Le regole dovrebbero rendere tutto più semplice. Le regole indicano come agire e permettono di contenere i danni. Applicando le regole, si ottiene un elevato margine di prevedibilità sull’esito delle proprie azioni. Ovvero, se nella situazione di tipo A mi comporto secondo la regola X allora molto probabilmente otterrò un risultato K.
Tuttavia, la vita è come il trading e per quanto si possa essere bravi nell’analisi tecnica e conoscere le dinamiche del mercato e avere esperienza e applicare tutti gli stop loss possibili, ecco, per quanto si possa essere virtuosi e consapevoli e abili nel fare, non si può avere certezza riguardo all’esito della propria scommessa. C’è sempre un fattore di rischio. Nella finanza così come nella vita, il susseguirsi degli eventi porta talvolta esiti imprevedibili, il risultato di un’azione può essere frutto di un divertissement del caso, l’asimmetria informativa può fare danni inimmaginabili.
Ecco, anche il mio microcosmo di regole è preda di questo rischio. C’è una variabile che occasionalmente scombina i miei piani e delude le mie aspettative, anche quando ho applicato metodicamente le mie regole.
E, per questo, le regole hanno un dritto e un rovescio. Le regole portano a rinunciare a qualcosa o a comportarsi in un certo modo e quel modo di agire dovrebbe favorire la possibilità di essere felice, di essere amata, di soffrire di meno. Ma le relazioni tra le persone sono ancora più imprevedibili dell’andamento di un titolo: non c’è algoritmo o banda di Bollinger che garantisca il successo.
E allora, ci si domanda: se il rischio c’è e se è davvero inevitabile soffrire (che sia impossibile congelarsi l’anima?), allora perché astenersi dal giocare fino in fondo? Perché uscire dalla battaglia (i rapporti d’amore non sono altro che un conflitto armato) sconfitti e senza onore, quando si possono esibire i graffi, i morsi, i lividi, le ferite e ammettere con fierezza di essersi battuti fino alle estreme conseguenze? Sì, ci si fa di queste domande e, infine, si sceglie di restare a poltrire sotto la coltre delle proprie regole.
Tempo fa, ho ponderato il vantaggio di mandare a puttane le relazioni con gli uomini prima che sfuggissero al mio controllo. E ne ho fatto una regola. Il risultato, ogni volta, è stato un cuore pressoché integro e un rimorso che mi mangiava l’anima (ma è più duro sopportare il rimorso o il dolore?).
Perciò, secondo questa regola, adesso dovrei lasciar andare Gabriele, staccandomi da lui giusto un attimo prima di iniziare a volergli bene. E poi, e poi dovrei rifugiarmi in un locale e buttare giù un po’ di vodka insieme a qualche compressa di antidolorifico e ricambiare i sorrisi nella luce fioca e riprendere la mia vita disperata e senza via d’uscita. Soltanto che stavolta – ed ecco l’elemento che non potevo prevedere – mi sono fermata per strada a contemplare qualcosa d’impensabile e sono arrivata in ritardo. E l’attimo buono è passato.
Presto avrò la mia anima martoriata – più martoriata che adesso, se possibile – da ostentare ed offrire al pubblico ludibrio. E, in fondo, le mie decantate regole non sono servite a un cazzo.