Deliziosa la parte con cui spiega come sia incredibile per un orientale giustificare l'uso del colletto o delle costrizioni della cintura e del gilet. Sul lavoro poi è lapidario, bisogna lavorare il meno possibile e soprattutto mai vivere per lavorare. Qui prende una cantonata clamorosa, prevedendo che la scienza e la tecnica libereranno sempre di più l'uomo da questa maledizione, lasciandogli sempre maggiore tempo libero. Chissà cosa direbbe oggi, dovendo constatare che i giovani invece sono costretti a lavorare sempre di più, compensati sempre di meno. Tuttavia il suo elogio dell'ozio è davvero godibile, così come la descrizione del piacere di prendere il thé con gli amici, niente di più lontano dal formalismo della cerimonia giapponese. Diciamo che rimane un libro molto interessante, al punto che ho deciso di trattenerlo qui sulla scrivania per cavarne di tanto in tanto spunto per qualche post sulla filosofia orientale, che comunque conferma un assioma fondamentale, per fare i filosofi con profitto, sia che si sia nati in Oriente che a Roma o nell'antica Grecia, bisogna avere un buon numero di schiavi o servi, chiamateli come volete, che lavorino al posto vostro lasciandovi il tempo e il piacere di filosofare e al fine godervi la vita. Mi sembra comunque che sia giusto sottolineare che per Lin Yu Tang, convincente filosofo, anche se deludente invece come romanziere, come ho avuto modo di sottolineare, il senso della vita e quindi l'importanza di vivere stia tutto nella capacità di apprezzare la vita stessa in ogni suo aspetto e condizione, che è già un buon punto di partenza e su cui alla fine concordo.
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