di Andrea Marras
Il gruppo Seleka è una coalizione di circa 3000 dissidenti armati (tra cui il FPDC – Fronte Democratico della Popolazione dell’Africa Centrale –, il CPJP – Convenzione dei Patrioti per la Giustizia e la Pace – e l’UFDR – Unione delle Forze Democratiche per l’Unità) creatasi lo scorso agosto e unita da un obiettivo comune, ma con esperienze ed interessi diversi, ragioni per cui già nelle prossime settimane potremo assistere ad importanti defezioni.
Lo stesso Bozizé salì al potere nel 2003 grazie ad un colpo di Stato portato avanti quando l’allora Presidente Ange-Félix Patassé si trovava all’estero per un impegno istituzionale, e si sottopose per ben due volte al confronto delle urne, precisamente nel 2005 e nel 2011. A detta di molti i risultati elettorali furono chiaramente alterati per favorirne la rielezione ed infatti è evidente che nelle elezioni del 2005 abbia evitato in tutti i modi che Patassé, il Presidente deposto, si potesse presentare come suo avversario. Da allora Bozizé è riuscito a rimanere al potere, grazie al sostegno da parte dei propri alleati e convinto di ripresentarsi davanti agli elettori chiedendo un terzo mandato. Anche per questo il movimento ribelle aveva recentemente intensificato gli attacchi inducendo il Presidente a rinunciare formalmente alla ricandidatura. Infatti, secondo gli accordi di Libreville dell’11 gennaio, il Capo di Stato sarebbe dovuto rimanere in carica solamente fino alla fine del suo mandato, previsto nel 2016; inoltre, si prevedeva la creazione di un governo di unità nazionale composto anche da esponenti dell’opposizione che si sarebbe dovuto occupare di modificare la legge elettorale e i cui componenti si impegnavano a non ricandidarsi alle elezioni politiche. Gli accordi di pace sembravano essere in grado di consentire l’apertura di una fase pacifica, anche in ragione del fatto che all’interno del governo ci sarebbero stati membri dello stesso movimento Seleka. Nonostante l’apertura di Bozizé alle forze di opposizione, non vi è stato il tempo di mettere in pratica gli impegni presi, segno evidente che i ribelli non hanno visto nella disponibilità del Presidente una prova di moderazione politica, bensì un sintomo dell’indebolimento della sua leadership. Il gruppo Seleka contestava al Presidente il mancato rispetto degli impegni presi a gennaio (oltre a quelli di Birao e Libreville del 2007 e 2008 in cui si garantiva l’inclusione dei gruppi dissidenti dell’UFDR di Djotodia all’interno dell’esercito regolare – patti che tra l’altro istituivano la missione interafricana MISAB e poi quella ONU, MINURCA), soprattutto per quanto riguarda la liberazione dei prigionieri politici e la revoca del coprifuoco nei principali centri del Paese.
Nonostante sembri scontato sottolineare come il Paese stia attraversando un periodo difficile sul piano politico, quest’ultimo sta generando gravi ripercussioni anche sulle condizioni di vita della popolazione, sul contesto sociale, nonché sull’economia. La presa del potere da parte dei ribelli ha provocato conseguenze alle già povere infrastrutture di cui dispone il Paese, non solo a causa delle razzie e dell’anarchia successiva al colpo di Stato, ma anche a causa di corruzione e della cattiva gestione delle risorse che non sembra essere tra le priorità del neonato governo provvisorio. Il sistema bancario centrafricano pare aver accusato il colpo: ad oggi questo non è infatti in grado di fornire prestiti alle aziende che vogliono riparare i danni provocati dalle scorrerie dei ribelli nei mesi precedenti la presa del potere. Per tale motivo, gli istituti bancari sembrano costretti a dover chiedere aiuti esterni, ma è ipotizzabile che questo possa avvenire solo nel momento in cui Djotodia dovesse fare un passo indietro, anche perché gli Stati Uniti – seguiti a ruota da gran parte della comunità internazionale – hanno subito chiarito che loro non intenderanno in alcun modo il nuovo Presidente e, anzi, hanno manifestato l’intenzione di avere come unico interlocutore il Premier Tiangaye, legittimato dalle norme previste negli accordi di pace di Libreville.
L’equilibrio che Djotodia sta cercando di imporre non è dunque destinato a durare, soprattutto a causa del fatto che il termine dei tre anni per le prossime elezioni sembra essere eccessivo e può provocare scontento tra le file dell’elite politica (in tal senso si è già espresso l’altro leader ribelle, Nelson N’Jadder) che farà di tutto per cercare di accorciare i tempi per andare alle urne quanto prima.
Dunque, l’azione portata avanti dal movimento Seleka potrebbe rivelarsi un tentativo maldestro così come è evidente che lo siano stati gli accordi di pace di Libreville. La criticità di fondo di questi accordi non è determinata dalla struttura normativa che, seppur con le necessarie modifiche, è stata utilizzata dallo stesso Djotodia come punto di partenza per il suo governo provvisorio, bensì dalla tempistica. Bozizè si è rassegnato a trattare coi ribelli solamente quando è stato costretto a farlo e, quindi, permettendo a questi di essere nelle condizioni di conquistare con la forza il potere.
Tutto ciò con possibili conseguenze – anche alla luce della sospensione della Repubblica dall’Unione Africane e dell’interruzione delle operazioni militari da parte di Uganda e Sudafrica, (già presenti a supporto dell’ex regime nella lotta all’M23 e al Lord’s Resistance Army di Joseph Kony, di cui si suppone il legame con il gruppo Seleka) – sull’intera regione centrafricana.
* Andrea Marras è Phd. Candidate in Storia ed Istituzioni dell’Africa (Università di Cagliari)