Recensione “Waiting Room” di Bianca Rita Cataldi

Creato il 06 luglio 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Ossimoro Ho conosciuto questa giovanissima autrice due anni fa, in occasione dell’uscita del suo primo romanzo, Il fiume scorre in te (Booksprint Edizioni): si trattava di una storia di formazione fantatemporale (un po’ alla Donnie Darko) costruita sul canovaccio di un racconto lungo, con cui Bianca (all’epoca 17enne) era arrivata in finale al premio Campiello Giovani. 
Un primo romanzo che, pur nelle sue fisiologiche ridondanze adolescenziali, già tradiva le avvisaglie di uno stile molto personale, di un intreccio studiato e originale, di una notevole poesia di sentimenti. Un talento in boccio che ritroviamo in questo suo secondo lavoro, stavolta di stampo completamente realistico: una storia intimista, con una protagonista anziana e tormentata, in lotta con i ricordi della sua giovinezza.
Questo è un romanzo amaro, introspettivo, la cui indagine sulla natura umana si espande ben oltre la giovane età dell’autrice, imboccando la strada verso la letteratura. 
Autore: Bianca Rita Cataldi Titolo: Waiting room Editore: Butterfly Edizioni Collana: Raggi di sole Pagine: 147 Prezzo: 12 euro Trama: È il 1942. In una Puglia bruciata dal sole, Emilia e Angelo condividono la passione per il sapere, il desiderio di libertà e il tempo della loro giovinezza. Settant'anni dopo, seduta nella sala d'attesa di un dentista, Emilia rivela a se stessa la verità negata di una giovinezza che adesso, per la prima volta, ha il coraggio di riportare alla luce. Con una scrittura che è poesia del ricordo e caleidoscopio di emozioni, Bianca Rita Cataldi accompagna il lettore tra i sorrisi e le lacrime di una donna come noi, raccontando la storia di un amore mancato, di una generazione nell'età dell'incertezza, di un'attesa che attraversa tutta una vita.
RECENSIONE Questa storia si sviluppa su due piani narrativi differenti: il presente, in cui la protagonista Emilia (professoressa di lettere in pensione) affronta i primi acciacchi della vecchiaia con il sostegno delle tre vicine di casa e il passato, un’età dell’oro, di smottamenti storici e rimpianti, in cui si richiama alla memoria un amore impossibile, di stampo vagamente “marqueziano”. Il tutto ha luogo nella sala d’aspetto di un dentista, in cui l’anziana prof si lagna dell’imperante paradigma anglofono che tutto abbatte, facendola sentire impotente, visto che lei l’inglese non lo sa.
Il piano narrativo contemporaneo è senz’altro il più riuscito, il più convincente: l’acume e la delicatezza con cui Bianca ci racconta i pensieri malinconici che occupano la mente di Emilia è qualcosa di assolutamente miracoloso, specie se si pensa che proviene da una persona di appena vent’anni, che è riuscita in modo perfetto a calarsi nei panni di un’anziana piena di rimpianti, qualificandosi con una consapevolezza che va molto oltre la sua giovane età.
Ignorare è il modo migliore per sopravvivere ed io volevo solo questo: sopravvivere. Chiudere gli occhi e respirare dalla bocca senza sentire il tanfo della vita intorno a me. Volevo stare al mondo come una pianta in un vaso e farmi annaffiare da qualcuno fino alla fine dei miei giorni senza conoscere mai il nome di quel qualcuno. Senza amarlo, per non sentirlo mancare mai.
Il lungo flashback che ci accompagna indietro nel tempo, precisamente nel 1942, ci parla di una Emilia adolescente, unica di tutto il suo paesino pugliese desiderosa di studiare per emanciparsi dagli umili mestieri con cui occupano il loro tempo parenti e amici. Un destino condiviso con Angelo, un lontano cugino dimenticato, che torna al paese per annunciare che studierà medicina a Roma. La storia di un amore passionale e tormentato, che tuttavia si infrange sulle difficoltà del caso, su quel sentimento di stillante umanità che è la vigliaccheria: una vigliaccheria dettata dal buon senso, dal sogno di una vita migliore, dalla difficoltà del momento storico. Mentirei se dicessi che la ricostruzione storica ha una grande rilevanza: a svettare da questa pagine sono i sentimenti, cui la storia fa davvero solo da sfondo, creando un’allure sospesa in mezzo al tempo; a parer mio, a differenza di ciò che hanno detto altre recensioni, si tratta di una scelta. Prerogativa di Bianca non era, infatti, raccontare gli anni del ventennio fascista (motivo per cui è difficile considerare questo libro un romanzo storico), ma piuttosto fotografare impressionisticamente quel momento privato, proprio come viene ricordato dalla memoria di Emilia, che ne ha una visione mitica e pesca nella sua mente solo ciò che vi è legato, tralasciando tutto il resto. Piuttosto, la giovinezza dell’autrice ancora traspare dal limpido e folle trasporto con cui racconta l’emozione del primo amore, descritto in tutta la sua dirompente forza totalizzante: il tempo e la consapevolezza (per fortuna, o purtroppo) verranno prima o poi a velare e chiaroscurare anche questo fuoco. Uno stile essenziale, eppure profondamente personale e ricco di metafore, di indicazioni sensoriali, rende la prosa di Bianca incalzante e subito riconoscibile: un’autrice che alla sua età ha già raggiunto un livello di maturità artistica che certi autori blasonati non hanno a cinquant’anni. Una promessa per la nostra letteratura, un libro fresco e introspettivo da portarvi in vacanza per non smettere mai di riflettere sulla vita, senza rinunciare all’appeal di un’incalzante storia d’amore.  L’AUTRICE Bianca Rita Cataldi è nata nel 1992 a Bari, dove frequenta la facoltà di Lettere e studia pianoforte in conservatorio. Finalista al Premio Campiello giovani 2009, ha esordito nel 2011 con il romanzo Il fiume scorre in te (Booksprint Edizioni). Waiting room, finalista della II edizione del premio Villa Torlonia, è il suo secondo romanzo.

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