioni dei grandi romanzi, da I Miserabili di Victor HugoLa piccola Dorrit di Dickens. Penso ai condensati dell’Odissea o dell’Iliade, dell’Eneide.

Prendo spunto dal libricino del professor Antoine Compagnon per fare questa e altre riflessioni. E per ricordare che di Montaigne non ho mai letto una pagina. Quello che so si limita a qualche citazione sparsa qua e là, e forse al nutrito capitolo di una Storia della Letteratura francese leggicchiata quando non ero ancora maggiorenne, e quindi anni e annorum fa.

Il libro di Compagnon ben risponde a questa e ad altre esigenze. I brevi e densi capitoli di cui è composto ci propongono gli Essais in piccoli assaggi che ci inducono alla riflessione prima, all’approfondimento poi.

La prima domanda che ci poniamo può sembrare scontata, ma non lo è più di tanto: cos’ha oggi da dirci Montaigne? Molto, a cominciare dai temi trattati, ma anche dal modo di affrontarli.

Pensiamo solo all’otium studiosum:

Quando si ritira a vita privata, il suo obiettivo non è la scrittura ma la lettura, la riflessione, il raccoglimento. La scrittura è una sorta di rimedio escogitato per lenire l’angoscia e ammansire il demonio.

Poco altro può apparire così estraneo e lontano dal nostro quotidiano. A ispirare diffidenza è piuttosto la prima parola del sintagma (otium), da cui ci dissociamo senza tanti scrupoli. Eppure proprio a questo tipo di ozio dobbiamo gli Essais.

L’otium studiosum è una pausa dell’esistenza, un momento dedicato alla meditazione, quello in cui si tirano le somme, si stabilisce la direzione da seguire nel corso della vita attiva. Ci si prepara per la prova (ci si saggia, ecco il significato reale del titolo). Insomma, nulla a che vedere con la condizione esistenziale permanente di un Peter Kien dell’Auto da fé di Elias Canetti, schiavo delle proprie elucubrazioni mentali e totalmente estraneo a ciò che gli accade intorno.

A ben vedere Michel de Montaigne è stato tutto tranne che un eremita, anzi. Ha partecipato attivamente alle vicissitudini del suo tempo, rischiando anche del proprio. Un po’ come Dante, come ha ben evidenziato la biografia di Marco Santagata a suo tempo esaminata (vedi qui).

Altro tema sul quale vale la pena buttare un occhio è l’arte della conversazione.

Conversare significa dialogare, esporre all’altro il proprio pensiero e, con esso, se stessi. La conversazione come arte non è mai fine a se stessa, anche se non è necessario giungere a chissà quale punti d’arrivo:

Tutto scorre ed è instabile, trovare la verità o una verità in queste condizioni è praticamente impossibile.

La verità stessa imita l’eterno fluire delle cose, la conversazione ne è il racconto. Altrimenti detto, la verità è un oggetto che si muove. Chiunque la insegua, si muove insieme a essa.

Nulla a che vedere con le diatribe infinite di chi, per partito preso, cerca di convincere l’altro della tesi proposta, rimanendo arroccato nella propria certezza.

Conversare è movimento; tutto ciò che contraddice il movimento, nuoce all’essenza della conversazione. Chiaro, lampante, quasi banale. In altre parole: se il mondo cambia e noi con esso, ciascuno è chiamato a trovare il giusto assetto al suo interno, assecondandone il moto. Credo che ciò non sia lontano dallo spirito rinascimentale e da un certo modo (anche antico) di filosofare. Basti ricordare i dialoghi di Platone, o la scuola Paripatetica di Aristotele. Platone e Aristotele, visti insieme, pongono l’accento proprio sulla conversazione filosofica e sull’idea del movimento (=il camminare mentre si conversa).

L’unica verità che si scopre è che l’io è soprattutto movimento, come ben spiega Harold Bloom:

che l’io è passaggio e transizione, un attraversamento… Essere saggi significa esprimere il passaggio, e sebbene Montaigne sia sia sempre in possesso di un io, l’io scivola sempre in un altro io, come un tono cede il passo a un altro tono [Il Canone Occidentale, Rizzoli p. 170]

Alcune prese di posizione di Montaigne sono controcorrente, ma non fuori dal suo tempo. Piuttosto è dentro a ogni tempo, tanto da entrare a far parte del canone occidentale di cui parla il critico sopra citato. Costui a proposito dice per esempio:

L’aspetto meno francese di Montaigne è forse la singolarità della sua radicale originalità, ma fu proprio quella singolarità a renderlo canonico, non solo per la Francia ma per tutto l’Occidente [Il Canone Occidentale, I libri e le scuole delle Età, Rizzoli p. 162]

Crede poco nel progresso, ma non perché è lontano il secolo dei Lumi, ma perché non ci crediamo più nemmeno noi.

Montaigne è anche il primo critico della storia del Colonialismo. Genuino è il fascino provato nei confronti del Nuovo Mondo, con una punta di invidia per chi “vedrà l’alba quando il nostro sarà ormai tramontato” (col senno di poi le cose sono andate come sono andate).

Che dire poi dell’utile e dell’onesto, tema scottante dei giorni nostri, che vede l’Italia al primo posto in quanto a corruzione, nonostante un intenso sforzo legislativo?

Se un uomo pubblico mente anche una sola vota, non gli si dà più credito, ha scelto un espediente poco lungimirante… La sincerità, la fedeltà alla parola data sono comportamenti ben più remunerativi.

Si potrebbe obiettare che ben poco ci sia di notevole in queste parole, se si volesse ignorare che Montaigne assume una posizionediscorde da quella esposta nel Principe di Niccolò Macchiavelli (1469-1527).

In conclusione Montaigne, uomo del suo tempo, ha l’intelligenza di parlare tanto a se stesso quanto agli altri e di essere, sotto tanti aspetti, più avanti anche di noi, più di quattrocento anni dopo.


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