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— Ahu! ahu! — tonfi, urli, schiocchi, e giù, a rotta di collo, per una scesa che faceva rizzare i capelli. Era uno sganascio di legno, uno scatenìo di bubboli e di ruote, una grandine di sassi che schizzavano frullando nei campi e nelle fosse, di qua e di là dalla strada, e un palio di cani che ci rincorrevano abbaiando, tutte le volte che la nostra tempesta passava davanti a qualche casa.
— Vermutte, permio! — Era lo stesso che dire al muro.
— Ahu! ahu! Stasera, sor Filippo, deve pigliare una sbornia anche lei!… Ahu! ahu!….
Per fortuna la scesa era breve e, come Dio volle, s’arrivò sani e salvi in fondo. Riattaccava subito una salita aspra, e il cavallo messe giudizio per Vermutte.
Dopo un mezzo miglio, però, avevo imparato, osservando, a moderare tanto foco di passioni, a mia volontà. Vermutte si abbandonava a quegl’impeti di entusiasmo tutte le volte che gli facevo intravedere la possibilità che il Fronzoni, nel testamento si fosse ricordato di lui; cadeva in uno stato di prostrazione desolata quando lo facevo escire di speranza. Da questa osservazione trassi profitto per garantirmi le costole e per fare il comodo mio.
— Troppi, troppi questi parenti, caro Vermutte! Eppoi, da quello che mi dici, c’è in casa quella nipote promessa sposa che con voialtri ci se la dice poco.
— Sissignore!
— Gua’, tutto può essere! Ma io, se fossi in te, caro Vermutte, mi affiderei alle mie braccia, mi affiderei ai figlioli che vengono su robusti e avvogliati di lavoro. Quella, caro Vermutte, quella è la vera ricchezza, quella è la vera farina di Dio, quella è la vera roba che i ladri non ce la rubano e i bruciamenti non ce la consumano!
Vermutte sospirava, le guide calavano fino in terra e il cavallo si metteva al passo.
— Signor Filippo…, lei parla come un angiolo del cielo!
— Nulla, caro Vermutte. Ti ho detto la semplice verità, ti ho detto quello che il cuore mi suggeriva, pensando alla tua famiglia e al tuo stato.
— Oh, se tutti i signori fossero come lei!
Arrivati in cima a quella pettata, si presentò un lungo tratto di via pianeggiante. Questa, pensai, si può fare benissimo al trotto..
— Con questo, intendiamoci bene, Vermutte, con questo non intendo toglierti di speranza ed escludere la possibilità…
Vermutte ripigliava fiato!
— In fin dei conti, ho sentito dire che questo signor Augusto era un bon diavolo, religioso, caritatevole….
— Eh, questo sì; sissignore.
Le guide erano ritornate su e la frusta cominciava già a far per aria dei giri che puzzavano di caso sospetto. La strada è buona — pensai dentro di me — ora bisogna correre.
— Allegri, Vermutte! Se il signor Augusto era quel galantuomo che dici, non può aver dimenticato, in punto di morte, i suoi parenti poveri….
— Sissignore, sissignore! — e faceva scuotere il legno, ballonzolando sul seggiolino, e le prime frustate cominciavano a pizzicare fitte gli ossi del cavallo che si buttava, traballando, in carriera.
— Ma se stasera tu fossi diventato un signore?!…
— Maria santissima! Vergine delle misericordie ! Ahu! ahu!
E giù un diluvio di bòtte col manico della frusta, sulle costole di quel disgraziato animale, e: via, via, via! e trapatà, trapatà, trapatà!
— Cinquantamila lire, stasera, Vermutte !
— Ahu! ahu!
E anch’io urlavo per superare con la voce il fracasso della vettura:
— Cinquantamila lire! Che faresti stasera, Vermutte, se fosse vero?
— Bastono la moglie, brucio la casa e piglio una sbornia da olio santo — e: via, via, via! e trapatà, trapatà, trapatà….
[…]
( Renato Fucini, L’eredità di Vermutte, tratto da “All’aria aperta”, 1897 )