Recensione: VULCANO (Ixcanul), il film guatelmalteco premiato alla Berlinale

Creato il 14 giugno 2015 da Luigilocatelli

Vulcano (Ixcanul), un film di Jayro Bustamante. Con María Mercedes Coroy, María Telón, Manuel Antún. Film guatemalteco con poveri contadini tra neo-neorealismo e pratiche magiche. Politicamente assai corretto, con modi da docu etnografico. Ma assolutamente non interessante. Presentato e molto applaudito alla Berlinale 2015, dove ha vinto L’Orso d’argento – Premio Alfredo Bauer per un film che apre nuove prospettive. Voto 4 e mezzoLà in Guatemala, sotto il vulcano, vite povere di contadini-allevatori, occasionalmente prestatori d’opera nella raccolta del caffè, i quali se la devono vedere con proprietari terrieri bizzosi e soprastanti malmostosi. Vite appese al capriccio dei forti e ai loro umori e malumori. Una coppia di anziani genitori, una figlia da maritare. Il promesso sposo è un buon partito, essendo il soprastante di cui si diceva, quello che sorveglia e regola il lavoro nelle piantagioni di caffè, anche un brav’uomo a modo suo. Ma lei, la ragazza, si è incapricciata del solito ragazzo più belloccio della media però con pericolosa tendenza all’alcol e al fanigottismo, che la imbambola con le storie del paradiso americano in cui per un po’ di tempo è stato e dove vuol tornare. “Vengo con te”, fa lei, lui intanto la mette incinta, e quando viene a saperlo taglia la corda e in America ci va da solo. La poveretta tenta di abortire con praticacce e erbe da megere guatemalteche, il che consente al regista, e al film, di inoltrarsi nell’universo magico del popolo Kaqchikel Maya che ha sì una vernice cristiana, ma che non parla nemmeno lo spagnolo e conserva tutte le pratiche animistiche dei padri. Siamo dalle parti del docu etnograficamente corretto, però con un po’ di narrazione per farci digerire la contemplazione dei paesaggi, la descrizione della vita materiale (l’abitare, il mangiare, il lavorare) evitando l’effetto Wikipedia. Ma non basta. Il film è, semplicemente, ininteressante. La presenza di serpenti e di un vulcano è narrativamente sottoutilizzata, soprattutto il secondo. E io che, vedendo lei incinta, mi aspettavo un gran finale che citasse Stromboli di Rossellini, con lei col pancione che cerca di raggiungere tra lava e lapilli l’amato misteriosamente fuggito verso l’America. Purtroppo non succede, il regista non deve aver visto Rossellini. Però la platea-stampa politicamente correttissima e sempre pro-indigenti della Berlinale, dov’è stato presentato lo scorso febbraio, ha applaudito calorosamente.


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