Il 29 marzo 2012, in occasione della presentazione del “Report Calcio 2012“, il Ministro dello Sport Piero Gnudi ha commentato: “Il calcio è una grande realtà, ma io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di club prossimi al fallimento. (…) Tante volte si è parlato di un calcio prossimo al fallimento, ma alla fine non è mai successo. (…) Sarà difficile trovare mecenati che investano nel calcio. Club rischiano l’iscrizione ai tornei”.
Il calcio professionistico italiano in pillole
Il calcio professionistico non è apparentemente un mercato sul quale investire: nel corso dell’ultimo quadriennio, in Italia ha accumulato perdite per 1.375 milioni di Euro, delle quali 428 milioni di Euro nella sola stagione 2010/2011.
Fonte: Report Calcio 2011, Report Calcio 2012
Le ragioni del risultato sono da ricercarsi in una concomitanza di fattori:
Ricavi
Scendono, per la prima volta dalla stagione 2003/2004, a causa di minori entrate dalla biglietteria (-8%) e dai diritti audiovisivi (-6%) per la ridotta partecipazione delle squadre alle competizioni UEFA. Nel quadriennio si nota la relativa stabilità dei ricavi da diritti audiovisivi (che aumenteranno dalla stagione 2011/2012) ed una crescita significativa dei ricavi da sponsor ed attività commerciali (+27%).
Costi operativi
Scendono leggermente rispetto alla stagione precedente, ma continuano a far registrare un elevato costo del personale, che rappresenta il 72% dei ricavi (parametro da calcolare al netto delle plusvalenze, come da normative UEFA). Aumentano del 8,7% nel quadriennio.
Ammortamenti e svalutazioni
Sono in sensibile crescita: + 12% sulla stagione 2009/2010 e ben +55% rispetto alla stagione 2007/2008.
La Serie A
In questo contesto, la Serie A rappresenta circa l’82% dei ricavi ed il 79% dei costi operativi. Vediamone i numeri più nel dettaglio:
Fonte: Report Calcio 2011, Report Calcio 2012
I ricavi crescono complessivamente del 12%, con un sensibile aumento dei proventi da calciomercato. Lo studio non lo evidenzia, ma probabilmente questo effetto è dovuto alla necessità, per le squadre che solo saltuariamente accedono alle competizioni europee, di garantire una copertura dei costi, che nello stesso periodo fanno registrare un incremento del 14,9%.
Per capire meglio i valori, può essere utile osservare la ricostruzione apparsa sulla Gazzetta dello Sport del 30 marzo 2012, all’indomani della pubblicazione del Report Calcio 2012, nella quale veniva fornito un dettaglio di alcune voci di bilancio per ciascuna delle squadre che hanno partecipato al campionato di Serie A nel 2010/2011.
Fonte: rielaborazione su dati Gazzetta dello Sport, 30.03.2012
Il Report Calcio si sofferma sulle categorie di ricavo e di costo, per spiegarne le tendenze:
- I ricavi da stadio rimangono sostanzialmente invariati nel periodo e le variazioni annuali dipendono dal numero di partite relative alle competizioni UEFA che sono giocate dalla squadre. Le limitazioni derivanti dall’introduzione della tessera del tifoso (per le complicazioni burocratiche che ha introdotto nell’acquisto di un biglietto) e la minore disponibilità economica derivante dalla crisi sono probabilmente all’origine del calo degli spettato della stagione 2010/2011 (che ha visto anche una contemporanea riduzione del costo medio del biglietto, passato da 19,4 a 17,5 Euro).
- I ricavi da sponsor e commerciali hanno invece fatto registrare una crescita, soprattutto per l’aumento degli sponsor, che valgono il 43% del totale.
- I ricavi da diritti audiovisivi sono in calo nel 2010/2011 soprattutto a causa del minor contributo dei diritti UEFA (-34 milioni di Euro fra Champions ed Europa League) derivante dai risultati negativi delle squadre italiane (e dal confronto con l’anno in cui l’Inter ha vinto la Champions).
- I ricavi da plusvalenze, seppur in calo nell’ultimo anno, sono in crescita nel periodo. Peraltro, a dimostrazione della tesi secondo la quale siano diventati un fattore determinante per le squadre medio-piccole, il valore medio delle plusvalenze delle prime quattro squadre è diminuito, mentre è cresciuto quello delle altre.
- Il costo del lavoro è cresciuto del 22% nel periodo, raggiungendo la cifra di 1,6 miliardi di Euro all’anno, pari al 65% del fatturato. Se nel concetto di costo di lavoro, oltre agli stipendi, si inserissero anche gli ammortamenti dei diritti delle prestazioni dei giocatori, tale valore sale al 89,7% dei ricavi(al netto delle plusvalenze).
Fonte: Report Calcio 2011, Report Calcio 2012
Diventa a questo punto relativamente facile intuire dove risiedano i due principali problemi che danno origine allo squilibrio del calcio italiano:
- la scarsa diversificazione dei ricavi, che sono ad oggi troppo dipendenti dai diritti audiovisivi;
- il costo del personale che (anche considerando il peso della fiscalità), assorbe la quasi totalità dei ricavi stessi.
Anche passando agli aspetti patrimoniali, la situazione non offre segnali confortanti: se, infatti, il valore patrimoniale della Serie A è notevolmente cresciuto nel quadriennio (+21%), tale incremento non è dovuto ad una accresciuta autonomia delle squadre, che nello stesso periodo hanno generato importanti perdite di esercizio (il dato non viene purtroppo reso disponibile dal documento) considerando che solo a livello di EBIT hanno prodotto una perdita nel quadriennio stimabile in oltre 720 milioni di Euro.
Non a caso i debiti sono cresciuti di 766 milioni di Euro:
- per il 66% attraverso il ricorso all’indebitamento bancario, passato da 422 milioni di Euro a 928 milioni di Euro;
- per il 22% mediante l’aumento del debito commerciale;
- per il 18% allungando i tempi medi di pagamento dei giocatori acquistati in Italia (la voce “Debiti verso Enti settore specifico” si riferisce infatti alla cosiddetta camera di compensazione della Lega Calcio).
Nello stesso periodo sono invece diminuiti di debiti tributari e previdenziali (anche, probabilmente, per effetto delle penalizzazioni introdotte in caso di ritardi di pagamento) ma, soprattutto, i debiti verso le società del Gruppo: o sono aumentate le conversioni dei finanziamenti soci in copertura delle perdite oppure, più semplicemente, i proprietari delle squadre di calcio hanno ridotto il proprio apporto finanziario alle squadre.
Elementi noti da tempo, ai quali non si è posto rimedio anche perché abbastanza comuni, sebbene con percentuali differenti, alla maggior parte dei campionati che si giocano all’interno dei Paesi UEFA, come avremo modo di vedere in un altro post in preparazione che commenterà ed estenderà l’analisi effettuata all’interno di Report Calcio.
C’è da augurarsi che l’introduzione dello UEFA Financial Fair Play possa progressivamente riportare questo settore economico all’interno di un alveo di maggiore sostenibilità. In assenza di un’azione coordinata sul costo dei giocatori (ad esempio introducendo un salary cap sulla falsariga delle esperienze americane) sarà interessante vedere come le squadre si attrezzeranno per rispettare il parametro più semplice e condivisibile che esista: “non spendere più di quello che guadagni“.
Vi ricordiamo che lo studio completo può essere scaricato attraverso questo link.