Registro elettronico: quando la privacy smette di essere un diritto

Creato il 07 novembre 2013 da Vforfrancesco

A  partire dal corrente anno scolastico, ma già da qualche anno, più scuole si servono del registro elettronico, una piattaforma che consente, tramite il possesso di un user id e di una password, di accedere alle informazioni di ogni singolo alunno. Solitamente agli alunni vengono fornite delle credenziali diverse che permettono di accedere solo all’area pubblica, di poter visualizzare, cioè, l’argomento delle lezioni e i compiti assegnati. Oggi abbiamo effettuato l’accesso con le credenziali che, invece, sono date ai genitori. È chiaro che solo il loro occhio può avere tutto sotto controllo. Solo il genitore può scoprire, senza troppe difficoltà, le assenze, i ritardi, le eventuali note disciplinari del proprio figlio e intrattenere, così, un rapporto intimo e quasi segreto con i professori, un rapporto sull’alunno in cui il soggetto interessato può essere, anzi è preferibile che sia, assente.

Certo il registro elettronico apporta dei vantaggi, quali il poter leggere sempre, senza eventuali problemi di trascrizione, l’assegno, l’essere aggiornati sull’argomento trattato in classe così da agevolare chi era assente, ma la sua applicazione sistematica nelle scuole denuncia una situazione sociale e generazionale agghiacciante. La spaccatura tra genitori/insegnanti e figli/alunni, ormai, è irreversibile. E la colpa non sembra essere tanto dei secondi.

Il sistema ha deciso che gli adulti non devono più prestar fiducia ai ragazzi.

Si parte dal presupposto che è più probabile che mentano piuttosto che siano sinceri. Si avverte come necessario mettere in pratica un controllo asfissiante su adolescenti che, nella maggior parte dei casi, non si sono macchiati di alcun crimine che superi l’aver rubato una caramella dal tabacchino. Si parte dal presupposto che i ragazzi d’oggi siano in preda alla perdizione e che, dunque, sia necessario conoscere ogni dettaglio più intimo della loro vita da quattordicenni.

I “grandi”, però, dimenticano che esiste un mezzo molto più efficace, molto più educativo, molto più umano dell’utilizzo dei servizi segreti: il dialogo. Ma perché “perder tempo” a parlare col proprio figlio o col proprio alunno in una società dove il tempo è denaro, dove si è occupati in faccende di “primaria” importanza, come se l’educazione emotiva, come la chiama il filosofo Galimberti, fosse un elemento accessorio. Come sperare che i ragazzi crescano, maturino e si assumano le proprie responsabilità se alla comprensione abbiamo preferito il controllo ossessivo?

In questo modo non si ottiene alcun risultato se non l’ulteriore demolizione della loro coscienza individuale e l’aborto della loro identità nascente. Oltre che della privacy i nostri ragazzi vengono privati del diritto di gestire la propria vita, di avere al libertà di scegliere quando dire “mamma oggi ho avuto un cattivo voto”, notizia che deve essere metabolizzata in primis dal ragazzo. Si ha fretta oggi. Si ha fretta di sapere tutto e subito. Così si può correre prima ai ripari. Ma quando il presupposto è la causa del problema, non c’è riparo che regga.

Giusy Iervolino