Il valore della produzione è risalito in misura importante del 7% trainato anche dall’aumento delle plusvalenze sulle cessioni dei calciatori. I costi invece sono cresciuti in misura inferiore (+4,4%), a dimostrazione di una maggiore attenzione e un maggiore controllo da parte dei club. Oltre a questi piccoli progressi nei conti economici della Serie A, la stagione 2011-2012 si è anche contraddistinta per l’inversione di tendenza riscontrata in termini di stabilità finanziaria, con il il patrimonio netto delle società che, dopo anni di continue erosioni, è sensibilmente migliorato. I diritti tv continuano a rappresentare la principale fonte di ricavo dell’industria calcio (990,7 milioni nel 2011-2012), pari a circa il 37% del totale del valore della produzione, ma la sostenibilità dei conti poggerà in futuro per buona parte sul costo del lavoro, tornato a salire, sia pure in misura ridotta (+3,4% a 1.505 milioni, e quasi tutto imputabile al costo dei “cartellini”).
Non si arresta invece la flessione progressiva dei ricavi da stadio, scesi a 186,4 milioni: ormai rappresentano soltanto il 9% del totale. Ma se la serie A perde appeal, la B vola: se nell’ultima stagione la massima serie ha registrato un calo degli spettatori dell’1,6% rispetto all’anno precedente (oltre 200mila in meno), tra i cadetti gli spettatori sono addirittura cresciuti del 22,8%. Parte del calo della serie A, scrive il Report, è imputabile all’inadeguatezza degli impianti italiani: i 36 impianti che hanno ospitato gare di Serie A e B, hanno un’eta media di 57 anni e 15 non hanno i requisiti medi per accedere alla più bassa categoria Uefa.