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Recensione: "Un lupo mannaro americano a Londra" - Yesterday, i film del (mio) passato (N°9)

Creato il 30 ottobre 2015 da Giuseppe Armellini
Recensione: lupo mannaro americano LondraTorna la rubrica dei film che più mi hanno segnato infanzia e prima adolescenza (gli altri qui).
Torna con un capolavoro di genere che è riduttivo considerare soltanto il miglior licantropia di sempre.
Credo di aver avuto 7,8 anni la prima volta che vidi American Werewolf.
Ero già un cane sciolto insomma, uno di quei bimbi che come affronto al proibito preferiva vedere gli horror anzichè rubare caramelle che anche poi, nel resto della vita, non gli piaceranno mai.
Quello che ricordo, insieme alla paura, è la certezza maturata anche già da bimbo che quel film fosse grandioso.
In casa il nostro horror era...La Casa, quello insomma dei 3 fratelli poi diventati 4 col tempo.
Quello invece era il mio horror, conservato gelosamente.
E lo è anche adesso il mio horror, 30 anni dopo, o almeno uno dei primi 5 insieme a Shining, L'Esorcista, La Casa appunto e The Orphanage (con Leateherface che bussa alla porta, anzi, la squarcia con la motosega per entrare).
Rivisto ieri.
E ci sarebbero tante cose da dire, e magari ce ne saranno se ho voglia.
Ma ho capito ieri che la grandezza di ULMAAL è nella sua unicità, nel suo essere film uguale a nessun altro.
Rivedere questo film adesso, nell'epoca della catena di montaggio horror, fa un certo effetto.
Perchè questo è un film scritto per essere unico, che unisce lupi mannari e zombie, registri alti e bassi, momenti di terrore ed altri fortemente ironici.
Recensione: lupo mannaro americano Londra
E' tante cose insieme questo film, un horror a tutti gli effetti, un horror comedy, un film sulla licantropia (il best ever senza tanti cazzi), un film sull'incubo, quasi lynchiano (ce ne sono quasi una decina), una tenerissima storia d'amore (lui che si fa imboccare a letto è semplicemente delizioso, lei magnifica), una piccola detective story, insomma un'accozzaglia di cose che sta insieme in modo perfetto.
Era il 1981 e appena un anno prima Landis aveva girato Blues Brothers. Una doppietta in due anni che pochi altri hanno replicato.
E altri due anni prima Animal House.
Per capire la grandezza di AM (odio gli acronimi ma con questo film son costretto, facciamo American Werewolf) bastano i primi 10 minuti.
Loro che camminano nella brughiera di giorno, con quell'inquadratura di spalle che li vede allontanarsi.
La scena della taverna, magnifica, con quella tensione palpabile che una barzelletta rende ancora più potente.
E poi l'indimenticabile scena della brughiera di notte, quel paesaggio nebbioso e lunare, gli ululati, il primo devastante attacco della creatura, il corpo morto dell'uomo che fu licantropo.
Uno dei migliori prologhi della storia del cinema horror.
Siamo poi a Londra.
Recensione: lupo mannaro americano Londra
E il film ha il potere di restar sempre "classico" ma allo stesso tempo diventare qualcosa di indefinibile, una variabile impazzita.
David ha continui incubi, come quello genialmente doppio dei nazisti-mostri + lei alla finestra.
Ricompare l'amico Jack che forse, rivedendolo oggi, fa diventare quella che era un'idea geniale come, andando avanti, uno dei punti più deboli del film.
I continui incubi (quello del letto nella foresta da bambino mi bloccò la crescita per mesi), la comparsa di Jack, l'inizio della storia d'amore con Alex e le ricerche del medico. In mezzo a questi 4 filoni "narrativi", quasi 4 diverse strade prese dal film, ecco che finalmente arriva il cuore di AM, la licantropia.
E lo sapete, vedremo quella che è la miglior trasformazione in lupo, ma non solo in lupo, della storia del cinema.
Qualcosa che ancora oggi la vedi e non ne capisci i contorni della grandezza.
Il dolore fisico provato da David è palpabile, lo senti pure te.
E gli allungamenti di piedi, mani, viso (impressionante quello), l'inarcatura della schiena, cose che nessun effetto visivo dell'epoca dei computer ha più saputo eguagliare.
Recensione: lupo mannaro americano Londra
E a completare il trittico delle scene capolavoro, con la brughiera e la trasformazione, c'è quella della metropolitana, fotograficamente splendida, corta ma perfetta.
Landis si diverte, si vede, preferisce non andare mai fino in fondo con l'horror, smorza continuamente la tensione. Il suo non è nemmeno un mix, nel senso che raramente usa comedy e horror insieme, ma li alterna. Ed è capace che 5 secondi dopo di una scena puramente terrorizzante ne metta una puramente comica.
Volendo, senza mai renderle pesanti, AM è film anche di tematiche.
Quella del senso di colpa rappresentata dall'amico che ti tormenta.
Quella della consapevolezza di essere mostri e avere la tentazione di farla finita.
E l'amore tratteggiato brevemente nel film ci sembra più autentico di interi drammoni sull'argomento.
La creatura è là in fondo, nel vicolo senza uscita.
Pare quasi che quel vicolo senza uscita sia anche quello nel quale si trovava Landis, in un finale che a me è sempre parso troppo affrettato e quasi irrisolto.
Lei prova a riconoscerlo, poi a farsi riconoscere.
Ma il breve scatto di lui porterà alle pallottole, alla morte.
Un corpo nudo di uomo a terra, come all'inizio.
E l'ennesima Blue Moon che parte in sottofondo.

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