Recensione Di fronte alla Némirovsky non riesco a far altro che inchinarmi. Prima ancora di aprire un suo libro, prima ancora di conoscerne la trama. Nei suoi confronti mi sento minuscola ma al contempo immensamente riconoscente. Confesso di aver letto solo due dei suoi romanzi (ma di possederli tutti), perciò queste mie parole potrebbero sembrare chiacchiere a vuoto, e confesso di non essere stata d'accordo con la sua visione della vita e dell'uomo che ho trovato in Due, ma non è bastato un disaccordo di idee per far calare la mia ammirazione verso di lei. Il suo stile è superbo, la sua indagine nella natura umana non è da meno e le storie che ci fa leggere colpiscono sempre forte, come se fossero schiaffi diretti ad aprirci gli occhi per farci guardare ciò che ci rifiutiamo di ammettere. Così Una pedina sulla scacchiera. Un romanzo breve, centosettanta pagine che però noi lettori non ci troveremo a finire nel giro di qualche ora. La Némirovsky non permette di essere letta ad alta velocità: richiede del tempo, delle pause, delle riflessioni. L'autrice ci chiede di soffermarci sulle sue storie e sui suoi personaggi. Ci chiede di provare delle emozioni cui preferiremmo rinunciare: indifferenza, noia, vuoto. Ci ritroviamo a dover vivere tutto ciò che non desideriamo. Uomini e donne senza sogni né ideali, senza speranze né affetto, che tirano a campare per abitudine. Così il protagonista di questo romanzo, la pedina del titolo: un uomo che si limita a sopravvivere: a un lavoro ottenuto nell'azienda del padre, a un matrimonio senza sentimenti, a un rapporto extra-coniugale senza trasporto, a un figlio che non gli ha mai ispirato l'amore paterno, a un anziano padre nell'attesa che muoia e gli lasci il suo patrimonio. Intorno a Christophe, protagonista passivo del romanzo e della sua stessa vita, un paese in crisi. Siamo negli anni '30, il mondo è stato colpito dalla Grande Crisi, col crollo della borsa e le disastrose conseguenze nell'economia e nella politica. Non c'è prospettiva di futuro se tutto quel che si può ottenere dal presente è disoccupazione e povertà. Christophe potrebbe considerarsi fortunato, per il suo lavoro, ma in queste pagine non c'è spazio per considerazioni positive. Il nostro protagonista non ha voglia di far nulla, non vuole mettersi in gioco, non ha nessun desiderio di costruire un futuro migliore per sé e per la sua famiglia: ambizioni e desideri sono spenti. Tutto ciò che resta è l'attesa della morte. O forse la possibilità di andarle incontro. Solo un gigante della letteratura può cimentarsi in un tema del genere, difficile e duro, e uscirne vincente. Le visioni pessimistiche della vita, del mondo e della realtà sono quelle che preferisco evitare nei libri, perché in disaccordo o semplicemente perché poi mi lasciano insoddisfatta, amareggiata. Eppure questo romanzo l'ho trovato impeccabile, nei contenuti e nella forma. L'ho trovato duro, triste, ma l'ho sentito vero. Sarà per l'attualità della situazione politico-economica italiana, sarà per la capacità dell'autrice di descrivere l'animo umano, sono riemersa dalla lettura più consapevole e più... sì, più matura. La Némirovsky ti apre gli occhi e ti costringe a crescere, anche se hai la mia non più giovanissima età.
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