Grigorij Efimovič, detto Rasputin nacque in base al Calendario gregoriano, il 9 gennaio 1869, in un villaggio della Siberia occidentale da due poverissimi contadini.
Rasputin condusse i primi anni di vita nella più totale ignoranza e senza mai allontanarsi dal suo piccolo mondo contadino perché il padre sosteneva che “le scuole rendevano gli uomini immorali e li allontanavano dalla religione”.
Rasputin crebbe in solitudine anche perchè fisicamente era poco gradevole, aveva un’aria spiritata, occhi infossati, naso lungo e carnoso, i capelli lunghi ed una barba irta e folta che gli dava un aspetto ombroso da eremita.
Dopo un breve ma impossibile amore con Irina, figlia del generale Kubasov, a vent’anni Rasputin sposa Praskovia Fedorovna Dubrovina di qualche anno più grande di lui. Dalla coppia nasce un figlio, che però muore dopo pochi mesi.
Il dolore per la perdita del piccolo lo porta ad avere visioni mistiche tra le quali la Vergine Maria che gli intima di lasciare tutto e partire.
Intraprende quindi viaggi, pellegrinaggi, fa esperienze mistiche che lo cambiano nel profondo fino a condurlo al monastero di Verchotur’e, dove incontra lo starec Makarij il quale gli insegna a leggere e scrivere, nonché a interessarsi alla religione.
Diventato Staretz, (n.d.r. contadino che in seguito a rivelazioni o visioni ha scelto la via dell’eremitaggio o dell’assistenza ai malati e agli infermi, guadagnandosi la fama di compiere prodigi.) egli però professa un culto tutto suo, un misto tra religiosità e vita terrena, piaceri della carne e perdono.
Nella penombra della notte, uomini e donne si prendono per mano e, dinanzi ad un braciere, danzano formando un cerchio recitano: “Signore, pecchiamo per assicurarci la nostra salvezza” poi lo “Staretz grida: ,“Provate la vostra carne” e mentre l’ultimo tizzone si spegne, ognuno si accoppia con l’altro come animali inferociti, abbandonandosi ad ogni tipo di piacere.
Fisicità e religiosità affini al dionisismo e al tantrismo indo-buddista si sposano in questo credo eretico che fa del sesso e l’orgia il mezzo per provocare l’estasi miracolosa.
Poi nel 1914 una principessa montenegrina lo incontra durante un pellegrinaggio in Ucraina e lo invita a Pietroburgo. Da quel momento inizia la sua fortuna
L’entrata in scena definitiva di Rasputin alla corte dello Zar avviene quando il piccolo Alessio, lo zarevic che ha ereditato dalla discendenza materna l’emofilia, rischia di morire dissanguato per l’emorragia provocatagli da una lieve ferita alla gamba.
Vane le cure mediche e interventi taumaturgici. La granduchessa Anastasia Nikolaevna consiglia all’imperatrice di consultare lo Staretz Rasputin
Appena introdotto nella stanza del piccolo Rasputin si ferma a pregare, poi si avvicina al letto parlando con voce dolce al bambino e passando la sua grande mano callosa lungo il corpo dell’agonizzante.
Lo zarevic sta subito meglio, non accusa più dolori e sorride.
Al giorno d’oggi, molte possono essere le spiegazioni di quel prodigio, tra queste il fatto assodato che una forte emozione in un individuo affetto dall’emofilia può portare ad una temporanea guarigione.
Da quel momento in poi agli occhi della religiosissima zarina, l’evento assume i contorni del miracolo e il “Monaco Nero“, come verrà chiamato dai suoi molti nemici, si installa a corte diventando una figura indispensabile per la serenità della famiglia imperiale.
Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, Rasputin pronosticò che avrebbe portato immani catastrofi alla madre Russia, ai suoi contadini, che sarebbero morti a migliaia.
Nel 1916, in piena crisi di governo una congiura ordita dal granduca Dmitrij Pavlovič, dal principe Feliks Feliksovič Jusupov e dal deputato conservatore Vladimir Mitrofanovič Puriškevič, decide di assassinarlo.
Rasputin fu quindi prima avvelenato con del cianuro durante una cena a casa di Feliks Jusupov ma, poiché resisteva al veleno, gli spararono al fianco con una pistola.
Rasputin però si riebbe: venne così colpito da un nuovo colpo alla schiena e, mentre veniva trascinato verso il cancello del cortile, fu finito con un colpo in fronte.
Il suo cadavere fu gettato nel fiume Moika, da cui riemerse il giorno dopo.
Al funerale, la Zarina depose nelle mani giunte del cadavere un crocifisso e una lettera che diceva: “Dammi la tua benedizione, caro martire, perché essa mi accompagni nel cammino doloroso che ho ancora da percorrere quaggiù. Pensa anche a noi nelle tue sante preghiere. Alessandra”. Il “caro martire” aveva però predetto che, morto lui, la Russia e la dinastia dei Romanov lo avrebbero seguito nella rovina. Nicola II, mostrando la sua abituale determinazione, non osò far perseguire gli omicidi dalla giustizia