Reportage India: fra i pellegrini giainisti alla Collina dei Templi

Creato il 17 ottobre 2011 da Milleorienti

Cari lettori, vado in India per un “viaggio dello spirito” che vi racconterò al mio ritorno, all’inzio di novembre. MilleOrienti naturalmente resta aperto ai vostri commenti e contributi. Nel frattempo vi saluto postando qui il racconto di un altro “viaggio dello spirito” fatto tempo fa: il pellegrinaggio che i giainisti compiono una volta l’anno in uno dei luoghi più incantevoli e meno noti dell’India: la Collina dei Templi di Shatrunjaya, nello Stato del Gujarat. Il reportage (con le mie foto) è pubblicato sul numero in edicola del mensile Yoga Journal. Buona lettura e un caro saluto a tutti!

«Alle prime luci dell’alba, Moksha si sveglia nella sua brandina e prima di mettere i piedi a terra controlla che non ci siano insetti: non perché le ripugnino ma perché non vuole calpestare nemmeno il più piccolo essere vivente. Poi, con uno scopino di fili di cotone bianco che tiene in fondo al letto, spazza delicatamente a terra – sempre senza scendere dalla branda – per sgombrare il terreno da qualsiasi animaletto. E finalmente, quando è sicura di non uccidere nessuna creaturina, mette i piedi giù dal letto. Si alza, si lava – stando attentissima a non affogare eventuali insetti posati su di lei -  e indossa la sua lunga tunica di candido cotone,  tanto delicata da sembrare garza. Poi Moksha prega e medita insieme alla sua compagna di stanza. Quindi si mette sulla bocca una mascherina bianca per non togliere la vita agli insetti respirandoli, esce e comincia la sua giornata di predicatrice della nonviolenza.

Moksha è una monaca giainista. Appartiene a un ordine monacale fra i più antichi dell’India: gli Shvetambara, cioè i Vestiti di Bianco (dal colore delle loro vesti). La incontro in un piccolo ashram ai piedi di Shatrunjaya, la collina sacra dei giainisti, nello Stato indiano settentrionale del Gujarat. Un luogo meraviglioso, Shatrunjaya, pieno di pellegrini indiani ma quasi privo di visitatori occidentali: una di quelle “Indie segrete” che il turismo di massa non ha ancora scoperto. Un centro di autentica spiritualità, un sogno di perfezione intagliato nel marmo: 863 candidi templi e 7.000 statue, distribuiti su una collina che i pellegrini salgono facendo 3.500 ampi gradoni. Non è uno scherzo fare tutti quei gradini sotto il sole cocente del Gujarat. Perciò Moksha e gli altri pellegrini si incamminano all’alba, quando l’aria è più fresca. E io con loro, per condividere l’esperienza del Grande Pellegrinaggio di Phalgun Suth Tera: si tiene una volta all’anno, fra marzo e aprile, per celebrare l’illuminazione e l’ascesa al cielo di migliaia di saggi giainisti, avvenuta secondo la tradizione 8.000 anni fa. In due giorni arrivano qui 150.000 fedeli da tutta l’India. La differenza è che io sono giunto in Gujarat volando fino ad Ahmedabad e poi da lì fino a Palitana (la cittadina più vicina alla collina sacra) in automobile; lei e altri invece sono venuti qui a piedi.

Templi giainisti sulla cima della collina di Shatrunjaya, Gujarat, India. Foto di Marco Restelli

Mentre saliamo sulla collina, lei mi racconta la sua vita: Moksha Gunashriji è il suo nome da monaca,  ha 28 anni e ha preso i voti all’età di 21, ma non mi vuole rivelare né il nome laico che ha lasciato né la sua famiglia d’origine. «Non hanno più importanza. L’unica cosa che conta per me ora è contenuta nel nome che ho scelto», dice. Moksha significa infatti “illuminazione, liberazione”. E’ questo il traguardo delle “rinuncianti” che fanno una vita dura, ma Moksha ha il prestigio che deriva dal suo ruolo: è una predicatrice. Passa la vita girando a piedi di villaggio in villaggio per predicare la religione fondata 2500 anni fa da Vardhamana Mahavira detto il Jina (il Vincitore), da cui il nome di “jainism” per questa fede e di “jain” per i suoi seguaci. Una religione, il giainismo, che ha al suo centro un comandamento: praticare l’assoluta nonviolenza verso qualsiasi tipo di essere vivente.  «Noi crediamo nella legge del karma e della reincarnazione: anche tu, in una tua vita precedente, potresti essere stato un insetto. Ti farebbe piacere se io ti schiacciassi per sbaglio?», mi chiede Moksha sorridendo. Un messaggio di nonviolenza totale che nel secolo scorso influenzò anche la visione – spirituale e politica – del Mahatma Gandhi, che pure era un hindu. Gandhi infatti era nato qui, in Gujarat,  e crebbe in un ambiente hindu permeato di valori giainisti.

Moksha e i suoi sono monaci viandanti: non hanno monasteri e vivono camminando, percorrendo anche centinaia di chilometri. Ma perché sempre a piedi? – le domando. «Non possiamo usare né treni, né auto né alcuna tecnologia: dobbiamo vivere nello stesso stile di vita del nostro fondatore, il Jina», mi risponde Moksha. «Perciò anche niente telefono e niente strumenti elettrici». Regole che fanno del giainisimo un autentico fossile culturale, un reperto dell’India del 500 avanti Cristo. Regole che spiegano anche la scarsissima diffusione del giainismo al di fuori dell’India, al contrario del buddhismo che ha saputo evolversi e venire a patti con la modernità. I monaci buddhisti prendono l’aereo e vengono a predicare in Occidente, i giainisti no.

Monaca giainista in meditazione fra i templi di Shatrunjaya, Gujarat, India. Foto di Marco Restelli

Mentre saliamo sulla collina sacra anche il sole si alza nel cielo, l’aria diventa bollente, la fatica dell’ascesa si fa sentire; io seguo il serpente di folla che si ingrossa verso la cima, dove si trovano i templi principali. Molte donne, pur essendo laiche – riconoscibili perché vestite con il sari – portano la mascherina o un foulard sulla bocca. Anziani e malati si fanno trasportare su portantine sollevate da robuste braccia. Il serpente di folla procede molto lentamente per consentire la benedizione dei gradini: ad ogni gradino un gruppo di devoti versa burro liquido chiarificato (il ghi, sacro anche agli hindu) recitando dei mantra, poi le donne applicano dei fogli argentati, gradino dopo gradino. Quando arrivano in cima alla collina le donne seguono questo cerimoniale: si recano in una vasca sacra che si trova un po’ appartata rispetto ai templi, fanno un bagno purificatore, poi si tolgono il sari “di tutti i giorni”  e indossano un sari riservato solo al culto. Dopo questa operazione, possono entrare nei templi. Quando torneranno a casa riporranno questo sari in un armadio e non lo useranno più per nessuna attività quotidiana.

Secondo la tradizione giainista il complesso templare di Shatrunjaya esiste «dall’inizio dei tempi». In realtà la prima prova storica della sua esistenza è una statua con un’iscrizione dell’anno 1006. Shatrunjaya è uno dei due grandi luoghi sacri del giainismo in India: l’altro è Sravana Belgola, nello Stato meridionale del Karnataka, centro di un ordine monastico perfino più rigorista: quello dei Digambara, i “Vestiti di Aria” o “Vestiti di Cielo”, così chiamati perché vivono  completamente nudi. Prima di venire qui in Gujarat avevo incontrato a Delhi il capo dei Digambara, Sua Santità Vidyanand Muni Maharaj: vive in una capanna di foglie di palma posta nel giardino del tempio di Kund Kund Bharti, in una zona centrale della capitale indiana, e mi aveva impressionato il contrasto fra quei due mondi – fuori dai cancelli del tempio la Delhi globalizzata del boom economico, dentro il tempio giainista l’anziano monaco e due novizi, nudi, che pregano, meditano, e si lasciano nutrire dai fedeli, perché un Vestito di Aria non può procacciarsi il cibo da solo.

Vidyanand Muni Maharaj mi aveva parlato a lungo dei Tirthankara, i “traghettatori di anime” attraverso l’oceano delle rinascite: uomini illuminati, semidivini, unici oggetti di culto di questa religione che (come il buddhismo) non concepisce un dio creatore. L’ultimo dei Tirthankara, quello che annunciò il Dharma nella nostra epoca, fu appunto Vardhamana Mahavira, il Jina. Secondo i Vestiti di Aria, tutti i 24 Tirthankara furono maschi ed è necessario reincarnarsi in un corpo maschile per giungere all’illuminazione; al contrario, secondo i Vestiti di Bianco ci fu anche una donna fra i Tirthankara, e pure le donne possono diventare Illuminate. Non c’è da stupirsi perciò che Moksha, come le altre seimila monache giainiste oggi presenti in India, appartenga ai Vestiti di Bianco.

Giunto finalmente in cima alla collina, trovo i Tirthankara ovunque: statue intagliate nel candido marmo, ieratiche, sorgono in un labirinto di templi, colonnati, archi, cortili e ancora templi, l’uno dentro l’altro, inondati da un mare di fedeli che compiono riti, lanciano ghirlande di fiori, recitano mantra, cantano inni sacri, suonano campane, in un intrico indiano di colori suoni e profumi. E l’imponenza di quel complesso templare è tale che chiedo stupito a Moksha: «ma chi ha costruito, chi ha finanziato tutto questo, se voi monaci siete così poveri?». «I nostri laici: loro sono molto ricchi», mi risponde lei con semplicità. «I nostri laici sono tenuti a fare mestieri che non comportino l’uso di violenza. E sono pochi i mestieri adatti». Per esempio? «Per esempio, un lavoro tradizionale della nostra comunità è il gioielliere. Perché se tagli una pietra, non soffre. Oppure l’agente di Borsa: quasi la metà degli agenti della Borsa di Mumbai sono giainisti. Oppure i mercanti di cose non-vive. E con quello che guadagnano, finanziano i templi».

Così, la religione che ha prodotto i monaci più poveri dell’India (proprietari solo di una ciotola delle elemosine, una mascherina, uno scopino e una veste – e nel caso dei Vestiti di Aria nemmeno di quella) ha prodotto anche la comunità più ricca di tutto il Paese. Sì’, è l’ennesimo paradosso dell’India. Ma se vuoi riuscire a capirla, devi prima amarla.

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Info pratiche: per chi vuole fare questo viaggio
Il Tucano Viaggi Ricerca
, tour operator specializzato in itinerari culturali ed etnologici, propone anche “Viaggi dello Spirito” come questo nello stato indiano del Gujarat, per seguire il grande pellegrinaggio giainista che si svolge fra marzo e aprile sulla collina sacra di Shatrunjaya (Palitana). E scoprire il fascino dei luoghi legati al messaggio nonviolento di Gandhi.
Per informazioni e prenotazioni: Tel. 011 5617061 -  info@tucanoviaggi.com.
Le proposte del Tucano Viaggi sono anche sul Blog Viaggiatori.
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Il Giainismo e il Mahatma
Il Gujarat, dove si trova la collina sacra di Shatrunjaya, è uno degli stati indiani dove la presenza dei giainisti è più importante sul piano sociale, culturale e spirituale. Ma è anche la terra natale del Mahatma Gandhi, l’apostolo della nonviolenza, che qui nel nacque nel 1869 da una famiglia hindu inserita in un ambiente giainista: il giainismo influenzò profondamente la visione gandhiana della nonviolenza. Fu nella principale città del Gujarat, Ahmedabad, che Gandhi aprì il proprio ashram, che oggi ne conserva le memorie e ne perpetua il messaggio;  sempre ad Ahmedabad Gandhi fondò, nel 1920, la Gujarati Vidyapith, l’unica Università Gandhiana del mondo, di cui fu il primo rettore e che è tutt’oggi funzionante. Vi si insegnano materie che non si trovano altrove, come  “Sviluppo economico nonviolento”, “Lineamenti di un ordine sociale nonviolento”, “Educazione alla pace e al disarmo”, “Etica e valori nel business” e, naturalmente, vi si pratica lo yoga. Una volta alla settimana gli studenti si riuniscono nell’Aula Magna dell’università e prima delle lezioni tessono con l’arcolaio (come insegnava Gandhi) e praticano la meditazione.  Lezioni illuminanti per le nuove generazioni.


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