Recensione · “Wonder”, di R.J. Palacio

Creato il 28 settembre 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Ricordate quanto abbia amato di James Lecesne? Auggie, il protagonista di Wonder, ne è a modo suo l'erede, uniti da quel filo invisibile che tiene insieme due vite differenti da quelle ordinarie e, proprio per questo, meravigliose da leggere. Ecco, tanto quanto vi continuo a consigliare il primo, da oggi aggiungete alla lista pure questo.

Wonder
di R.J. Palacio

EDITORE: Giunti
TRADUTTRICE: Alessandra Orcese
ANNO: 2013
PAGINE: 288

È la storia di Auggie, nato con una tremenda deformazione facciale, che, dopo anni passati protetto dalla sua famiglia per la prima volta affronta il mondo della scuola. Come sarà accettato dai compagni? Dagli insegnanti? Chi si siederà di fianco a lui nella mensa? Chi lo guarderà dritto negli occhi? E chi lo scruterà di nascosto facendo battute? Chi farà di tutto per non essere seduto vicino a lui? Chi sarà suo amico? Un protagonista sfortunato ma tenace, una famiglia meravigliosa, degli amici veri aiuteranno Augustus durante l'anno scolastico che finirà in modo trionfante per lui. Il racconto di un bambino che trova il suo ruolo nel mondo.

So di non essere un normale ragazzino di dieci anni. Sì, insomma, faccio cose normali, naturalmente. Mangio il gelato. Vado in bicicletta. Gioco a palla. Ho l'Xbox. E le cose come queste fanno di me una persona normale. Suppongo. E io mi sento normale. Voglio dire dentro.
Ma so anche che i ragazzini normali non fanno scappare via gli altri ragazzini normali fra urla e strepiti ai giardini. E so che la gente non li fissa a bocca aperta ovunque vadano.
Se trovassi una lampada magica e potessi esprimere un desiderio, vorrei avere una faccia così normale da passare inosservato. Vorrei camminare per strada senza che la gente, subito dopo avermi visto, si volti dall'altra parte. E sono arrivato a questa conclusione: l'unica ragione per cui non sono normale è perché nessuno mi considera normale.
Ma in un certo senso posso dire che ormai mi sono abituato al mio aspetto fisico. So come fingere di non notare la faccia che fa la gente [...]
Mi chiamo August, per inciso. Non mi dilungo a descrivere il mio aspetto. Tanto, qualunque cosa stiate pensando, probabilmente è molto peggio.

Potrei semplicemente dirvi che il titolo è il perfetto riassunto di questo romanzo, e sarei soddisfatta, perché, seriamente, lo è. La storia di Auggie e di tutte le stupende persone che lo circondano è una meraviglia da leggere, che commuove e che, a mio parere, deve essere letta almeno una volta nella vita, perché nella sua semplicità arriva dritta al cuore, colpisce nel punto giusto e non so, credo scateni qualcosa, qualcosa che fa guardare alcune cose, alcuni libri anche, in modo differente. Che è un po' la cosa che rende un libro un ottimo libro, dal mio punto di vista. Uno di quei libri che, avessi un figlio, sarebbe senza dubbio tra quelli che gli consiglierei. Perché Wonder è delicato, delicatissimo nel trattare un tema non semplice, farlo nel modo opportuno per esser letto da dei bambini, ma senza nascondere niente, perché la vita, le reazioni della gente, la cattiveria sono reali, ne siamo circondati ogni giorno e sono così vere che ci si sente coinvolti, ci si chiede quale sarebbe stata la nostra reazione nel trovarsi davanti Auggie e quel suo volto particolare che spaventa i bambini, inorridisce gli adulti. Spiazza.
La vita, difatti, con August Pullman, non è stata giusta né gentile, neanche un po'. Nato con la sindrome di Treacher-Collins, che, detto in parole povere, deforma il viso in maniera tale da far scivolare giù occhi e zigomi e non far sviluppare completamente le orecchie - tanto per citare alcuni aspetti - ha da sempre studiato a casa, perché le numerose patologie che lo affliggono richiedevano costante attenzione, e le uniche facce amorevoli che conosce sono quelle della sua famiglia e dei medici che negli anni l'hanno operato e preso a cuore. Non è semplice, insomma, essere Auggie, non è proprio per niente facile ritrovarsi improvvisamente a frequentare la prima media. Non lo è per nessun bambino, credo siano gli anni più orribili che io abbia mai vissuto e mai vorrei tornarci, ma per Auggie lo è in maniera esponenziale. Perché lì, a scuola, è solo. Solo di fronte allo scherno dei ragazzini che per sentirsi grandi lo usano come valvola di sfogo, a quelle occhiate che prima venivano abbattute da Via, sua sorella, a quella gentilezza inaspettata che sa essere in alcuni casi una forma di riguardo, di pietà. Auggie è solo e a volte la sua meravigliosa ironia non basta, a lasciar scorrere tutto via. Alcune volte servono la bontà, quella genuina, e l'amore che prescinde la forma fisica, quegli amici veri che scelgono di stargli accanto perché comprendono quel che è, l'adorano proprio per quello.
Fa tenerezza, August, che aspetta Halloween per poter girare con una maschera ed essere uguale a tutti gli altri o che è felice perché può vestirsi da mummia e non essere se stesso per qualche ora. Commuovono i ricordi di quegli anni passati interamente con un casco in testa per poter celare il volto a occhi esterni. Fa riflettere, la forza di una madre e di un padre che hanno imparato a non farsi venire il sangue amaro per la cattiveria degli adulti, quell'insensibilità che spinge a tagliare dalle foto la faccia del loro bambino perché così sono più belle. Tocca il cuore il coraggio di Olivia, innamorata pazza del fratello, sua vera e propria paladina, che cerca il suo posto nel mondo, senza essere etichettata come "sorella di" ma semplicemente per quello che è. Dà speranza il preside Kiap per quel che sa donare ai suoi alunni e insegnanti semplicemente promuovendo la gentilezza, l'accettazione. Stringe il cuore l'affetto puro di Summer e Jack per Auggie. Irrita, invece, la meschinità di Julian e dei suoi giochi che mirano sempre al bambino-zombie, quello che se tocchi ti attacca la peste ed entro tre secondi, se non la cedi a qualcuno, ti uccide. Fa male, la meschinità di sua madre, capace di insegnare al figlio solamente che il più forte vince sempre, che ogni mezzo è giusto pur di riuscirci e che si può scacciare chi non vogliamo accanto senza nemmeno dargli una possibilità. Ma riempie di amore l'affetto che circola in ogni pagina, qualunque sia il narratore della storia. Perché, quel che ancora di più sorprende di questo romanzo è, infatti, l'esser scritto sotto ben otto punti di vista, distinti e dotati di piena personalità, uno sguardo in più su chi circonda quel bambino che amano o stanno imparando ad apprezzare. Auggie al centro dei loro pensieri per la maggiore, s'intuisce, ma anche spettacolari angolature che mostrano quanto non solo i bambini sappiano essere crudeli, ma anche gli adulti di fronte a una malattia che una disabilità intellettiva non è e che ha a che fare, principalmente, col nostro concetto di bellezza, con quel che riteniamo bello e su quanto siamo capaci di rifuggire qualcosa che scombussola le nostre concezioni. Ma, inoltre, anche spettatori privilegiati di vite rese ancora più straordinarie per l'aver accettato nelle proprie vite quel ragazzino che ride della sua faccia e sa far ridere gli altri spensieratamente ma che qualche fragilità, com'è inevitabile, ce l'ha e ha solo bisogno d'esser rassicurato, di sentirsi voluto.
Ha i tratti di una favola, Wonder, e qualcuno dice che non sia realistico. Certo, ha ragione, la gentilezza d'animo non è proprio di questo mondo talvolta e i diversi sono emarginati, quelli a cui nessuno vorrebbe sedersi accanto a mensa di sua spontanea iniziativa, figuriamoci vicino di banco per un anno intero e doverci collaborare. Ma, solo perché la storia di Auggie sembra surreale, non significa che sia meno incisiva e non sappia colpire il giusto bersaglio. Semmai l'opposto. Come quelle favole dai tratti fantastici e semplicistici sapevano e sanno ancora parlare al cuore d'ognuno, così fa il romanzo di Palacio: mostrando l'ordinarietà di una famiglia straordinaria, la cattiveria gratuita e i soprusi che paura, orrore e freddezza fanno nascere e, di contro, quel lato buono che talvolta emerge, nonostante tutto, e che in alcuni momenti meravigliosi vince. Auggie parla ai bambini della sua stessa età e mostra loro che la differenza non è un limite, che nella vita ci saranno sempre dei lati brutti che vorremmo non dover affrontare, e lo fa con la naturalezza che l'autrice ha saputo donargli. C'è una morale, sì, il preside Kiap ne è l'emblema, così come il professor Browne e i suoi precetti mensili, ed è espressa in ogni singola riga. Perché questo è un inno alla diversità e alla gentilezza, lo si percepisce nonostante il buio di alcuni momenti; è un inno alla positività, al sorriso, alla gioia e senza dubbio qualcosa che nella sua semplicità spinge a pensare, a ripensarci per giorni e giorni. Non vi scorderete di Auggie e della sua meravigliosa combriccola: ve l'ho detto, è una meraviglia.

"Dormi, tesoro... ti voglio tanto bene".
"Anche io ti voglio tanto bene, mamma".
"Buonanotte, tesoro" mi ha detto pianissimo.
"Mamma, Daisy è con la nonna adesso?"
"Credo di sì".
"Sono in paradiso?"
"Sì".
"Le persone hanno lo stesso aspetto, quando vanno in paradiso?"
"Non lo so. Non credo".
"Ma allora come fanno a riconoscersi?"
"Non lo so, tesoro" sembrava stanca. "Lo sentono e basta. Non si ha bisogno degli occhi per amare, giusto? Lo senti semplicemente dentro di te. E in paradiso è così che funziona. È soltanto amore, e nessuno dimentica le persone che ha amato".


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