Recensione: Vita dopo vita, di Kate Atkinson
Creato il 02 giugno 2014 da Mik_94
Ma
come si fa a sentirsi fuori posto nel proprio nido?
Titolo:
Vita dopo vita
Autrice:
Kate Atkinson
Editore:
Nord
Numero
di pagine: 530
Prezzo:
€ 18,60
Data
di pubblicazione: 22 Maggio 2014
Sinossi:
In
una gelida notte di febbraio del 1910, a Londra nasce una bambina. Il
cordone ombelicale è stretto intorno al suo collo, e nessuno riesce
a salvarla. In una gelida notte di febbraio del 1910, a Londra nasce
una bambina. Il cordone ombelicale è stretto intorno al suo collo,
ma il medico di famiglia, giunto proprio all'ultimo istante, lo
taglia e permette alla piccola di respirare. Inizia così la vita
straordinaria di Ursula Todd, una vita che, nel corso degli anni,
verrà spezzata più e più volte, mentre l'umanità si avvia
inesorabilmente verso la tragedia della guerra. Vita dopo vita,
Ursula troverà la forza di cambiare il proprio destino, quello delle
persone che incrocerà e quello del mondo intero?
La recensione
“L'amore
è questo, pensò Ursula. Ed è con la pratica che lo si rende
perfetto.”
Procedere
con ordine. Non è cosa facile. Ho la scrivania sommersa di carte, la
testa piena di pensieri, un romanzo appena concluso che straripa di
post-it. Accatasto quaderni e block notes da una parte,
infilo evidenziatori e matite nella tazza sbeccata che uso come
portapenne, recupero un po' di voglia di fare tra dispense
universitarie consumate e libri che devo leggere, anche se non
voglio, ma mi tocca. Faccio una montagnetta di carte sparse,
foglietti volanti e volumi che si aspettano che li vada
magnanimamente a liberare dalla loro polvere: per il momento, decido
che stanno bene lì. Li schiaccio, e in cima al castello metto quel
che rimane della mia ultima lettura. Un volume di cinquecento pagine,
letto da cima a fondo, che voglio da sempre e mi trascino dietro da
un po'. Vita dopo vita. Premiatissimo,
amatissimo, pubblicizzatissimo. Kate Atkinson; la sua storia così
unica, senza etichette, né generi; un generoso e libero trionfo di
superlativi assoluti. Non lo faccio mai. Sono uno che sa aspettare.
Invece, qualche settimana fa, con il weekend alle porte e gli sconti,
mi sono fatto venticinque minuti a piedi per raggiungere il centro.
Treni in arrivo, treni in partenza, io che faccio il biglietto per
ritornare a casa il giorno successivo. Io che entro in libreria, ché
è di strada, ed esco subito con un romanzo tra le mani. Sono andato
alla cassa, deciso, e l'ho preso. D'istinto. Non ho mai abbastanza
soldi, appresso, per essere un compratore compulsivo. Ma il romanzo
della Atkinson era nella lista della spesa. Un bene di prima
necessità, quel giorno, insieme all'acqua naturale. Ci era finito tempo prima, grazie a un articolo su Il
Libraio e ad un allettante booktrailer visto in rete: illustrazioni
scure, una voce femminile che raccontava il miracolo di mille
rinascite, la magia di un vecchio libro pop su YouTube. L'ho iniziato
nel momento sbagliato. Con intorno un caos universitario identico a
quello di adesso. Posto una foto su Facebook e la didascalia dice
“Oggi va così”.
Era il primo giorno di lettura. Vita dopo vita si
contendeva il mio tempo con la sessione estiva imminente, i
paragrafi ripetuti a voce alta, gli evidenziatori che si scaricavano
perchè avevano esaurito le loro forze. Quell'Oggi va così
era per dire che la letteratura
andava avanti pigra, che quella rosa rossa a due teste non mi pungeva
ancora, che l'autrice non sapeva catturarmi. Quell'oggi è diventato
domani, e così sono passati otto giorni. Otto giorni in cui - in
maniera discontinua, è pur vero - è andata “sempre
così”. Parto dal presupposto
che Vita dopo vita è
scritto benissimo. Meglio di gran parte di quello che ho letto
quest'anno, meglio di gran parte di quello che leggerò nei sei mesi
che restano. Una cura maniacale nella scelta dei termini, scale
ascendenti e discendenti di aggettivi inusitati, un linguaggio
piacevolmente forbito e, quasi, d'altri tempi. Ma ha, altresì,
avverbi interminabili, citazioni che le care note a piè di pagina
chiariscono, milioni di frasi poste tra parentesi che, giustificato,
mi veniva naturale saltare interamente. Sintomo di una vicenda non
avvolgente, ma soffocante. Quella della Atkinson è una storia ampia
che dà la claustrofobia - strettissima, senza margini - con
personaggi non propriamente amabili: cinici, sentenziosi, sempre
diversi e sempre uguali. Non c'è magia, non c'è il trasporto di una voce narrante. Ho scoperto che la protagonista non viveva vite
diverse. Moriva per rivevere sempre la stessa, sempre la sua:
un'esistenza come la nostra. Comune, ordinaria, monotona, ripetuta
ancora e ancora, ma con margini di differenza – a volte –
minuscoli. Uno Stoner in
loop. Alcuni lati della suo vissuto sono esaltanti, altri esasperanti
per il loro algido rigore. La tensione non c'è. Sai che Ursula
morirà, aspetti solo di scoprire come. A volte, speri che i capitoli
si facciano più snelli, che un'altra morte sopraggiunga, che passi
un'altra vita. La Atkinson firma una saga familiare sullo sfondo di
due guerre e affascina con una rievocazione realistica dei salotti, i
sogni di gloria, gli scandali finanziari e i segretucci
dell'alta-borghesia inglese. Hugh: padre affettuoso, uomo dolce e
altruista, aperto di cuore e di mente. Sylvie: una madre che stila
liste di preferenze tra i suoi cinque figli, antiquata,
tradizionalista, sgradevole; vive con l'influenza di un cattivo uso
delle prose di Jane Austen e si crogiola a fuoco lento, nel suo
“orgoglio e pregiudizio” e in occupazioni prive di “ragione e sentimento”. La frivola Daisy del Grande
Gatsby con la sindrome di mezza
età. In mezzo a schiere di domestiche, cuoche scorbutiche e aiutanti
innamorate, i quattro fratelli – il dispettoso Maurice, l'altruista
Pamela, il dolce Teddy, il piccolo Jimmy – e la mitica zia Izzie,
moderna e audace. Avventuriera, scrittrice, soubrette, compagna di
uno sceneggiatore della nuova Hollywood. E poi, ovviamente, Ursula. La protagonista di un inspiegato miracolo. Arriva a Fox
Corner nell'inverno più freddo del mondo, con la neve, le strade
congelate, le volpi rintanate nelle loro tane. Consulto l'indice del
romanzo, e mi dice che Ursula ha vissuto undici volte il giorno della
sua strana nascita. Da bambina, ha come un sesto senso. La compagnia
fissa di un senso costante di dèjà vù. Il suo punto di vista di
bimba mi appassionava. Tenera, era portavoce dei misteri
dell'infanzia.
Perché i bambini, ogni tanto, dicono veramente cose
fuori dal mondo. Ricordi? Esperienze passate? Chi lo sa... In quei
momenti, a Fox Corner si sentono sinistri scricchiolii, volano bugie
ingenue, si fanno inquietanti dispetti presi in prestito dai romanzi
gialli. E' solo Ursula che tenta di evitare gli errori di
un'altra vita. Con il superamento della fase iniziale, ho iniziato a
trovare noioso quello che, all'inizio, sembrava mistero. Lei diventa
cieca, come i grandi. Anche se i dizionari sono soliti chiamarla intelligenza, la voce squillante della ragione. La protagonista, in
vesti adulte, è seccante. Pensa per aforismi e alte citazioni: non
ha pensieri suoi. Frequenta uomini sbagliati che vanno e vengono,
diventa amante di un uomo sposato, sposa un mostro con il complesso
di Edipo e con le mani pesanti, è una mancata ragazza madre.
Segretaria, insegnante, spia. Nelle sue vite, la continuità degli
affetti familiari, l'imponderabilità della guerra. Assiste, la vive,
la combatte. La subisce, ma in modi diversi. Muore. Ma da eroina, da
vittima, da volontaria. In condomini crollati tra le macerie, nel
mezzo del fuoco incrociato. In terre straniere e diverse. Una volta
sotto i cieli londinesi, un'altra sotto quelli tedeschi. Lei è la
costante di sé stessa. I comprimari si rincontrano, ma visti da
ottiche diverse: fugaci comparse nello (stra)ordinaio spettacolo
della vita di lei.
Brutalmente: ho trovato i capitoli sul nazismo
un'agonia. L'autrice avrà avuto difficoltà a scriverli, a
documentarsi; io ho avuto difficoltà a leggerli. Pagine di troppo,
troppe pagine di troppo.
Con dettagli impercettibili che allungavano
allo sfinimento l'interessante relazione tra un riuscito Hitler e
un'umana Eva Braun, chilometriche conte dei caduti, stonate frasi in
tedesco. Ci sono dialoghi interi in tedesco, perfino. Termini che,
per fiducia, consideravo raffinati, quand'erano soltanto
ostentazione. Di cosa, poi, non so. Scorrevo le pagine per trovare
una via di fuga, con gli occhi che incontravano motti impronunciabili
e vocaboli incomprensibili. Le mie intenzioni erano buone: nella mia
mente, provavo a leggere tutto, ma poi desistevo. Soave come Maria De
Filippi, padrone del tedesco come lo è Emma Marrone dell'inglese! Mi sarei
augurato un altro contesto: meno cupo, meno pesante. Parole che
suonassero meno come una condanna a morte. Kate Atkinson firma un
barocco e ridondante Sliding Doors che
stanca, ma dà da pensare. A quanto siamo infiniti. Alle lingue che
possiamo imparare, alle persone che possiamo conoscere, ai compiti che
possiamo svolgere, agli amanti con cui possiamo condividere un pezzo
di letto e un battito di vita: non c'è limite. Quanto potenziale.
Quante scelte da prendere. Quanta pratica per rendere questa vita
perfetta. Mi dava da pensare, però, quando era chiuso e i pensieri dovevano
ancora raffreddarsi, sedimentarsi nella memoria. Il romanzo non divampa mai.
Divampa, forse, dopo. E' lucidissimo. Dispersivo, pur non perdendosi.
Ma io non mi sono perso in esso. Solo nei mari dei miei “e
se...”. Distante dai
bombardamenti, dalle chiacchiere salottiere più assordanti dei
bombardamenti stessi, dai tè più lunghi delle due guerre. E' un romanzo
superbo, nelle due accezioni possibili: compiaciuto e pieno di
alterigia; imponente. Non per tutti. Consigliato, certamente, agli
amanti dei romanzi storici: troverete un'attenta ricostruzione, una
vibrante rievocazione, una dimensione squisitamente teatrale.
Compratelo quando avete voglia. Leggetelo quando avete tempo e
pazienza in quantità. E pregate di portarlo a termine nell'arco di
questa vita: con il piede sbagliato, le pagine sembrerebbero eterne.
L'idea alla base è geniale, ma – statene certi – non è tutto
oro quel che luccica. Conosce più di qualche imperfezione, infatti, e
dà l'impressione che le grandi testate giornalistiche, come al
solito, siano state abili nell'antica arte di stordire il lettore col suono
di aggettivi sensazionali tirati fuori dal loro cappello a cilindro. Su
Goodreads ha una media di 3,7 il romanzo che ha vinto il Premio di Goodreads. Riacquisisce vigore in quell'epilogo a cui io, purtroppo,
sono arrivato distratto per le troppe troppe digressioni, gli
incalbolabili eccessi. Vita dopo vita lascia
con l'immagine nietzschiana di un serpente che si morde la coda: un
cerchio fatto e finito, una struttura perfetta, l'inizio che bacia
sulle labbra la fine. Un anello di ferro che, nel palmo della mano
aperta, spesso, pesa come se fossimo nei mondi fantastici di Tolkien.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Sigur Ros - Hoppipolla
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