Ancora una volta ci siamo fatti ridere dietro e per di più nel Paese al mondo più abitato da persone di origine italiana. Ma poco importa, anche se il premier avesse recitato in perfetto castigliano una poesia de La Luna de enfrente e saputo della cecità e non sordità di Borges, le cose non sarebbero cambiate: niente di più vacuo e repellente del discorso al presidente argentino. Nulla sui problemi del mondo o su quelli bilaterali, nulla sul lavoro, neanche per cacciare le palle che in Italia affida a Boeri e all’Inps per essere diffuse tramite la renzi eiar, niente sulla democrazia e il malessere del continente sud americano, nulla sull’economia globale, ma tutto un ehi quanto eri fico Maurisio quando facevi il manager di quella azienda, come sei dinamico e concreto, anzi come lo siamo tutti e due. Insomma un berlusconismo di ritorno, ma di inarrivabile melensaggine e idiozia: il dialogo tra due padroncini che si annusano e si riconoscono, con quello più intelligente che sembra in imbarazzo, sorride ogni tanto al discorso vacuo, ma sembra dire, ehi attento a non farci riconoscere, non siamo mica a una cena per strappare una tangente o a un meeting aziendale, siamo capi di stato e di governo.
Quando mai: il cazzo buffo proveniente dall’Italia, il padroncino maneggione con l’occhio spento del dopo sbronza non si accorge di nulla e continua il suo eloquio evanescente, teso unicamente a stabilire una complicità personale col presidente argentino. Quella stessa falsa amistad della falsa poesia di Borges. Si annunciano tempi bui e ci ritroviamo questo capitano della nave, uno che nemmeno sa cos’è un sestante, che tiene lectio magistralis a livello di quinta elementare e sbaglia pure quelle. Ma in compenso è perfetto in altre cose: alla prossima cena dei cretini ha serie possibilità di vittoria.