Si parte in una sera d’estate, su una rotonda sul mare di Sicilia. Coppia giovane e visibilmente felice, lei Stefania (Isabella Ragonese) lui Roberto (Francesco Scianna). Ma tra i due qualcosa, scopriremo subito dopo, non funziona. Roberto tormentatissimo e insonne, Stefania tormentata per i tormenti di lui. E che sarà mai, che lui sia tossico? che sian tossici tutti e due? perché quella che ci vien trasmessa è l’immagine di una passione malata dove lo stare insieme fa male a tutti e due. Intanto vediamo Stefania al lavoro come infermiera, e poi in missione umanitaria nell’Iraq occupato in un ospedale da campo dove un’équipe italiana opera bambini affetti da malformazioni. Che c’entra mai tutto questo con la storia a due di cui sopra? E perché mai Stefania è così torva e disperata? E perché fa di tutto per uscire dal compound protetto e sorvegliatissimo per andare là nella casbah più miserabile e perigliosa? Quando il film ce la fa a liberarsi dai suoi detriti sentimentaloidi (tanti e pesanti) e si autolimita a descrivere quel pezzo di realtà irakena, riesce anche a dirci qualcosa di interessante. Perché Tavarelli, in una scelta insolita per un film italiano, si sbarazza del politicamente corretto e realisticamente delinea un quadro di relazioni tra militari e personale medico della base da una parte, e popolazione locale dall’altra, assai verosimile, chiaroscurato, e anche allarmante. Dove sono in pochi gli integerrimi, di qua e di là. Dove tutto è ridotto a scambio e merce. Dove i miltari e i civili in missione umanitaria sono a costante rischio burnout, e dove dietro allo sbandierato impegno si nascondono magari motivazioni non confessate. Reciproche diffidenze e pregiudizi, un confronto-scontro di culture, un clash of civilation pronto a deflagrare. Gli irakeni che si affollano nel cortile dell’ospedale con i loro bambini da operare potrebbero fare da ciopertura a un attentatore, e se da loro ti servono informazioni o favori devi pagare, sganciare soldi. Così fa Stefana con Khaleed, forse il personaggio più interessante, l’interprete, il collegamento tra gli italiani e i locali. Per convincerlo a portarla dall’uomo che sta cercando là fuori (ma perché? e chi è?) lo deve pagare, sempre di più. Senza che lui si faccia il minimo scrupolo. Khaleed ha l’obiettivo di lasciare l’Iraq, di rifarsi una vita negli Stati Uniti, e gli servono soldi, e quel che può vendere mette in vendita. Certo ci si chiede cosa mai tutto questo c’entri con il tormentato Francesco, e perché lui non sia lì con Stefania. Ma questo è precisamente il nocciolo di mistero del film, e non sta bene rivelarlo. Dico solo che lo sciogliemto dei moltissimi quesiti aperti nel corso della narazione è assolutamente assurdo, balordo e insoddisfacente. Una storia sbagliata, che pure azzecca una descrizione non convenzionale di una missione umanitaria, cade fragorosamente nelle sue derive sentimentali, nelle scene di felicità e/o disperazione dei due protagonisti, con dialoghi che nessun attore riuscirebbe a rendere credibili e salvare dal ridicolo. Isabella Ragonese e Francesco Scianna ce la mettono tutta, ma nulla possono nei momenti più sventuratamente mélo. Sicché alla fine quello che meglio se la cava è, nella parte dell’amiguo Khaleed, l’attore belga di origini berbere Mehdi Dehbi, già visto qua e là in vari festival in film come Il figlio dell’altra, Je ne suis pas mort e Mary Queen of Scots.
Recensione. UNA STORIA SBAGLIATA: un mélo con troppi elementi incongrui
Creato il 10 giugno 2015 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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