Recensioni, presentazioni e ritratti d’autore – Ottobre 2012 (Carmelo Modica, Giuseppe Giulio, Lorenza Ghinelli, Giuseppe Iannozzi).

Creato il 13 ottobre 2012 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

__________________________________________________________________________________

Agli Organi di Stampa ed Emittenti televisive con preghiera di darne ampia diffusione =====================================================================

SABATO LETTERARIO

27 ottobre 2012, ore 17.30

Palazzo della Cultura, Corso Umberto I°, MODICA (Rg)

 

Presentazione del libro

“CUOPPULI E CAPPEDDA nella Modica del 1860”

di

Carmelo Modica

Interventi:

Giuseppe Nativo, giornalista pubblicista

Dott. Giuseppe Chiaula, magistrato Corte dei Conti a. r.

 

Sarà presente l’autore

Carmelo Modica

Letture

Saro Spadola, attore

 

Musiche

Duo Paganitango

M° Lino Gatto, chitarra

M° Daniele Ricca, violino

L’evento culturale è promosso da:

Caffè Letterario “S. Quasimodo” di Modica

in sinergia con

Ass. “Polis” Modica

Comune di Modica, Assessorato alla Cultura

BCC Credito Cooperativo Contea di Modica

Il Direttore artistico   Il Presidente

M° Lino Gatto   Prof. Domenico Pisana

Sono le primissime ore pomeridiane del 24 settembre 1860. Un anno cruciale per l’Unità d’Italia, ma un momento buio per la storia della città di Modica. Nove persone, appartenenti alla parte più umile del popolo modicano, nelle adiacenze del vecchio cimitero, sono fucilate, in esecuzione di sentenza capitale pronunciata (quarantadue ore prima) dalla locale Commissione speciale penale, organo giudiziario straordinario, istituito, nel giugno precedente, dal governo dittatoriale garibaldino, per giudicare dei “reati comuni dei semplici cittadini”. Gli stessi in concorso fra loro nella notte fra il 2 ed il 3 settembre 1860, avevano commesso una rapina, allora qualificata come “furto con scasso e violenza”, e sparato una fucilata, senza ferimento ai danni di una famiglia di quattro persone, in contrada Zappulla. Bottino magro. Pena massima. Tra i tanti perché emerge dirompente il fatto che i nove condannati non avevano le mani sporche di sangue. E allora perché tutto ciò? Se lo chiede a gran voce il libro, dal titolo emblematico che va al cuore della problematica affrontata, “Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860” (La Biblioteca di Babele, 2012, pp. 136) di Carmelo Modica.

L’autore, modicano doc, dopo un paziente e certosino lavoro di ricostruzione consegna ai lettori, con stile asciutto e ambizioso disincanto, uno studio politico-sociologico sull’eccidio di Modica e gli avvenimenti del 1860 volto a far luce sul comportamento di quel “potere malandrino”. Fatti che la voce popolare tramanda da non pochi decenni con il detto “aucisu comu ê novi” (ucciso come i nove) e che sono strettamente connessi con quanto accaduto durante la dittatura di Garibaldi in Sicilia e la “dittatura De Leva” a Modica (maggio-settembre 1860).

Una visione di insieme che incontra chi legge e viceversa e con a fianco il sempre presente rapporto tra “cuoppuli” e “cappedda”, estrema sintesi della storia dell’uomo.

Giuseppe Nativo

Giornalista publicista

_____________________________________________

Un ritratto di Giuseppe Giulio di Guido Mattioni. – Giuseppe Giulio – studente, poeta, scrittore, spesso un ruolo alla volta, ma più di frequente tutti e tre insieme- può vantare fortuna e talento.

La fortuna, indiscutibile, è quella di essere nato “senza meriti suoi”, ma esclusivamente dei suoi genitori, praticamente l’altroieri, nel 1988, il che spiega anche l’aggettivazione che è doveroso dare alla sua fregola giovanilistica di avere a che fare con (e sulla) carta stampata: una fregola irrefrenabile. E in un’Italia in cui i temi di discussione sembrano destinati a essere a tutte le età e in tutte le fasce sociali desolatamente sempre gli stessi – “hai visto che gnocca la Minetti?”; “per me il mister dovrebbe tornare al gioco a zona”; “sono stato in vacanza a Sharm”;oppure un altamente tecnologico “che figata il nuovo Iphone!” – questa fregola è una cosa che conforta. Specie chi, come chi scrive, è invece suo malgrado della classe ’52 e ha dedicato e continua a dedicare all’amore per le parole scritte tutta la propria vita.Il talento, considerata appunto l’età, Giuseppe lo sta invece dimostrando con ciò che sta facendo e con le soddisfazioni che sta raccogliendo in prosa e in versi, perdipiù anche in lingua inglese. Dalla vittoria al premio di scrittura Zanichelli (2007) con i versi di Another Dream, scritti insieme con Anna Mucerino, a una collaborazione con la britannica BBC per il progetto Nothern Star. E altro ancora, passando dalle collaborazioni giornalistiche alla partecipazione al Forum mondiale patrocinato dalla White House americana. Da Barack Obama, insomma.Del suo affollato “altro ancora” fa parte la recente ideazione dello spettacolo teatrale Brontë: i nostri più antichi segreti, un omaggio che Giuseppe ha voluto rendere al più straordinario terzetto di sorelle della letteratura britannica dell’epoca vittoriana, ovvero a quelle Charlotte, Emily e Anne Brontë che nella prima metà dell’Ottocento scrissero nello stesso anno – il 1847- un romanzo ciascuna (nell’ordine, rispettivamente, Jane Eyre, l’universalmente più noto e celebrato Cime tempestose e Il segreto della signora in nero). Consistendo appunto in questo, nella coincidenza creativa e temporale – al di là di quelli che furono e che possono essere oggi gli apprezzamenti del pubblico – la loro oggettiva straordinarietà.Lo spettacolo, progettato in collaborazione con la professoressa Tania Zulli (docente di Lingua, Cultura e istituzioni dei Paesi di lingua inglese, ateneo Roma 3), diretto da Paolo Mellucci, musicato da Francesco Paniccia e interpretato da Sarah Mataloni e Lavinia Lalle, andrà in scena  a Roma il 10 novembre prossimo  al Centro Giovanile Giovanni Paolo II, in Vicolo del Grottino 3b (tel. 0668301346, info@GPDUE.IT).Figlie di Patrick Prunty (o Brunty), un irlandese che sopra ogni cosa nutriva una sconfinata ammirazione per l’ammiraglio Horatio Nelson – ognuno deve pur avere uno scopo, nella vita! – le tre sorelle si erano ritrovate con un cognome nuovo, quello con il quale diventarono celebri, in seguito alla decisione paterna di nobilitare quello originario, di basso lignaggio. Così, prendendo spunto da uno dei tanti titoli vantati dal suo mito Nelson, ovvero quello di Duca di Bronte ottenuto dal re Ferdinando IV delle Due Sicilie, il reverendo Prunty “si” ribattezzò Brontë aggiungendo la dieresi sull’ultima “e” per renderlo meglio pronunciabile, senza storpiature, da parte dei suoi conterranei, intuibilmente poco avvezzi a quel nome di località così esoticamente e golosamente siciliano. Buffo: il “sacrario” del pistacchio scaraventato per umana vanità in ben’altra isola, proprio quella dove le golosità del palato sono più rare perfino delle giornate senza pioggia.Sforzo comunque inutile, quello del pastore Prunty, perché poi le tre sorelle, come nome de plume per il loro contemporaneo esordio letterario, si scelsero il cognome Bell diventando rispettivamente Currier Bell (Charlotte), Ellis Bell (Emily) e Acton Bell (Anne).Il lavoro teatrale ideato da Giuseppe Giulio non nasce tuttavia attorno alla produzione narrativa delle Brontë, come sarebbe stato prevedibile, ma ne porta in scena le opere meno note – i loro “più antichi segreti”, appunto – ovvero le poesie. Soprattutto quelle di Anne, la più piccola delle tre (e meno fortunata nella narrativa) che sarebbe morta per prima, a soli 29 anni, di tubercolosi, nel 1848, pochi mesi prima della secondogenita Emily. Charlotte, la più vecchia e “longeva”, sarebbe morta tempo dopo, trentanovenne.La scelta di Giuseppe Giulio e della professoressa Zulli di portare in scena proprio i poems delle tre sorelle e non dei passi tratti dai loro più scontati romanzi, è nata dalla considerazione che proprio quei versi rimasti per tanto tempo nel buio di un cassetto sono quelli che regalano più intimamente il sentire autentico di Charlotte, Emily e Anne, figlie di uno strano pastore irlandese che avrebbe voluto invece solcare gli oceani ed essere ammiraglio. Ne sono in altre parole il diario nascosto, la trasposizione creativa e per questo legittima del “si fa ma non si dice”, o forse anche soltanto del “si prova e si confessa”. Sfogo autentico, insomma, più che creazione narrativa, ma sfogo affidato alla discreta complicità di una pagina bianca. Insomma, chi siederà a teatro leggerà il chaier des rêves di tre ragazze come tante altre, vissute in un ben diverso luogo e in tutt’altra epoca, eppure anche loro con pulsioni e turbamenti universali che vivaddio non hanno mai avuto e non avranno mai confini geografici né tantomeno temporali. In quanto a stabilirne e a scandirne l’insorgere sono insieme l’età e – spesso – anche gli ormoni._____________________________________________di Gordiano Lupi

Lorenza Ghinelli

La colpa

Pagine 250 – Euro 9,90

Questa non è una recensione, perché su Lorenza Ghinelli sarei attendibile soltanto se scrivessi una stroncatura, e non è proprio il caso. Lorenza Ghinelli è uno dei prodotti più interessanti della scuderia del Foglio Letterario (www.ilfoglioletterario.it) che nel 1999 abbiamo messo su a Piombino, io e alcuni amici appassionati di letteratura. Non è la sola, certo. Sacha Naspini (adesso autore Elliott, Guanda…), Gianfranco Franchi (Castelvecchi), Claudio Volpe (presentato allo Strega, passato Anordest Edizioni), Marco Ballestracci (Instar), non sono da meno. Lorenza Ghinelli si era posta all’attenzione del grande pubblico con Il divoratore, caso letterario del 2011, una storia horror originale che in realtà (come Il nascondiglio di Avati ma anche diverse pellicole di Del Toro) celava riferimenti alla malattia mentale. Un agente letterario coraggioso e intraprendente come Martin Eden l’ha portata alla ribalta della grande editoria, facendole ristampare il romanzo pubblicato dal Foglio Letterario, senza interventi magici da editor, pure se vi diranno il contrario, posso dimostrarlo perché ho ancora una cassa di copie invendute in magazzino. Adesso ha pubblicato La colpa e si è trovata in finale al Premio Strega, concorrendo  niente meno che con Piperno e Carofiglio, ma anche con Trevi e Fois. Diciamoci la verità, il libro più bello era Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi, invece, come spesso accade, ha vinto il peggiore, non mi ricordo neppure il titolo (e non me lo voglio ricordare), una cosa illeggibile scritta da Piperno. Ecco, il miglior pregio de La colpa, invece, è proprio la leggibilità, uno stile secco, rapido, asciutto, senza tanti fronzoli letterari, tipico di un best-seller nordamericano. La colpa è un romanzo che si legge in due pomeriggi sotto l’ombrellone, che descrive molto bene i caratteri dei personaggi – tanto per cambiare bambini, la specialità di Lorenza – e conduce a un finale inaspettato nel quale si scopre l’origine della colpa. Estefan è convinto di aver ucciso il fratellino, Martino custodisce un terribile segreto, Greta convive con il senso di colpa di aver ucciso la madre, morta dopo averla messa al mondo. La colpa è un thriller alla Stephen King, ma anche alla Niccolò Ammaniti, ricco di introspezione psicologica, scritto in modo mai lineare, per flashback, facendo ricorso ai ricordi e mandando avanti l’azione per mezzo di un dialogo serrato. Il divoratore – che vi consiglio di leggere – possedeva una maggiore originalità e una spontaneità superiore. La colpa è un thriller più costruito, scritto per andare incontro ai gusti del lettore di best-seller, senza alcuna volontà di stupire, soprattutto meno ispirato. Opinione personale, comunque. Lorenza Ghinelli resta una nostra scoperta, un vanto del Foglio Letterario, che nessun editore che omette di citarci all’interno del volume ci potrà mai togliere. Noi rendiamo pan per focaccia perché non citiamo lui, convinti come siamo che al pubblico dell’editore non gliene possa importare di meno.

 

Beppe Iannozzi

Angeli caduti

Cicorivolta Edizioni

Pag. 230 – Euro 13,00

Giuseppe Iannozzi, detto Beppe, è un agitatore culturale niente male, recensore sincero e letterato naïf, come piacciono a me, perché le persone simili sono destinate a incontrarsi nel mare magnum della nostra narrativa contemporanea. Pure a lui sta sullo stomaco (usiamo un francesismo) Piperno, ma anche un sacco d’altra gente che ci spacciano per letteratura e invece è spazzatura. Il suffisso è identico, ma non è proprio la stessa cosa. Iannozzi nasce nel 1972, non è dato sapere dove, ma ci tiene a definirsi torinese d’adozione, anche perché molti suoi racconti sono ambientati tra periferia e strade della prima capitale d’Italia. Molto attivo in rete, basta digitare iannozzigiuseppe.wordpress.com per collegarsi alla sua pagina personale e iannozzigiuseppe.blogspot.com per sapere quali sono i suoi gusti letterari, ma anche biogiannozzi.splinder.com per scoprire il suo lato lirico e sentimentale.

Angeli caduti è la sua seconda pubblicazione ufficiale dopoil romanzo Amanti nel buio di una stanza, uscito con un editore che ometto di ricordare, mentre il nuovo lavoro esce per l’intraprendente casa toscana Cicorivolta che ci ha abituati a scoperte interessanti. Simone Manservisi per tutti, visto che ho pubblicato con Il Foglio Letterario i recenti Il fardello e Mondemer. Angeli caduti è una raccolta di racconti, una di quelle cose che gli editori importanti fuggono come la peste, a meno che non ti chiami Giulio Mozzi, ma se non sei famoso col piffero che te la pubblicano. Iannozzi raccoglie spunti narrativi brevissimi di vario taglio, si va dal poetico e originale Amen (dove lo stile è tutto), ai brevi e romantici Amore ostinato e Come in un film, passando per i grotteschi e violenti Due ragazzi, Vendetta senza futuro, Kurt, soffermandoci su storie di impronta politico – esistenziale come Nato fascista. Iannozzi cita De Andrè(La morte di Bocca di Rosa, Nato fascista), Guccini(“dove vanno le ragazze della notte…”), Hemingway, Rimbaud, Pasolini, Pavese (La morte con i tuoi occhi), Burroughs (La ragazza del poeta), Ruggero Guarini e persino la Genesi. Alcuni racconti sono irrisolti, sembrano abbozzi, pensieri, tracce letterarie per un romanzo da scrivere, pagine incompiute destinate a fermare un’emozione. In altri casi ci troviamo di fronte a vere perle letterarie, vergate con stile che passa dal poetico al crudo, mettendo in mostra una filosofia esistenziale e un laicismo che non è mai ateismo, ma è basato su una religiosità ancestrale. La morte con i tuoi occhi è il racconto che preferisco di questa raccolta che presenta alti e bassi, ma dal livello medio decisamente buono, forse perché legato alla scrittura di Pavese e ambientato in una Torino notturna e postribolare. L’amicizia tra due persone diverse ma complementari, un uomo che ha letto la vita sui libri e l’altro che ha imparato a vivere lungo le strade di Torino, che “si fondono in una ragnatela di umane contraddizioni”. Beppe Iannozzi è uno scrittore che ha un sacco di cose da dire. Cicorivolota è un editore che scopre talenti. Erano destinati a incontrarsi.

Feature image copertina, fonte Giuseppe Nativo.