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Recensione: ‘WHITE GOD – Sinfonia per Hagen’. E i cani fecero la rivoluzione

Creato il 18 aprile 2015 da Luigilocatelli

white_god_02White God – Sinfonia per Hagen, un film di Kornél Mundruczó. Con Zsófia Psotta, Sándor Zsótér, Luke e Body. Ungheria 2014.
white_god_23Una tassa colpisce i padroni di cani bastardi. Il padre di Lili, non volendo pagare, molla per strada il loro Hagen. Massimo dolore per la ragazzina, e per il buon meticcio. Lei cercherà di ritrovarlo, lui di ritrovare lei, ma intanto ne subirà di ogni. Fino a che scoppierà la rivolta dei cani oppressi. Il film che l’anno scorso ha vinto a Cannes la sezione Un certain regard. Parabola animalista con chiarissima allusione alle pulsioni xenofobe e alle tensioni interetniche in Ungheria, e in tutta Europa. Voto 7
white_god_01Arriva solo adesso nei cinema, ma è già un miracolo che qualcuno l’abbia acquistato e distribuito, il film che ha vinto l’anno scorso a Cannes la sezione Un certain regard battendo all’ultimo secondo il molto lodato svedese Turist/Force majeure (occhio, pure quello prossimamente nei nostri cinema), che s’è dovuto accontentare di un premio meno importante. A distanza di quasi un anno si può dire che Force majeure ha ribaltato quel verdetto e si è preso parecchie rivincite, ramazzando premi qua e là, ricevendo reviews entusiastiche dalla stampa anglofona e finendo nella shortlist (ma, inspiegabilmente, non nella cinquina finale) dell’Oscar al migliore film in lingua straniera. Di fronte a tanto trionfo, stinge un po’ il buon successo pure ottenuto dall’ungherese White God. Adesso la loro uscita nelle sale italiana a breve distanza l’uno dall’altro consente al pubblico di fare il confronto e stabilire quale sia meglio. Per quanto mi riguarda, preferisco lo svedese, anche se non mi è dispiaciuto per niente questo White God di un regista a me sconosciuto, ma che già aveva frequentato qualche festival con le sue cose precedenti, e che risponde all’ostico nome magiaro (tutti quegli accenti, my God) di Kornél Mundruczó. A White God – titolo che pare sia un omaggio in forma di anagramma a White Dog di Samuel Fuller – nuoce sulle prime la evidente, evidentissima intenzione alla parabola e alla metafora, la sua incontenibile pulsione al messaggio (sociale, politico). Questa storia di cani bastardi messi all’indice – i loro proprietari devono pagare una tassa, un incentivo a liberarsene, mentre per i padroni di razze pure non ci sono balzelli – allude chiarissimamente, in modo abbagliante, a quanto successo negli ultimi anni in Ungheria, paese percorso da ondate xenofobe, iper nazionaliste e identitarie, e anti Rom (non son mancati nemmeno rigurgiti antisemiti), che hannno sfiorato anche i vertici istituzionali. Ma immagino che Mundruczó non si sia limitato alla situazione del paese suo ma abbia voluto mettere in forma di parabola esemplare le tensioni interetniche che stanno interessando tutta l’Europa. Intento didascalico e didattico, come nei vecchissimi film militanti. Solo che qui, al posto del proletariatio vessato e in procinto di spezzare le sue catene, al posto dei misérables delle suburre otto e novecentesche, ci sono i cani bastardi, meticci, che dopo aver rischiato lo sterminio organizzeranno una rivolta verso gli aguzzini umani. Ed è quando il regista scatena senza più remore i suoi bastardi e li scaglia in un branco minaccioso e allarmante contro il potere – e sembra l’eisensteiniano Ottobre in versione canina – che White God raggiunge il suo climax, in un’apoteosi animalista-ribellistica tonante, turgida, assolutamente travolgente. Un eccesso che finisce col trascinare via anche le scorie ideologiche e dimostrative.
Tutto comincia con l’ingiunzione a pagare di cui si diceva. La tredicenne Lili, che ama riamata il suo Hagen, sarà costretta a distaccarsene e a vederlo abbandonato per strada, giacché il babbo suo non ha nessuna intenzione di versare per lui la tassa. Il film segue da questo punto i due tracciati narrativi, Lili che cerca di ritrovare il suo Hagen, Hagen che cerca di tornare a casa da lei. Ma prima che il ricongiungimento avvenga ne vedremo di ogni. Genialmente e spudoratamente, Mundruczó ricicla e rivisita almeno due archetipi cinematografici dei più popolari e persistenti, il Torna a casa Lassie con Elizabeth Taylor ragazzina ansiosa di riabbracciare il suo amico dal lungo pelo biondo e il disneyano La carica dei 101, con la guerra dichiarata dalla malvagia predatrice Crudelia ai poveri dalmati. In White Dog le Crudelie Demon sono i pessimi soggetti di cui il povero Hagen finisce schiavo, prima un homeless che lo sfrutta, poi un delinquente che ne fa un animale da combattimento attraverso un addestramento-tortura. Fino alla minaccia di sterminio finale nel canile-lager, e chissà se si allude in queste agghiaccianti sequenze all’Ungheria del periodo bellico dove, per opera dell’azione congiunta di tedeschi occupanti e locali Croci frecciate, si produsse una delle pagine più nere della Shoah. Hagen da pacifico cane qual era con Lili si trasforma dopo tante vagare e penare in una feroce macchina da combattimento pronto a tutto pur di sopravvivere, e come lui centinaia, migliaia di cani, che si coalizzeranno in una legione ululante impadronendosi delle strade di Budapest, tramutandosi da schiavi e prede in cacciatori degli umani nemici. Con un finale aperto e sospeso, che ovviamente non dico. Quella muta urlante che sembra inseguire una ragazzina in bicicletta affiora qua e là in tutto il film, come un incubo, un ammonimento, un avvertimento, quale emersione dell’inconscio e ritorno del rimosso, creando un senso di rischio e minaccia. E solo alla fine lo spettatore capirà e riuscirà a connettere i fili della narrazione. In fondo, White Dog è un grande racconto popolare di impronta populistico-ottocentesca, o primonoventesca, con oppressori e oppressi chiaramente divisi e riconoscibili, in una visione senza sfumature un filo grossolana, ma che permette al film di raggiungere, nelle scene della rivolta e dell’invasione della città, un’intensità indiscutibile. Eroicamente, il regista non ha voluto ricorrere al digitale, e dunque massimo rispetto. Tutto è girato con cani veri, e per Hagen se ne sono alternati due, quasi uguali, Luke e Body, puntualmente creditati accanto agli attori umani.


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