Reduci dall’Apocalisse

Creato il 12 maggio 2015 da Mcnab75

Uno dei miei film preferiti, in tema di pandemie, apocalissi e zombie vari ed eventuali, è 28 settimane dopo.
Parliamo del sequel del più noto 28 giorni dopo, un successo globale che ha in qualche modo dettato nuove regole e nuovi cliché di questo filone del cinema horror.
Come è intuibile, i due film sono conseguenziali. Nel primo vediamo le isole britanniche devastate dal diffondersi di un pericolosissimo virus, una versione modificata della Rabbia, che trasforma i contagiati in bestie ferocissime e spietate.
In 28 settimane dopo (2007, regia di Juan Carlos Fresnadillo), scopriamo che la maggior parte degli infetti è morta di fame e di stenti (del resto non parliamo di zombie, che al contrario non patiscono deperimenti di questo tipo). Ciò ha permesso a una missione NATO di recuperare parte dei territori devastati dalla pandemia. Anche Londra è tornata parzialmente abitabile, anche se sotto strettissima sorveglianza militare.

Studi di settore hanno più volte discusso l’improbabilità che un’eventuale “zombie apocalypse” possa davvero portare al collasso totale della civiltà.
Certo, a livello narrativo è bello farla così semplice, ma dal punto di vista scientifico/sociale è difficile che gli zombie (o gli infetti etc etc) possano prendere possesso del pianeta, avendo la meglio sulle forze armate, sulle autorità e perfino su gruppi di civili ben organizzati.

Il morso – fattore di contagio caratterizzante di questo genere di minacce – è in realtà un sistema fallace di diffusione di un virus “zombizzante”. Ben diverso sarebbe un’epidemia per via aerea, sul tipo di una normale influenza, ma nella maggior parte dei casi i registi e i romanzieri preferiscono adottare il cliché del morso.
In tal modo l’espansione degli zombie sarebbe lenta e in qualche modo controllabile.
Nel caso di infetti vivi, e non di morti viventi, abbiamo già detto di come la fame, gli stenti e l’isolamento porterebbero a una rapida estinzione della minaccia. Il virus rimarrebbe latente nei cadaveri, come succede in 28 settimane dopo, ma la questione sarebbe gestibile.
Nel caso di zombie servirebbe un impatto più deciso e violento, ma comunque si potrebbe arginare al fenomeno senza ricorrere a metodi drastici quali sono per esempio le armi atomiche.

Questo aspetto delle varie storie di zombie e di apocalisse mi ha sempre intrigato (non a caso reputo World War Z il miglior libro di questo filone, con buona pace di robe innocue e un po’ scontate come la saga di Loureiro).
Ritengo che ogni sforzo compiuto nel razionalizzare le storie di zombie, rendendole verosimili dal punto di vista “strategico”, sia un bonus assoluto sia in qualità di lettore che di scrittore, o regista.
Perché sarà anche bello il fascino della fine del mondo, sarà filosoficamente “elevata” la solita menata dei sopravvissuti come metafora delle brutture della civiltà contemporanea, ma alla fine risulta tutto molto posticcio, se non c’è dietro un lavoro per affinare o per migliorare il genere.

Del resto è oramai noto che molti governi hanno finanziato delle simulazioni per prevenire un’eventuale apocalisse non dissimile da quella mostrata nei film di Romero e nipotini adottivi vari ed eventuali.
Il Pentagono per esempio ha CONOP 8888 – Counter Zombie Dominance. Uno scenario ipotetico per contenere minacce di questo tipo, sia sul suolo americano che in ambito globale. Sarà anche poco più che un divertissement per istruire le reclute e per tenere svegli gli analisti militari, però intanto c’è.
Quindi perché un autore non dovrebbe considerare una possibile, concreta e vincente risposta del genere umano a una minaccia “simil-zombie”? Forse è più facile partire dal solito presupposto alla Walking Dead: tutto è tracollato nel giro di poche settimane e buona notte al secchio. Da lì si parte col solito canovaccio narrativo.

Io in Zona Z ho invece fatto il medesimo percorso di Fresnadillo in 28 settimane dopo. La “mia” apocalisse zombie è stata contenuta nell’area del Mediterraneo, dove ha inizialmente colpito.
Chiudendo le frontiere con metodi decisi e bloccando gli spostamenti di massa verso l’esterno dell’area in quarantena, le autorità (NATO, UE, Russia e altre) hanno impedito la pandemia globale.
Come avrete modo di leggere nel romanzo, dopo molti mesi da tale contenimento, gli eserciti del Patto Atlantico hanno perfino recuperato alcuni agglomerati urbani nel cuore delle wasteland zombizzate. Così ora esistono delle zone bonificate e militarizzate, come per esempio alcune aree di Milano, riconquistata quartiere dopo quartiere e tornate a essere abitabili, anche se sono ancora circondate da periferie classificate come “zone rosse”.
Ok, questa idea l’ho presa a prestito proprio dal film di Fresnadillo, ma non per mera voglia di omaggiare il film, bensì perché mi sembra la trovata più logica e valida.

Tra l’altro non stiamo parlando della necessità di imporre un finale ottimista.
Partendo da uno scenario come il mio è pur sempre possibile inventarsi sviluppi ed evoluzioni di questa “apocalisse contenuta”.
Scenari che magari sono altrettanto spaventosi rispetto ai soliti cliché dei sopravvissuti che vagabondano in un mondo in cui, un po’ misteriosamente, dei morti armati di denti e unghie hanno avuto la meglio su carri armati e missili balistici…

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