Essendo un lunedì, so già che il giorno successivo mi toccherà lavorare da casa in quanto, come succede solitamente durante eventi di questo tipo, mi ridurrò in condizioni pietose. Onestamente sono uno di quelli che apprezza la band di Portland ma condivide il giudizio di chi la ritiene non troppo originale (tralasciando il fatto che un numero cospicuo di riff metal degli ultimi trenta anni e passa anni, se rallentati a dovere, sembrerebbero già usciti dalle corde di Tony Iommi) e soprattutto con qualche limite in fase di songwriting. Murder the Mountains fu comunque un disco cazzuto e Whales and Leeches, secondo il mio personale parere, era tranquillamente a quel livello, se non addirittura più convincente in alcuni episodi. Entrambi fecero meglio del debutto, che presentava al mondo della musica sballona una band dal grosso potenziale e con alcuni riff azzeccatissimi, come ovviamente la mostruosa Prehistoric Dog, e altri pezzi che onestamente potevano essere dei fillerini messi la’ “giusto per”. Carini, sì, ma non certo sconvolgenti. Se vogliamo fare dei paragoni, trovo che gli ultimi lavori dei Karma to Burn, riformatisi cinque anni fa, siano superiori in tutto e per tutto e che anche dal vivo la carica dei K2B sia altra cosa.
Ma torniamo alla serata di oggi. Non fraintendetemi, sarò più che contento di gettarmi nella mischia con gli energumeni barbuti che sono accorsi stasera, e la pesantezza dei suoni è roba da impresa di demolizioni. È doveroso citare prima la vera sorpresa della serata. Tali Turbowolf di Bristol, che non avevo mai sentito prima. Guidati da un frontman davvero istrionico e che assomiglia in maniera impressionante a Max Gazzè, tale Chris Georgiadis, i Turbowolf sono fautori di un genere davvero arduo da definire e che ancora una volta mette a nudo la cosiddetta “sindrome del metallaro”, ovvero il dover catalogare e dare un etichetta a tutto. Lo so che alcuni di voi diranno che il metallo è il metallo e vaffanculo, però guardate dentro di voi e provate a negare il fatto che quando sentite un suono nuovo non provate mai ad accostarlo ad un nome o ad una scena. Esempio: scommetto che alcuni di voi maniaci avrà, sul PC, la musica suddivisa in cartelle dove i generi non sono catalogati solo a seconda delle ovvie differenze (Aor non puo’ essere thrash, chiaramente), ma anche delle minime differenziazioni all’interno dello stesso filone o dalla provenienza (penso ad esempio alla Bay Area o alla Teteschia).
Ad ogni modo, la band sta promuovendo il secondo album, Two Hands, che la finlandese Spinefarm ha pubblicato proprio quest’anno. Io l’ho sentito dopo averli visti dal vivo ed è fico. Ci sono ottimi spunti e dal vivo suona davvero travolgente. Ovviamente ci sono margini di miglioramento. Ed è proprio quello che sono andato a dire a Chris, quando dopo aver fatto tappa al cesso per pisciare la dodicesima birra durante lo show dei Red Fang lo becco al banchetto del merchandising mentre si fa fare foto con non poche persone, tutte accorse per l’occasione dopo aver riconosciuto alla sua band, e soprattutto a lui, un certo talento. Mi avvicino, quindi, e tagliando corto gli faccio i complimenti per l’esibizione e gli dico: “In cinque anni, avrete piu’ successo di loro”, indicando i Red Fang sul palco. Fidatevi, sentirete parlare ancora dei Turbowolf.
I Red Fang, però, sono ancora la “main attraction”, oggi come oggi. E infatti sfoderano il loro suono ruvido e roccioso pescando da tutte e tre le loro fatiche discografiche. Con particolare enfasi eseguono i loro cavalli di battaglia: Malverde, Wires, Prehistoric Dog, Doen, Hank is Dead e infine quello che secondo me e’ il loro pezzo migliore, quella Throw Up che davvero fa sfoggio di un riffone che trascina la gente sotto il palco a saltare e a spingersi.
Bella serata senz’altro, come spesso capita quando i promoter locali della Knockout Production organizzano. Alla prossima, dunque. E come sempre: napierdalać!