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&appId;&version; Tweet“We were hoping that we could be the final nail in the coffin of the rotten cadaver that was popular music..
We therefore demand that every newspaper burn all their photos of Refused”
(da REFUSED ARE FUCKING DEAD, manifesto e ultimo comunicato stampa annunciante la separazione definitiva e irrevocabile della band, 1998).
C’era un tempo, circa vent’anni fa, in cui ogni nuova band hardcore o post-punk degna di ascolto sembrava venire dalla fredda Svezia. In quel tempo, c’era una band, direttamente da Umea, piccola cittadina universitari in mezzo alla penisola scandinava che personalmente ho sentito nominare in altri contesti solo perché il mio amico Lupo ha laggiù frequentato svariati pub e un master in Lupologia, che aveva l’ambizione di ridefinire il suono punk del futuro .
The Shape of Punk to Come, capolavoro del 1998 ad opera dei Refused mischia testi politici al limite dell’anarchismo rivoluzionario, cantati dalla voce roca e aggressiva di Dennis Lyxzen, sezione ritmica post-core ereditata dai migliori Helmet, chitarre affilate e pungenti eppure variabili di umore, flirts con l’elettronica ben in anticipo sui tempi e le mode.
Come troppo spesso succede nella storia del rock piu inquieto, all’apice del proprio percorso musicale e immediatamente dopo l’uscita dell’album, i Refused si sciolsero, per “insostenibili divergenze musicali e politiche”, lasciando il loro suono, ormai orfano di genitori, fecondare le orecchie altrui e vivere di vita propria, crescendo esponenzialmente nella considerazione del pubblico più attento e alimentando un’aura di gruppo mitico e rimpianto, al pari di At the Drive In, Mineral, Snapcase…
I Refused salutarono col botto (vedi comunicato stampa citato precedentemente) e si sparpagliarono in ordine sparso, per alimentare, con le loro idee e attitudine, differenti nuove storie e suoni (The (International) Noise Conspiracy, The Bloody Beetroots, AC4…)
E poi, la storia andò avanti, il mondo musicale (e non) continuò a evolvere, le facce invecchiarono, i capelli si fecero più radi, le mode cambiarono, le idee probabilmente anche, perché i Refused decisero a sorpresa di riformarsi. Inizialmente per una sporadica tournée nel 2012 e poi con nuove ambizioni nel 2014, al netto di un chitarrista (abbandonato sul percorso di rifondazione) ma con un nuovo album di studio fresco di stampa (Freedom, uscito a giugno per Epitaph)
E quindi, dopo questa lunga divagazione introduttiva, Parigi, in una sera autunnale come tante altre dell’anno di grazia 2015, mi ritrovo al concerto dei REFUSED, 15 anni più vecchio del giorno in cui schiacciai per la prima volta il tasto Play e scoprii brani come Liberation Frequency, New Noise, The Shape of Punk to Come, Summerholidays vs. PunkRoutine, che diventarono colonne sonore imprescindibili della mia adoloscenza musicale.
Incuriosito dal fatto di riscoprire la nuova/vecchia band , quasi come davanti alla riscoperta di vecchi amici dopo una lunga assenza e dopo aver fantasticato su tempi passati, il primo impatto è abbastanza destabilizzante.
I Refused lanciano il concerto sulle note di Elektra, pezzo d’introduzione anche del loro nuovo album, il cui ritornello ripete in maniera ossessiva “Nothing has changed”. Beh. Cari Refused. Mi guardo intorno. Posso dire tante cose. Sul pubblico parigino. La mia vita. La dimensione dei miei jeans. La situazione geopolitica mondiale. Le vostre facce. Le nostre idee. Le nostre paure e il nostro entusiasmo. La musica. La politica. Il trasporto aereo e la comunicazione. Possiamo parlare tutta la notte. Di quello che volete. Ma non si può dire che nulla è cambiato.
Tra l’altro solo qualche settimana è passata e questo è mio il primo concerto da quella notte feroce e infernale del 13 novembre, dalla tragedia senza senso del Bataclan durante il live dei Eagles Of Death Metal, violenza barbarica e cieca che ha violentato una città e un’intera generazione, lasciando una cicatrice di dolore, tristezza, incomprensione e lutto che non potrà mai essere completamente cancellata.
Dopo questo primo momento di diffidenza (reciproca?), i Refused iniziano ad ingranare, i volumi si alzano, mi avvicino al palco, una serie di bombe senza tempo escono dalle mani, voci e strumenti dei 5 svedesi.
Anche il cantante ha qualche parola da dire sul Bataclan e il ruolo della musica, isola felice a cui mai potremmo e dovremo rinunciare, e anche sulla loro reunion, inizialmente così orgogliosamente negata e poi reale, fiera, vera.
I pezzi nuovi mancano forse ancora un po’ di mordente o di abitudine, la band e il pubblico sembrano entrambi più a loro agio con le vecchie pepite. In effetti il disco nuovo riprende suoni e attitudine storica della band, con un inserto elettronico a tratti ancora più marcato e rallentando leggermente i ritmi, eppure, forse anche a causa della perdita del chitarrista originale, Jon Brännström, le chitarre sembrano mancare un po’ di mordente e in generale il disco soffre inevitabilmente della mancanza di freschezza e urgenza che aveva segnato la loro musica negli anni ’90. Françafrique resta la sintesi migliore e a mio avviso più riuscita della sintesi tra i nuovi e vecchi Refused.
Nonostante tutto però l’energia e il fuoco musicale sono ancora vivi, bruciano dentro alla band e le fiamme si riflettono nel pubblico.
Con il mio smartphone di ultima generazione mando in tempo reale, tramite una modernissima applicazione di messaggeria istantanea, una foto del concerto ai miei vecchi amici Lillo e Deca, che sorpresi mi chiedono : «Ma che fai li nell’angolo ?? Non poghi ?». E io : «Non poga più nessuno, i tempi sono cambiati». Non faccio in tempo a digitare le ultime lettere che New Noise comincia e il parterre del Trianon si trasforma in una bolgia di corpi sudati, pogo e stage diving che sembra di essere ai tempi d’oro di un concerto degli Agnostic Front.
Forse, in fondo, hanno ancora ragione loro…in un certo senso Nothing has changed
E ad ogni modo, anche in un mondo che a volte può sembrare cosi brutto (“In such an ugly world the real protest is beauty”, frase stampata sul retro del disco The Shape of Punk to Come) l’unica cosa che possiamo fare è essere vivi (Rather be Alive, dalla canzone Rather be Dead)
LINE-UP
Dennis Lyxzén — lead vocals
David Sandström — drums
Kristofer Steen — guitars
Magnus Flagg – bass Mattias Bärjed- guitars (touring)