Reggae National Tickets Part 2: Scribacchina intervista Stena

Creato il 29 agosto 2012 da Scribacchina

Dopo avervi presentato alla mia maniera i Reggae National Tickets, soliti lettori, quest’oggi vi propongo l’intervista che feci a Stena nel lontano luglio ’98, in occasione dell’uscita dell’album Lascia Un Po’ Di Te (BMG records).
Colgo l’occasione per propinarvi pure articoletto e chiosa che corredavan quel
l’intervista, firmati – ça va sans dire – dalla Scribacchina seria dell’epoca.

Per oggi, dunque, mi fermo qui col prologo alternativo.
Meglio non esagerare colle parole.

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Luglio 1998

Reggae National Tickets: tre parole inglesi sotto le quali si celano sette giovani musicisti della Bassa bergamasca innamorati del reggae. La loro storia nasce nel 1993, quando due ragazzi - Alberto ‘Stena’ D’Ascola e Fabio ‘Fabietto’ Merigo (allora 18 e 17 anni) – decidono di formare un gruppo reggae.

«Eravamo ancora in età innocente, non avevamo nemmeno il nome del gruppo ‑ ricorda Stena, oggi 22 anni ‑. Poi, complice la partecipazione ad un concorso, pensammo ad un nome; ma in maniera molto spontanea. Ci capitò sotto gli occhi la scritta di un negozio, ‘Ticket’; da lì a chiamarci ‘Reggae National Tickets’ (i ‘biglietti nazionali per il reggae’) il passo è stato breve. Oggi posso dire con sicurezza che abbiamo fatto parecchia strada; siamo molto lontani dalla prima idea di Reggae National Tickets, un nome di cinque anni fa che con la realtà di adesso ha poco a che spartire».

La vita pubblica dei RNT inizia nell’ottobre del 1994 con l’incisione del demotape Metropoli Selvaggia e la partecipazione ad Arezzo Wave.

La sonorità tipica RNT si va delinando col passare del tempo, si evolve in maniera naturale e molto rapida, quasi a porsi come emblema di una continua ricerca. Lasciate da parte le chitarre in levare dal sapore squisitamente reggae, i Reggae National Tickets si appropriano di sonorità eleganti, ipnotizzanti, semplicemente affascinanti: il trip‑hop, il drum ‘n bass e il dub conquistano questi sette ragazzi, portandoli a livelli esecutivi e interpretativi molto elevati.

Stanno riscuotendo un successo sempre crescente, i Reggae National Tickets; eppure sono rimasti «semplici ragazzi dei dintorni, provinciali e felici di esserlo», come dice lo stesso Stena. Ragazzi che vogliono far sentire la propria musica, che vogliono vivere per rappresentarla di fronte alla gente.
Le loro caratteristiche sono una compattezza ed una disinvoltura tecnica notevoli, acquisite dopo una gavetta di cinque anni sui palchi di tutta Italia.

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‑ Alberto, quando vi siete formati, nel ’93, avevate progetti particolari per il vostro futuro di musicisti?
«… Qualcosa come diventare ricchi e famosi? No, assolutamente: non è questo ciò che volevamo e che vogliamo; il nostro unico obiettivo è mostrare al mondo quello che sappiamo fare, la nostra ‘cosa’, il nostro mondo. Anche perché tra il pubblico trovi molta gente che non ti vuole bene; sì, ci sono anche le ragazzine urlanti, ma c’è anche chi con un paio di parole può darti vere e proprie coltellate. E più il tuo nome cresce, maggiore è il numero di queste persone. E’ terribile constatare quanta gente cattiva ci sia nel mondo; ed è paradossale, perché noi non siamo in lotta con nessuno, fondamentalmente vogliamo bene a tutti».

‑ Parliamo di Lascia Un Po’ Di Te, il vostro ultimo album.
«Noi abbiamo sempre suonato un reggae ibrido, una via di mezzo tra reggae e blues, passando attraverso le esperienze inglesi ed americane; abbiamo cercato di creare un suono veramente nostro. Ma è soltanto con Lascia Un Po’ Di Te che siamo riusciti ad ottenere quel sound particolare. Forse abbiamo calcato un po’ troppo la mano, portando agli estremi il reggae, il dub e il soul; ma è questo il nostro modo di trasmettere l’essenza stessa del reggae: in maniera velata, quasi come fosse un profumo, un alone, una vibrazione; come se fosse una cosa così naturale, così familiare che basta un accenno per assorbirlo e capirlo».

‑ Ma allora, cos’è la musica per voi?
«Qui parlo per me soltanto: sono il portavoce dei Tickets, ma ognuno all’interno del gruppo ha proprie idee, proprie convinzioni. Credo che la musica sia come la vita: un cerchio. Se oggi fai qualcosa di innovativo, la gente non lo capisce, ti guarda con diffidenza; e magari, dopo una decina d’anni, capisce quello che volevi dire, pensa “beh, aveva ragione, in fondo” e si mette a fare le stesse cose che facevi tu dieci anni prima. E’ sempre stato così: mi vengono in mente le ondate di ‘moda reggae’ che vanno e vengono col passare degli anni. E se una cosa va di moda, allora è ammessa; se è fuori dal comune, invece… Ci consideriamo innovatori, un po’ come gli Africa Unite: formazioni come i Pitura Freska, invece, si limitano a fare il solito reggae, senza metterci niente di nuovo. Innovare per noi significa contribuire a far crescere la nostra musica, e con essa la musica in generale».

‑ In situazione di relax, quando non lavori, che musica ascolti?
«A parte il reggae, che è la mia vita, ascolto qualsiasi cosa, non ho pregiudizi o barriere verso determinati generi. Adoro la black music, Stevie Wonder in particolare; ma credo che il rhythm ‘n blues, ultimamente, sia diventato troppo… come dire?… patinato: troppa immagine e poca anima».

‑ Quanti concerti fate all’anno?
«Generalmente suoniamo per sei mesi all’anno, alternando periodi di attività a periodi di riposo; il numero dei concerti si aggira sulla settantina. Fortunatamente abbiamo la possibilità di scegliere dove suonare, e quindi la qualità del posto e dell’impianto sonoro sono assicurate. Resta comunque il fatto che questo è un brutto anno per la musica: si vendono pochi cd e la gente è poco interessata; nonostante questo, stanno nascendo dappertutto formazioni sulla scia del trip‑hop e dei nuovi suoni. Questo, se da un lato è positivo perché esprime la voglia di comunicare, dall’altro lato è negativo per chi come noi esiste da più tempo e deve lottare maggiormente per far sentire la propria voce. E’ il caso del video che accompagna il nostro singolo Ti Sento: visto da solo comunica un determinato messaggio, ma inserito all’interno di una programmazione di video dell’ultim’ora passa quasi inosservato. Puoi dire: “Sì, bellino”, ma poi finisci inevitabilmente per farti catturare dal video che segue e perdi l’intero significato del nostro messaggio. E’ un vero peccato».

‑ Ho sentito che avete vinto un concorso per gruppi reggae…
«Sì: il Rototom Sunsplash, un concorso a livello nazionale. Il premio consiste nella possibilità di andare in Giamaica al Reggae Sunsplash Festival e di esibirci. Ufficialmente saremo gli ambasciatori del reggae italiano, ma in sostanza rappresenteremo soltanto la nostra musica; questa decisione non è originata da egocentrismo o da manie di grandezza: siamo realisti quando affermiamo che è impossibile per un solo gruppo rappresentare l’intera nazione. Sarà comunque una bellissima occasione per conoscere la cultura che amiamo e che non conosciamo ancora a fondo».

‑ Progetti per il futuro?
«Per ora abbiamo già pronti otto brani per il prossimo album, che avrà un sapore più reggae rispetto a Lascia Un Po’ Di Te».

‑ Quali consigli daresti ad un ragazzo che vuole fare della musica la propria professione?
«La cosa fondamentale è aprirsi a 360 gradi; soltanto così la musica può diventare qualcosa di nuovo, di vero. Ecco, avere un atteggiamento open minded. Sai, la musica non è come un lavoro: ti alzi, vai in ufficio, torni a casa, vai a letto e separi i pensieri che hai sul lavoro da quelli che hai in casa o al bar. La musica è una cosa totalizzante, non riesci più a distinguere cosa fai per vivere e cosa fai per divertirti; perlomeno, questo è quello che succede a me. La musica bisogna viverla, dimenticando la favola del cantante apprezzato: spesso arrivano critiche pesanti, magari proprio perché stai cercando di seguire la tua strada. E’ per questo che consiglio di andare avanti a testa bassa e di non guardare in faccia a nessuno: non c’è un altro modo per riuscire a realizzare le proprie idee».

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Lascia Un Po’ Di Te è il disco adulto e maturo di un gruppo adulto e maturo. Cresciuto in fretta, raro caso di metabolismo accelerato che tuttavia non porterà a disfunzioni, anche perché l’équipe che lo controlla è di prim’ordine: Madasky degli Africa Unite (al mix per la terza volta, già in Squali e Un Affare Difficile), Carlo Rossi (produttore artistico) e 99 Posse - con Claudio Ongaro - alla produzione esecutiva. Doveroso infine citare la presenza di Dre Love (già in Black Athena degli Almamegretta) nella title-track Lascia Un Po’ Di Te e di Bunny Selassie in Feel The Vibes.


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