Renzi? è merito vostro

Creato il 15 febbraio 2014 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Da anni la questione morale è diventata soprattutto un trastullo con cui si baloccano quelli che hanno avocato a sé la rappresentanza di una società civile virtuosa contrapposta a una politica, marcia, corrotta, disonesta. Come se bastasse non rubare, come se compromessi e ipocrisie fossero peccati veniali, giustificabili laddove i manichei confini tra bene e male, convenienza e opportunità, legittimità e legalità sono diventati così labili e arbitrari.

E invece non tutta la così liquida e immateriale società civile è onesta, trasparente,irreprensibile e incorrotta: dall’alto e dal basso si sono incontrati, in un amalgama indistinguibile, clientelismo, favoritismo, familismo, sistema di governo dall’alto, scappatoia permessa con tolleranza dal basso quando precarietà, incertezza, paura spingono a ricorrere a scorciatoie, favori, ambiguità.

Adesso tutti i primaristi del novembre 2012, quelli che hanno contribuito alla morte del loro partito di riferimento,  gli stessi che avevano tacciato gli increduli di starsene nel comodo schizzinoso spazio di una colonna, invece di dedicarsi alla salutare pratica dell’autocritica, si permettono di essere adirati come noi stiliti, incolleriti perché non è stata onorata quella che per loro era l’ultima cambiale firmata.

Ma guardate che mica era quella di un cravattaro, mica era obbligatorio sottoscriverla, guardate che come al solito era possibile dire di no. Perché allora,  lo ricordo alle coscienze dedite alla comodità dell’oblio che condannate solo il 27 gennaio,  non avete votato Bersani contro Renzi, no. Avete sottoscritto un patto scellerato. Non vi siete limitati a gratificare la vostra impotenza grazie a una liturgia domenicale imitativa della democrazia, eh no. Allora avete dato perfino due euro per siglare e sostenere una linea “politica”, quella preliminare alle larghe intese, al sodalizio con l’innominabile, favorevole alla cancellazione dell’art. 18,  delle garanzie  e dei diritti del lavoro, alla rinuncia alla sovranità di Stato e di popolo, già votata in Parlamento, alla manomissione della costituzione e infine, e non a vostra insaputa,  all’evaporazione di un partito che, proprio come voi, aveva collocato tra i suoi pilastri il distacco dalla sinistra, il tradimento dell’antica vocazione a rappresentare gli sfruttati e i deboli,. la slealtà nei confronti di elettori e militanti.

Non potevate non sapere di firmare la  vostra approvazione a quello stato di necessità che giustificava austerità, come fine e non come strumento, la  rinuncia a pensare “altro”, a affrontare e dirimere le contraddizioni del neoliberismo, accusando chi esige di farlo, per ragioni di sopravvivenza di sé della propria identità e dignità e della democrazia, di infantilismo, velleitarismo, disfattismo, sentendosi a posto per aver convertito partecipazione e militanza in un rituale da gita domenicale, in una sacra rappresentazione, festosa come una scampagnata, consolatoria come un rito di riconoscimento ed appartenenza.

Non era mica una cambiale in bianco, la sapevate bene la cifra da pagare con quella firma sotto la “carta d’intenti”, più vincolante del contratto con gli italiani di Berlusconi, visto che significava   un impegno da mantenere nelle urne, quelle vere, ben oltre quell’acrobatico   spot di pubblicità progresso della democrazia, così coerente con la mutazione in mediocrazia, una scatole vuota di contenuti preferendo loro le alleanze  segnata dalla griffe dall’accontentarsi del meno peggio.

Non avete il diritto di essere in collera. Siete complici e a meno che non ne abbiate tratto qualche beneficio, qualche accesso facilitato, qualche protezione, qualche credito da riscuotere, non vi invidio. Perché è vero che non c’è nessuna soddisfazione nel dire “ve l’avevo detto”, non è gratificante aver avuto ragione, la sindrome di Cassandra non è contagiosa, non piace agli altri e non possiede un antidoto. Ma almeno permette di non doversi fare la barba al buio per non   guardarsi allo specchio (citazione da Ernst Hemingway).