Renzo Montagnoli si fa la Bionda. “Lascio mia moglie, voglio anch’io un giovane culetto a mandolino”

Creato il 20 novembre 2010 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

“Lascio mia moglie, voglio anch’io un giovane culetto a mandolino”
La Bionda si difende: “Su di me malignità”

L’autore de “I canti celtici” e “Il cerchio infinito” si confessa in una lunga intervista raccolta da Iannozzi Giuseppe.

1. In primo luogo una domanda piuttosto semplice – dipende però dai punti di vista: chi è Renzo Montagnoli?

Definire se stessi è sempre assai difficile, perché si corre il rischio di ingigantirsi o di sminuirsi.
Sono un essere umano, con tanti difetti e anche con qualche pregio, né più né meno come gli altri.
Mi verrebbe spontaneo dire, come in uno dei canti (Il testamento) che mi piacerebbe essere un uomo senza tempo, ma non è e non sarà così, perché non ci saranno archeologi fra tremila anni che scopriranno il mio sepolcro con inciso su una lastra di marmo il mio ultimo messaggio. Quello che avevo da dire l’ho scritto in questo poema che rimarrà solo nella memoria dei figli e sarà già tanto se si tramanderà ai nipoti, che peraltro tardano ad arrivare.

2. Prima di parlare nello specifico dei “Canti celtici”, mi sembra opportuna una domanda più o meno generica, ovvero: quali autori, quali poeti hanno maggiormente influito sul tuo modo di guardare al mondo e quindi di metterlo poi in poesia? Motiva la risposta, per cortesia.

Per quanto possa sembrare strano, non sono stati dei poeti, ma dei narratori. Mi riferisco, in particolare, a Margherite Yourcenar, con il suo stupendo Memorie di Adriano, e a Luisito Bianchi, con l’indimenticabile La messa dell’uomo disarmato.
In entrambi c’è una ricerca costante della spiritualità al di fuori dei canoni tradizionali che la rendono omologata a questa o a quella religione. La spiritualità è un fatto solo individuale, è quella ricerca dentro se stessi del nostro rapporto con il mondo e con la nostra esistenza; ci sono tante domande e altrettante risposte, ma nessuna certa. La presa di coscienza di essere parte di un tutto, di un disegno che esula dalle nostre capacità di comprensione, retto da un’entità sconosciuta ci offre la misura di quel che siamo: semplici atomi, microscopici esseri nell’immensità del creato. Il risultato è il rafforzamento di un profondo rispetto per la natura e la consapevolezza che la nostra vita è un viaggio verso l’ignoto, in cui dovremmo procedere insieme, in perfetta concordia.

3. Hai da poco pubblicato per i tipi “Il Foglio” una nutrita silloge di poesia, “Canti Celtici”. Com’è nata l’idea di scrivere di un mondo, il cui ricordo è rimasto vagamente scolpito nella memoria di pochi?

Il riferimento ai Celti non è propriamente storico nel senso completo dell’accezione, ma questo grande popolo, che era presente in tutta l’Europa, dall’Irlanda fino alla Vistola, dalla Scandinavia fino a poco oltre il Po,  aveva alla base tre particolari valori fondanti per la sua esistenza: la famiglia, la comunità, o clan, e la spiritualità, da cui discendeva un grande amore per la natura, anche per la convinzione che con la morte non finisse tutto, ma che i defunti si reincarnassero in vegetali, soprattutto alberi (il famoso bosco celtico sempre presente intorno ai villaggi).
La società attuale è in una evidente fase di decadenza, proprio per la perdita di quei valori di cui ho accennato e pertanto mi è sembrato logico raffrontare due mondi, così lontani nel tempo e così diversi.
4. Come direbbe un noto intellettuale e giornalista, la domanda è d’obbligo: perché “Canti Celtici”, c’è forse un qualche riferimento ai Celti (inventati) padani della Lega Nord di Umberto Bossi?

Non c’è nessuna intenzione politica e nemmeno è possibile fare un raffronto fra un grande popolo e le tradizioni dello stesso utilizzate, senza comprenderne lo spirito, dalla Lega Nord.

5. Come ben saprai, caro Renzo, la parola celti trova le sue radici nel termine greco keltoi, termine che appare per la prima volta negli scritti del geografo greco Ecateo di Mileto intorno al 500 a.C. In latino, Celtae. I Romani erano soliti indicare i Celti col più comune nome Galli. I “Celti” della tua raccolta poetica chi sono, a che epoca appartengono, e soprattutto che ruolo teatrale e/o immaginifico hanno oggi per chi legge “Canti Celtici”?

L’epoca non è ben definita volutamente, perché in effetti ciò che si racconta in questo poemetto è un sogno, in cui rifugiarsi di fronte a un mondo che sfugge sempre di più a ogni logica, e come in ogni sogno i contorni sono sfumati e le immagini sono il frutto di riflessi mentali. I riferimenti territoriali esistono perché il grande fiume è il Po e quindi i Celti di cui scrivo sono i Galli Senoni, tanto per intenderci quelli del famoso Brenno che mise a sacco Roma. Il ruolo è quindi evidentemente immaginifico, una visione di leggenda, di saga nordica, una sorta di costruzione onirica come ho accennato sopra, perché è evidente che ciò che si è perso di fondamentale per l’esistenza non può ritornare per un colpo di bacchetta magica, ma forse potrà riemergere in un futuro, non certo prossimo, nei nostri posteri. Nell’impossibilità, quindi, di sanare una realtà in cui non c’è spazio per ciò che riteniamo importante e vitale non  resta appunto che ricorrere al sogno.

6. Oggi il termine celti è utilizzato perlopiù per descrivere lingue e culture di matrice celtica presenti in Irlanda, Scozia, Galles, Cornovaglia, isola di Man e Bretagna. I tuoi “Canti” sono forse nati sull’onda di uno spirito new age?

Sono un appassionato di musica celtica e da lì a cercare di sapere che cosa ci sia alla base il passo è stato breve. L’intenzione originaria tuttavia era di scrivere un romanzo, in cui i Celti non ci sarebbero nemmeno stati, ma ancor oggi non sono in grado di cimentarmi con la narrativa lunga e così ho preferito ricorrere alla poesia. Per una trama, se così possiamo chiamarla, che spiegasse i motivi dei problemi attuali e questa soluzione onirica come unica possibile ( a parte l’amore, che è l’altra alternativa, o addirittura può coesistere), ho pensato che il poema fosse la forma migliore, ma questo presuppone una solennità e una dominante epica che potevo trovare solo scrivendo di un popolo antico, che ovviamente avesse alla sua base i valori ora smarriti. Ho pensato subito ai Celti e così sono nati i Canti celtici.

7. Non hai paura che qualcuno leggendo i “Canti Celtici” possa pensare erroneamente alle croci celtiche, al nazismo?

Come sai, è un dubbio che mi è venuto leggendo certi argomenti trattati sui blog. Resta, però il fatto che se uno li legge potrà facilmente comprendere quanta enorme distanza ci sia fra il mio pensiero e il nazismo. I Canti celtici non esaltano la razza, anzi considerano gli uomini tutti uguali; non stimolano alla guerra, pur accettandola in certi limiti (difesa della propria comunità) e soprattutto non eccitano gli animi, ma, credo, che infondano tanta serenità.

8. I “Canti Celtici” sono, a mio avviso, una visione molto onirica di un mondo oramai scomparso.

Non mi sembra che tu abbia utilizzato un metro piuttosto che un altro per questi canti, hai invece preferito utilizzare il verso libero, più moderno, forse più facile e accessibile alle generazioni di oggi. Come mai? Credi che il verso libero restituisca bene l’atmosfera, l’eroicità e il simbolismo magico dei Celti?
Il canto deve essere molto armonico, musicale insomma, e per questo prevede una metrica particolare. Sono canti quelli dell’Iliade, dell’Odissea, dell’Eneide, della Divina Commedia. Successivamente hanno provato Pascoli, con buoni risultati, e Campana, con minor successo, nel senso che i suoi Canti orfici, il cui contenuto è di tutto rilevo, non sono dei canti veri e propri.
Ricorrere alla metrica classica, del resto, avrebbe reso meno interessante la lettura, mentre un adattamento opportuno alle esigenze attuali richiedeva il verso libero.
Ora, questa tecnica, che è la prassi ormai, non esclude l’armoniosità, purché si sia in grado di dare una certa struttura che preveda anche alcune delle regole della metrica, tipo la rima, che però può anche figurare all’interno del verso, come ho fatto io. E quanto alla lunghezza, c’è una certa regola sillabica, per quanto a passo variabile. E’ difficile da spiegare la tecnica che ho utilizzato, ma mi sembra, anche dai giudizi di altri, che i Canti siano molto armoniosi.

9. Chi è il lettore tipo dei “Canti Celtici”? Per quale motivo?

In primis, un abituale lettore di poesie. Tuttavia, per come sono strutturati, credo che anche un appassionato di romanzi possa trovarli di suo gradimento, perché in fondo narrano una storia, sia pur non ricorrendo alla prosa.
Chi si accorge di come le cose stanno andando male, chi già si rifugia in un suo sogno per fuggire dalla realtà, chi ama accostarsi a dei versi più con il cuore che con la mente,  chi vuole conoscere con la propria testa, chi non si accontenta di quello che dice la televisione, chi non ha timore di essere un semplice atomo dell’universo, ecco questo è il lettore dei Canti celtici.

10. Qual è il messaggio che intendi trasmettere con questa tua silloge? E meglio ancora: c’è un messaggio sociale e/o politico nascosto fra i vari versi?

Non c’è un vero e proprio messaggio sociale e/o politico, perché quando si entra in queste fasi storiche non c’è rimedio, nel senso che bisogna toccare il fondo, per sperare poi di riemergere. Parlerei invece di un messaggio all’uomo, in quanto tale, anzi direi che i messaggi sono diversi. Infatti, si passa dalla presa di coscienza del problema della perdita dei valori (famiglia, comunità e spiritualità) all’indicazione di un mondo passato, identificato per tutta una serie di motivi – comprensibili nella lettura dell’opera -  in quello celtico, una sorta di Paradiso perduto a cui mai si potrà tornare. All’uomo non resta quindi che rifugiarsi nel sogno di una realtà smarrita e abbandonarsi all’amore, inteso in tutti i sensi, anche illogico, ma indispensabile per continuare.

11. Conia uno spot che incuriosisca il pubblico e lo spinga a leggere i tuoi “Canti Celtici”.

Non è facile una risposta, però potrebbe essere anche questa: “In un presente senza speranza e senza futuro resta solo il ricordo di un lontano grande passato.”

12. Hai già qualche idea per il futuro, un progetto nel cassetto?

Non sono abituato a fare progetti, tranne quando delineo completamente un’opera (per i Canti celtici ho fatto un piano di lavoro non appena ho avuto le idee chiare). Comunque, mi piacerebbe scrivere un romanzo e al riguardo esistono tre incipit, fra cui dovrei sceglierne uno, operazione di per se stessa difficile, ma non mi nascondo che le vere difficoltà saranno poi a completare l’opera. Ci sarebbe qualche cosa d’altro, ma talmente allo stato d’ipotesi che preferisco nemmeno accennarne. Vivo alla giornata, la creatività va e viene, non ci sono certezze in una realtà del tutto irreale.

Grazie Renzo, sei stato molto gentile e disponibile.
Ti auguro tutta la fortuna che meriti.

Canti Celtici – Renzo Montagnoli – Il Foglio letterario – Collana Autori Poesia contemporanea – pag. 90 – ISBN 978-88-7606-162-2 – € 10.00


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :