Renato Fucini, L’eredità di Vermutte -5/6

Da Paolorossi

Illustrazione tratta dalla pagina 35 di “All’aria aperta” di Renato Fucini – 1897

[…]

— Tu non ammazzerai nessuno, Vermutte. Hai rammentato i tuoi figlioli, e questo mi basta per assicurarmi.
— Signor Filippo….
— Mettiti in calma e ragioniamo.
— Signor Filippo, io faccio qualche pazzia…. lo sento, lo sento.

La scesa era finita e si era entrati nella valle tutta piana come un pallottolaio fino al padule. Di trottare non se ne parlò più e lasciammo andare il cavallo lemme lemme come voleva. Vermutte si accomodò raccolto a sedere, si abbottonò il cappotto alzandosi il bavero spelacchiato perchè s’era levato vento, e si piegò sul seggiolino, col capo fra le mani. Dopo qualche minuto mi accorsi che piangeva.

— Su, su, Vermutte! È vergogna! Che diavolo! un uomo non deve piangere!

Cercavo di fargli coraggio; ma anch’io ero commosso, pensando alla burrasca di passioni che si scatenava sotto alle toppe di quel povero cappotto lacero e scolorito. Avvoltolò le guide agli anelli del cruscotto, scese dal seggiolino e, dopo aver dato un’occhiata sgomenta alla sua bestia che grondava sudore:

— Che mi permette?
— Vieni, vieni — e venne a sedere accanto a me, sotto il mantice. Era pallido, e torbido negli occhi. Stirò le braccia, si fece crocchiare le noccole e sospirò, fissando la carcassa fumante del suo tribolato cavallo, sul quale era assicurato lo scarso pane della sua famiglia. Poi, continuando ad alta voce i suoi pensieri:
— Il servizio, per ora, me lo fa; ma è vecchio! Se mi more questa bestia, sono all’elemosina. Ora, se non gli rincresce, lo tengo al passo fino a quelle case laggiù. Che ha bisogno d’arrivar presto?
— No, no. Anzi, ho piacere anch’io….
— Bisognava che lei signoria avesse visto il cavallo e il bàgherre che avevo prima di questi! Non fo per dire perchè era roba mia; ma quando Vermutte batteva le strade con quell’attacco, anche le pariglie dei signori bisognava che tirassero da parte, e la gente che lo riconoscevano dalla sonagliera, s’affacciavano alle case con tanto d’occhi sgranati. M’è toccato a disfarmi d’ogni cosa! m’è toccato fare un baratto!… Figlio d’un cane! Mi chiappò che avevo l’acqua alla gola; mi fece veder venti lire quando una lira mi sarebbe parsa la manna del cielo, e m’appiccicò…. Basta: m’appiccicò quella disgraziata carogna che regge l’anima co’ denti e questo vergognoso trabiccolo che sta ritto per miracolo a forza di tinta e di spago. E, fin che dura. Dio ci aiuti…. Ladro del mi’ povero sangue! me l’appiccicò perchè avevo bisogno! E lui lo sapeva come si campava a casa mia, lui lo sapeva! E ora lui ha bell’e rivenduto ogni cosa e ci ha guadagnato sessanta lire! E lui lo sapeva come m’andavano le cose! Signor Filippo…. quelle cinque creature, quella povera donna di su’ madre e questa ghigna di galeotto che gli sta davanti non s’è toccato pane in tutto l’inverno! Farina gialla, acqua della fonte e una salacca…. una salacca, signor Filippo… una salacca sola in sette persone, la sera di Ceppo!

E gli colavano fitte le lacrime giù per la barba arruffata.

[…]

( Renato Fucini, L’eredità di Vermutte, tratto da “All’aria aperta”, 1897 )